EMERGENZA NEET
In percentuale, sono di più dei loro coetanei italiani: i ragazzi stranieri (di passaporto, ma residenti qui) che non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere. Con acronimo inglese si chiamano ormai anche da noi Neet (Not in Education, Employment or Training): il 34,6 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni che provengono da Paesi Ue; il 35,6 per cento dei non comunitari. Più di uno su tre è fuori dal sistema scolastico senza avere un’occupazione, e senza neanche cercarla. Gli «autoctoni» sono comunque tantissimi (un 24,7 per cento che ci colloca nei primi posti della classifica Neet degli Stati Ocse) ma comunque meno di uno su quattro.
I dati aggiornati presentati dal ministero dell’Istruzione con la Fondazione Ismu a Milano, relativi all’anno accademico 2013-2014, danno un’ulteriore indicazione. Se in questa categoria gli italiani sono prevalentemente maschi (50,3 per cento), tra gli stranieri (non Ue) il primato è delle giovani donne. Una percentuale altissima: il 67,3 per cento. Soprattutto all’interno delle comunità marocchina, bangladese, indiana, moldava, ucraina, pakistana e srilankese. Due ragazze su tre restano a casa. Come si spiega? Accanto a ragioni di tipo «culturale» (sulle quali pure bisognerebbe aprire una riflessione) ve ne sono altre? La sociologa della Cattolica, Mariagrazia Santagati, responsabile del settore Educazione dell’Ismu, invita alla cautela: «La categoria dei Neet va molto di moda nelle statistiche internazionali, ma va usata con le pinze, perché tiene dentro un’area grigia di vulnerabilità sociale», che mescola molti fattori diversi e difficilmente misurabili. La malattia, la disabilità, la maternità (precoce), le difficoltà economiche, la fatica a inserirsi: le ragioni che allontanano dalle aule senza condurre ad un impiego possono essere molteplici. E anche il contesto generale va tenuto in conto, avverte la ricercatrice: «Sono noti i problemi in Italia nella transizione tra la formazione e il lavoro, i tassi di dispersione sono altissimi, così come la disoccupazione giovanile».
Al Sud i Neet sono soprattutto italiani
Se la situazione non è incoraggiante, allora, evidente che s’aggravi ulteriormente «nei gruppi sociali svantaggiati». Stranieri, perché più vulnerabili, spesso arrivati coi ricongiungimenti a metà percorso, senza conoscere bene la lingua, a volte spinti dagli insegnanti a seguire studi meno qualificanti, persi più facilmente per strada. Ma la questione riguarda anche altri settori «marginali». Interessante allora lo studio che indica che al Nord i Neet sono soprattutto non comunitari, nel Sud che presenta ampi settori di sofferenza urbana e sociale i ragazzi che si tengono alla periferia dell’istruzione e del lavoro sono in gran parte italiani.