di Giorgio Allulli, Il Sole 24 Ore, 11.7.2019
– Due dati importanti emergono dalla nuova rilevazione Invalsi sugli apprendimenti degli alunni italiani (rilevazione peraltro sempre più inclusiva e strutturata, con l’utilizzo del computer nella scuola secondaria): il primo è noto, e riguarda i dislivelli esistenti negli apprendimenti tra le diverse regioni italiane, ed in particolare tra alcune regioni del Sud (Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna in testa) riguardo al resto del Paese e soprattutto riguardo alle regioni settentrionali. E’ un dislivello che si intravede già nei primi livelli di scolarità e diventa via via più consistente man mano che si sale ai livelli superiori di istruzione, fino alla scuola secondaria di secondo grado, dove il divario tra il Nord e il Sud cresce con una differenza che in seconda secondaria superiore è di 24 punti, ed in quinta classe secondaria superiore sale ancora, attestandosi a 28 punti. Andamento simile si riscontra per la matematica, dove nella scuola secondaria di secondo grado il divario tra le aree geografiche italiane raggiunge i 33 punti fra il risultato del Nord Est e quello del Sud e Isole.
I dubbi sull’autonomia
Di fronte a tale divario di rendimenti, che si ripete puntualmente ogni anno, nonostante i molti interventi effettuati, è d’obbligo chiedersi se la concessione di una forte autonomia alle Regioni in materia d’istruzione sia la soluzione più appropriata, o non corra piuttosto il pericolo di rafforzare le disparità esistenti, come dimostra peraltro la storia della formazione professionale, di competenza regionale, che vede profondissimi divari di efficienza e di efficacia tra i diversi sistemi regionali, divari ben superiori a quelli che si registrano nel sistema scolastico. Opportuno appare invece, per affrontare questo fenomeno, un coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, istituzionali e non, per declinare specifici progetti territoriali, tarati sui fabbisogni locali, come proposto dallo stesso Miur.
La fotografia alla fine delle superiori
Del tutto nuovi appaiono invece i dati riguardanti l’ultimo anno di scuola secondaria superiore. Com’è noto le prove Invalsi dell’ultimo anno erano destinate a far parte del processo degli esami di Stato, da cui sono stati invece espunti, per decisione del ministro Bussetti. Ciononostante la somministrazione di queste prove ha visto un’alta partecipazione di studenti, oltre il 90%, fornendo così importanti informazioni sull’andamento di questo livello di istruzione, completando il quadro conoscitivo dell’intero percorso scolastico. Dalla notevole mole di informazioni che emerge dai risultati di questa nuova prova colpisce particolarmente un dato, messo in evidenza dall’Invalsi: a livello nazionale, gli studenti che ottengono risultati adeguati (rispetto al livello scolastico frequentato) o più elevati sono:
- in Italiano il 65,4%
- in Matematica il 58,3%
- in Inglese (reading): 51,8%
- in Inglese (listening): 35%.
Di fronte a questi risultati la domanda che sorge spontanea è: come è possibile che, nonostante questi rendimenti, negli esami di Stato venga promosso oltre il 99% degli studenti? È vero che la valutazione condotta dall’Invalsi è cosa diversa dalla valutazione condotta dai docenti, operazione certamente più delicata e complessa, ma è anche vero che in questo modo si concede a molti studenti una certificazione finale di raggiungimento di determinati livelli di apprendimento che invece non sono stati raggiunti, e questo a tutto scapito di quegli stessi studenti che ricevono una certificazione che non ha nessun valore. È evidente che questo problema non coinvolge solo lo svolgimento dell’esame di Maturità ma tutto il percorso scolastico. E rischia di apparire schizofrenico all’occhio di un osservatore esterno.
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Il 99% di promossi alla maturità mal si concilia con il 60% di insufficienze in italiano e matematica ultima modifica: 2019-07-11T06:25:36+02:00 da