di Francesco Provinciali, Mente politica, 3.7.2019
– Tra i tanti aspetti di criticità individuali e sociali di questa epoca densa di contraddizioni e di disvalori certamente la condizione minorile costituisce un focus per molte analisi e approfondimenti.
La lenta e progressiva crisi della famiglia – un tempo cellula fondante del tessuto sociale e ora snaturata anche come corpo intermedio di accoglienza, custodia, affetti ed educazione primaria – costituisce indubbiamente uno degli elementi di maggiore problematicità.
La cronaca ci racconta di vicende di violenze, abusi, maltrattamenti, persino omicidi efferati che nascono e si alimentano tra le mura domestiche che sono diventate l’epicentro dei conflitti di coppia, degli amori fugaci, delle procreazioni irresponsabili da parte di padri o madri sovente inadeguati.
Cresce esponenzialmente il numero dei fascicoli aperti presso i tribunali minorili per la valutazione dei casi di responsabilità – termine che ha sostituito il più obsoleto ”potestà”- genitoriale: è un meccanismo che si accende con una segnalazione da parte della scuola, dei vicini di casa, della cerchia parentale, attraverso la valutazione dei servizi sociali per essere sottoposta al vaglio decisionale dei giudici.
In questi ultimi mesi sono stati numerosi i casi in cui la giustizia è arrivata in ritardo poiché le condizioni di inadeguatezza genitoriale era chiusa e malcelata oppure occultata dietro la porta di casa, tra silenzi, omertà, coperture, bugie, abuso di alcol e droghe, non adeguatamente presa sul serio, approfondita e monitorata.
Se ciò fosse accaduto alcune piccole vite sarebbero state salvate.
Credo che ciò costituisca la sconfitta più grande per la giustizia che si occupa dei minori, con tutti i suoi correlati sociali, la scuola, i servizi, la medicina di base, la pediatria: non essere arrivati in tempo, non aver colto un campanello d’allarme, aver sottovalutato dei lividi fisici ed emotivi, dei malesseri, delle inquietudini.
Ma la cronaca più recente ha portato alla luce anche il caso di bambini manipolati – per quanto si legge anche mediante veri e propri lavaggi del cervello – indottrinati su false verità precostituite ed elaborate a tavolino, cioè studiate ad arte per alterare la realtà della situazione familiare di appartenenza, creare disagi fisici e psichici inesistenti, proprio da parte di quella rete di specialisti che avrebbero dovuto costituire se mai il supporto più immediato, competente, professionale, per aiutare i bambini che vivevano magari – ma non sempre a quanto pare – in situazioni di difficoltà oggettiva.
L’indagine è molto delicata e non si possono che apprezzare le parole del Procuratore capo della Repubblica di Reggio Emilia (questa è la provincia dove sarebbe stata architettata questa incredibile macchina del male e di distorsione della verità per finalità di interessi privati, per favorire case di accoglienza o famiglie affidatarie a scopo di lucro) il dott. Marco Mescolini, ascoltate alla televisione: “Questa indagine riguarda gli indagati e non mette in discussione il sistema degli affidi in via generale”, per quanto attiene altri contesti o il funzionamento delle procedure decisorie poste in capo ai tribunali minorili con il supporto dei servizi sociali, ciò solitamente avviene attraverso una rigorosa e professionale valutazione delle singoli situazioni che arrivano sulla scrivania del giudice e vengono fatte oggetto di decisioni ponderate, caso per caso, applicando la legge secondo le fattispecie previste dai codici.
Puntualizzazione importante perché significa che l’inchiesta poggia su solide basi investigative grazie all’indagine delle forze dell’ordine e individua e mette sotto la lente d’ingrandimento della giustizia penale determinate persone con precisi capi di imputazione.
Anche in questo caso denominato “Angeli & demoni”, per il quale l’inchiesta è in corso, il condizionale è d’obbligo: non si erigano dunque patiboli prima del tempo, non si criminalizzino comportamenti fino all’accertamento in sede processuale, non si creino innocentisti o colpevolisti prima del giudizio.
Uno dei vezzi più diffusi del nostro tempo è la generalizzazione indistinta: si parte da un contesto, da un caso, da precise responsabilità in capo a soggetti puntualmente individuati e fatti oggetto di accertamenti affidati alle Forze dell’ordine e poi si estende a macchia d’olio il singolo caso all’intero sistema.
Accade per le vicende di violenza familiare, per gli asili definiti degli orrori, per le case di riposo per anziani.
Sono le evidenze processuali e le sentenze le uniche verità umane che danno risposta a chi chiede giustizia e verità.
Lo scandalo fa audience ma le inchieste televisive non potranno mai sostituire o alterare le verità delle sentenze passate in giudicato.
Ciò premesso quanto emerge dai primi rilievi investigativi è assolutamente raccapricciante e induce tutto il mondo della giustizia minorile ad usare il massimo discernimento rispetto a segnalazioni di disagi o situazioni di difficoltà familiare non approfondite ma basate su relazioni dei servizi o su verbali di colloqui psicologici.
Il primo insegnamento che un giudice deve applicare è quello di valutare con rigoroso apprezzamento l’effettiva condizione di vita domestica del minore posto sotto la lente di osservazione degli specialisti.
Prima di essere punita con l’estromissione dei figli, una famiglia in difficoltà deve essere aiutata, ascoltata, devono essere convocati e sentiti i minori stessi, in audizioni protette, occorre considerare tutti gli aspetti emendabili di un contesto familiare definito critico.
Leggere una relazione può essere utile, ascoltare i diretti interessati diventa, anche processualmente, determinante.
Se dovesse essere confermata l’alterazione della realtà esistenziale di questi minori sottratti alla famiglia per essere affidati a strutture o genitori affidatari, se i colloqui psicologici verbalizzati risultassero tendenziosi e fuorvianti, se fosse accertato per vero l’uso di poteri occulti di convincimento e di costruzione di vissuti inesistenti ma usati per avvalorare la tesi di inadeguatezza della famiglia d’origine per favorire l’estromissione dei figli naturali, ebbene ci troveremmo di fronte ad un crimine incommensurabile sul piano dei danni provocati nella mente e nella psiche di minori vessati e torturati in modo raffinato e occulto da quei professionisti che li avrebbero dovuti se mai salvare da originarie situazione di compromissione.
Qualche anno fa ebbe vasta eco un caso accaduto nell’hinterland di una città del nord.
Per imperizia e negligenza, per alimentare l’ipotesi suggestiva di abuso familiare di un padre sulla figlia di 4 anni, su segnalazione delle insegnanti della scuola materna supportate dai servizi sociali nell’interpretazione di disegni e narrazioni in modo forzato e fuorviante, un Sindaco emise un provvedimento di allontanamento urgente e immediato della piccola dal nucleo familiare, ai sensi dell’art. 403 del C.C..
Ai genitori fu impedito di vedere la figlia per alcuni mesi, poi ciò avvenne in audizioni protette, alla presenza degli operatori sociali. Il padre perse il lavoro e cambiò comune di residenza, finché durò l’indagine disposta dal ministero dell’istruzione e quella condotta dal tribunale per i minorenni.
Tutto si risolse in un nulla di fatto: non c’era stato abuso, disegno e narrazione di favolette e narrazioni impostate per estorcere una verità inesistente furono azzerati dalle perizie per CTU disposte dal giudice.
In quel caso ci fu un eccesso di zelo da parte di insegnanti e servizi che procurò tuttavia esiti devastanti.
Nel caso di cui si occupa la cronaca in questi giorni, si ipotizza l’aggiunta del dolo per finalità non certo riconducibili alla redenzione del minore o – come si dice – “per il suo preminente interesse”.
Conclusioni: se una famiglia è in difficoltà va aiutata, se i genitori non sono adeguati vanno sostenuti, curati e monitorati, se un bambino a scuola o a casa esprime disagi e vissuti sospetti e potenzialmente gravi ne va informata direttamente l’autorità giudiziaria. E nella terapia da adottare per soccorrere i bambini che hanno bisogno di aiuto non si dimentichi il dialogo e l’ascolto spontaneo. Mai porre domande precostituite con esiti scontati o prevedibili. I bambini e gli adolescenti conoscono spesso meglio la verità degli adulti: ma vanno messi in condizione di esprimersi, non devono condividere il nostro punto di vista, non devono essere inculcati nelle loro teste dei teoremi frutto di congetture artatamente precostituite.
Come sanno parlare con i loro coetanei saprebbero ugualmente farlo con noi. E posso dire che di solito lo fanno molto bene, a volte esprimono una visione delle cose più matura e ragionata di quella degli adulti.
Loro sono già e ancora “innocenti”. Dobbiamo assolutamente esserlo anche noi.
Francesco Provinciali, Ex dirigente ispettivo MIUR
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Il mercimonio dei bambini ultima modifica: 2019-07-04T05:19:30+02:00 da