di Valentina Santarpia, Il Corriere della sera, 6.4.2018
– La prima prova importante per adolescenti si trasforma in una corsa a ostacoli per i genitori. Ma è giusto così? Secondo i pedagogisti no.
Le sfide
E invece spesso non accade. Slide da realizzare con Power point, elaborazioni virtuali di Dna, composizioni ad albero che collegano le diverse materie come rami: chi più ne ha, più ne metta. L’esame di terza media si trasforma in un percorso ad ostacoli per le famiglie degli studenti, che vengono coinvolte- spesso loro malgrado- in estenuanti affiancamenti ai propri figli. Ma è giusto? «No, per almeno due motivi – spiega Elisabetta Nigris, pedagogista e presidente del corso di laurea in Scienze della formazione primaria alla Bicocca di Milano -. Il primo è che si crea una grossa discriminazione tra figli di genitori che, per capacità culturali o economiche, o anche solo per tempo a disposizione, sono in grado di accedere a certe fonti e aiutare i ragazzi a eseguire un lavoro elaborato. Il secondo riguarda il ruolo: i pedagogisti dovrebbero essere gli insegnanti, non i genitori, che possono seguire, ma non sostituirsi». Quindi a un figlio che chiede aiuto va detto di no? «Se la scuola ha delle richieste troppo alte, è naturale che la famiglia intervenga in maniera sempre maggiore – dice Nigris – Ma è un peccato: perché si toglie ai ragazzi la possibilità di sviluppare capacità di produzione grafica, artistica, unire talenti musicali o sportivi, usare le tecnologie, insomma di esprimersi». Tanto più che la vecchia «tesina» ha cambiato forma nel tempo: «Non si usa più questo termine da anni nella normativa- spiega la professoressa Daniela Di Donato, educatrice digitale- I docenti per semplificare hanno usato un vecchio strumento, che in realtà anche la Buona scuola ha ridimensionato: il ragazzo è invitato a tenere un colloquio spontaneo, una narrazione di quanto imparato, filtrato attraverso le esperienze».
Le dinamiche
Facile a dirsi, meno a farsi. Gli studenti sono in grado di cavarsela da soli? «La questione è più complessa- dice Paola Perucchini, psicologa dell’educazione, università Roma 3- gli insegnanti dovrebbero rendere autonomi gli alunni. Il supporto dei genitori è e deve essere diverso da quello della scuola, entrano in gioco altre dinamiche. A mio avviso una scuola che delega alle famiglie dimostra di non essere all’altezza». Ma a volte i genitori sembrano non poterne fare a meno, ed è difficile delineare il confine sottilissimo tra desiderio di esserci, insofferenza di dover partecipare, bisogno di mantenere un legame che sta per spezzarsi. «L’anno scorso i miei genitori mi hanno aiutato a collegare e riassumere gli argomenti per la tesina sulla donna per l’esame – confida Carla Guglielmi, ora al I liceo linguistico- Senza di loro? Panico».
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