Don Milani: una rilettura con occhi diversi

Gilda Venezia

di Luca Malgioglio, dal profilo FB La nostra scuola, 25.5.2023.

Gilda Venezia

È significativo che questa accurata (anche se sintetica) ricostruzione del percorso intellettuale e umano di Don Milani, con il rigoroso inquadramento storico-culturale del suo pensiero e della sua opera nell’ambito del pensiero sociale e politico cattolico, della storia dell’istruzione, della riflessione pedagogica, abbia potuto suscitare un fuoco di fila preventivo da parte di qualche circolo convinto di detenere la verità sul senso ultimo delle cose.

Per decenni si è fatto di Don Milani un santino buono per tutte le esigenze, con clamorose strumentalizzazioni: dall’uso del donmilanismo per giustificare quello smantellamento verticistico, burocratico e para-aziendalistico della scuola pubblica chiamato pudicamente “autonomia” (“Inutile dire che le cose non si sono svolte proprio cosí. Ma intanto vale la pena di notare le date. Siamo alla vigilia del grande ciclo di manomissione della scuola italiana degli anni Novanta-Duemila. Accreditare un fallimento di portata storica era funzionale alla giustificazione delle nuove riforme. Altrimenti, perché cambiare?”, scrive Di Luzio a p.74), alle incredibili e grottesche menzioni di Milani da parte dell’ex ministro Bianchi, di Aprea o di associazioni di dirigenti scolastici.
Abituati a questo coro di venerazione strumentale per sentito dire, a slogan decontestualizzati funzionali a progetti politici di disarticolazione dell’istruzione pubblica, lo sguardo distaccato e privo di riguardi di Scotto Di Luzio ci sembra quasi offensivo nei confronti del grande priore di Barbiana.
Ma siamo così sicuri del fatto che restituire complessità e radicamento in dinamiche biografiche, storiche, culturali (“A pensarci è sorprendente come una figura cosí complessa, piena di tante cose, ambigua, contraddittoria e indubbiamente carica di fascino sia stata poi ridotta al figurino senza spessore del pedagogismo nostrano”, p.111), non faccia giustizia alla sua figura più di agiografie ancor più strumentalizzanti che idealizzanti?
Non dimentichiamoci quanto chi è soggetto a idealizzazione sia al tempo stesso squalificato nella sua autentica sostanza umana (ben altra cosa è l’amore per la figura di Don Milani, ad esempio, di Eraldo Affinati, che in un certo senso ‘diventa’ Don Milani, ne continua l’opera, ne riprende lo sforzo fisico, corporeo, di istruzione degli ultimi).

Quella di Di Luzio è una ricostruzione parziale, certo, come tutte le ricostruzioni, e rifletterà senz’altro anche le idee dell’autore.
Può non essere convincente in alcune parti: nella conclusione l’enunciazione dello scopo centrale della scuola, quello di istruire, sembra lasciare in ombra quello di accogliere, quando un equilibrio tra le due istanze sarebbe auspicabile; così come sarebbe importante sottolineare il ruolo cruciale della socialità scolastica, visto che la classe non è una semplice somma di individui.
Inoltre, pur ribadendo che va fermato il tentativo di dissolvere l’istruzione in una serie di ‘educazioni’ vuote, abusive e pretestuose – basti pensare alla stupidaggine delle “competenze non cognitive” – forse sarebbe stato importante ricordare la vitalità di un corretto nesso istruzione-educazione.
Ma questa ricostruzione appare motivata e fondata sul piano storico, attraverso il proposito di inserire Milani nel contesto a cui appartiene: l’esatto opposto di chi ne decontestualizza l’opera e il pensiero per scopi di ogni tipo.
Perché allora questa levata di scudi preventiva, perché gli insulti gratuiti al posto della critica fondata, del confronto e della discussione nel merito delle questioni?
Viene da chiedersi se tutti siano in grado di affrontare questo confronto. Forse chi urla no.

D’altra parte autoriferiti e viziati maître à penser in sedicesimo, con la loro insofferenza totalitaria a qualunque tipo di critica, sembrano perfettamente funzionali a un totalitarismo strisciante che non ama il confronto onesto e approfondito, la ricchezza e la pluralità dei punti di vista, il conflitto delle interpretazioni, le sfumature e la complessità, e forse devono lo spazio che viene loro concesso nel dibattito pubblico proprio a questa funzionalità.

 

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