di Nino De Cristofaro, La Tecnica della scuola Lunedì, 29 Giugno 2015.
La mobilitazione eccezionale di docenti, personale Ata e studenti non è riuscita a bloccare la cosiddetta “buona scuola”. Con la fiducia votata al Senato, su richiesta di un Governo che ha concretamente dimostrato di provare fastidio nei confronti dei percorsi decisionali democratici, il DdL Renzi-Giannini ha sostanzialmente concluso l’iter parlamentare.
Poche volte, nel nostro Paese, si è verificato uno scarto così significativo tra “i cittadini”, non solo, quindi, fra il personale scolastico, e il “palazzo”. Non a caso, lo sciopero, proclamato dai Cobas, contro i quiz Invalsi nella scuola primaria ha raggiunto percentuali altissime grazie, anche, alla scelta delle famiglie di non mandare i propri figli a scuola nei giorni di somministrazione delle prove.
La prima sensazione è quella della sconfitta, dello scoramento. Scoramento non solo per ciò che attende il personale, a partire dal prossimo anno scolastico, ma soprattutto perché questa controriforma impedisce un cambiamento vero della scuola e fa aumentare diseguaglianze e fallimenti scolastici.
Altro che innovazione e rottamazione; molto più banalmente, stiamo assistendo a una vera e propria restaurazione, alla fine della scuola della Costituzione. Di quella scuola per tutte/i, impegnata a garantire percorsi di istruzione qualificati e a stimolare nei discenti l’acquisizione del pensiero critico.
Obiettivi, questi ultimi, incompatibili con la figura del preside-podestà, la fine della libertà di insegnamento, lo svuotamento degli organi collegiali, la concorrenza e la competizione fra i docenti. E, purtroppo, non finisce qui.
Le molteplici deleghe in bianco di cui dispone il Governo (dai programmi alla formazione dei docenti) non lasciano presagire nulla di buono, anche perché sulla scuola, o meglio contro la scuola pubblica, negli ultimi venti anni, fra le scelte del centro-destra e quelle del centro-sinistra, non c’è mai stata soluzione di continuità.
Per troppo tempo contro tali scelte, anche all’interno della scuola, non si sono levate voci critiche in numero sufficiente.
Oggi, questo silenzio è stato rotto.
I lavoratori, unitariamente, hanno ripreso a parlare rivendicando diritti, dignità e, soprattutto, difendendo la scuola come bene comune. Coscienti che, se vengono cancellate democrazia, collegialità e cooperazione, perde di senso lo stesso diritto allo studio.
E’ un significativo passo avanti, che deve essere consolidato e che rappresenterà un patrimonio decisivo quando saranno chiari a tutti i risultati fallimentari, ovviamente per chi ama la scuola pubblica, della controriforma.
Per questo acquista un’evidente centralità la manifestazione del 7 luglio a Roma.
Una mobilitazione che guarda al futuro. Se è, infatti, vero che con l’approvazione della controriforma saranno più difficili le condizioni per cambiare la scuola, non è scritto da nessuna parte che il presunto servo non possa liberarsi dal/del padrone.
Come si diceva una volta, “l’albero può desiderare la calma, ma non per questo il vento cesserà di soffiare”.