Educazione. Il mal di scuola esiste e la colpa è tutta nostra

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di Sabina Pignataro, Vita, 14.2.2020

– Il 73% degli studenti italiani a scuola sta male. «Ingozziamo i ragazzi di prestazioni, colpa e paura sono le emozioni alla base del nostro sistema educativo», dice Daniela Lucangeli. «Ma tutto ciò produce un cortocircuito emozionale che genera malessere e inceppa l’apprendimento». Che fare? Cambiare la scuola, ovviamente. Facendo spazio alla warm cognition. Un’intervista illuminante nei giorni in cui piangiamo due studenti suicidi nella stessa scuola, a Monza.

«Il 73% dei nostri ragazzi sta male a scuola». Partiamo da qui. Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento, non ha dubbi: allo studente si chiede di imparare troppo, in poco tempo, senza passione, con l’ansia di doverne rendere conto. «Colpa e paura sono le emozioni alla base del nostro sistema educativo», spiega. «Ma tutto ciò tiene i ragazzi in costante allerta e produce un cortocircuito emozionale che genera malessere e inceppa l’apprendimento».
Con lo stile empatico-scientifico e la chiarezza e la passione che la contraddistinguono, nel suo ultimo libro, Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere (Erickson, 2019), Lucangeli invita gli insegnati a concentrarsi di più sugli stati d’animo degli studenti mentre appendono: «A scuola, come nella vita, cresce ciò che semini». Se un bambino impara con gioia, nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva che gli dirà: “Ti fa bene, continua a cercare”. Se un bambino impara con gioia, impara di più e meglio». Il bravo maestro, ergo, «è colui che aiuta, che dà fiducia e coraggio, non che ingozza e giudica, somministra e verifica».

Daniela Lucangeli

Nel suo libro, lei scrive che gli studenti italiani stanno parecchio male…
Tempo fa è stata istituita una commissione ministeriale per lo studio del livello di benessere e malessere nelle scuole italiane, alla quale ho partecipato. Quando abbiamo cominciato ad analizzare i dati ci siamo agitati tutti. I numeri sono impressionanti: il 27% del campione italiano sta «così così» (non «bene»); il 73% sta male e, all’interno di quest’ultimo gruppo, il 60% non ha ricordo di essere mai stato bene in classe.

Perché secondo lei?
Sembra che una delle cause di questo malessere sia il carico richiesto ai ragazzi. I dati rilevano che allo studente viene chiesto di imparare troppo, in poco tempo, senza passione, con l’ansia di doverne rendere conto, la frustrazione di non riuscire, la sensazione di perdere tempo per cose più utili e piacevoli. Di fronte a tutto ciò il cervello è costretto a spendere energie per qualcosa che non provoca benessere, bensì allerta. Il problema, perciò, è duplice: il carico cognitivo è inadeguato per quantità (i nostri ragazzi vengono ingozzati) e per qualità (a loro chiediamo continue prestazioni). E’ la prima volta che questo aspetto viene identificato nella scuola italiana.

Allora che fare? Cancelliamo voti e pagelle?
Niente affatto. Io non sono paladina di una scuola «facile», semplificata, ma di un sistema di didattica e valutazione capace di ottenere autenticamente il meglio. Per fare questo non ci vogliono schede, non ci vogliono libri. Ci vuole una maggiore consapevolezza professionale e coscienza di come si insegna. Invece, purtroppo, quando si pensa a come accompagnare uno studente verso il successo scolastico, di solito ci si concentra su come presentare un determinato argomento, come favorirne la comprensione e la memorizzazione, ma non ci si sofferma mai a sufficienza sugli stati d’animo degli studenti mentre apprendono.

Dovremmo concentrarci di più sulle emozioni?
Assolutamente sì. Negli ultimi anni si è sviluppato un nuovo filone di ricerca scientifica, a cui è stato dato il nome di warm cognition, letteralmente «cognizione calda». Abbiamo imparato che le nozioni si fissano nel cervello insieme alle emozioni e quest’ultima, a loro volta, influiscono concretamente sui processi cognitivi, come attenzione, memoria, comprensione.

Io non sono paladina di una scuola “facile”, semplificata, ma di un sistema di didattica e valutazione capace di ottenere autenticamente il meglio. Per fare questo non ci vogliono schede, non ci vogliono libri. Ci vuole una maggiore consapevolezza professionale e coscienza di come si insegna.

Cosa significa questo nel contesto scolastico? Che ruolo hanno le emozioni mentre impariamo?
Significa che se un bambino impara con gioia, impara di più e meglio. Se è sostenuto, guardato e incoraggiato da un insegnante che si pone come suo alleato, nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva, portatrice del messaggio: «Ti fa bene, continua a cercare». Al contrario, tutto quello che il bimbo impara con paura, ansia, angoscia, genera delle memorie che lo tengono in costante allerta e produce un cortocircuito emozionale tale da inceppare l’apprendimento: lo studente si blocca e non riesce più a imparare. Peraltro lo stato di allerta attiva il cortisolo, l’ormone dello stress: quando aumenta eccessivamente e può portare a una crescita dei valori glicemici, un abbassamento delle difese immunitarie e persino alterazioni della risposta infiammatoria.

Ci può fare un esempio?
Se mentre imparo la tabellina del 7 sperimento la fiducia del mio insegnante nelle mie capacità, io metto in memoria sia quello che lui mi ha insegnato, sia la sua fiducia; ogni volta che «riapro il cassetto della memoria» che contiene la tabellina del 7, riprendo anche la sua fiducia, che mi dà incoraggiamento. Se invece la imparo con paura, ogni volta che dovrò ripeterla il mio cervello mi dirà «Scappa da lì!»

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