Il pugno alla prof per non darle il cellulare. Tre commenti

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di Andrea Ragazzini,  Il Gruppo di Firenze,  25.3.2018

– Torniamo sul pugno di un allievo alla professoressa che si voleva far consegnare il cellulare (vedi il post del 20 marzo), recuperando alcuni interventi in proposito pubblicati sul “Corriere Fiorentino”.

Il docente Sergio Berardi

«SONO IPER CONNESSI, MA A SCUOLA
I TELEFONI  
VANNO NELLO ZAINO»

«Non conosco l’episodio dell’aggressione, ma come insegnante vivo da vicino questa “iper connessione” degli studenti. E non solo la loro. Oggi, per esempio, se partecipo a un convegno, vedo il 60 per cento degli adulti con in mano uno smartphone». Sergio Berardi insegna diritto al Russel Newton di Scandicci ed è stato vice preside delegato al rapporto con genitori e alunni.

Adolescenti e smartphone, cos’è che non funziona? «È una situazione delicata. A volte vedo una vera e propria dipendenza, non riescono a staccarsi. Intendiamoci: questi apparecchi sono usati anche per la didattica, fin dalle elementari. Ma un conto è se domando a uno studente di cercarmi una notizia, altro se vedo due o tre ragazzi con la testa china che manco mi ascoltano in classe. In questo caso c’è la violazione del regolamento d’istituto ma, soprattutto, la perdita del rapporto tra docenti e studenti, e tra gli studenti stessi».

Esistono delle regole nazionali per l’uso dei cellulari nelle scuole?

«Sì: ci sono le linee guida, aggiornate dal 2007, e la legge contro il cyberbullismo del 2017. Le scuole si dotano di un regolamento, puntando alla prevenzione del cyberbullismo e del sexting (invio di immagine di nudo o atti sessuali ndr). Nelle nostre classi abbiamo tenuto corsi di formazione, per dare consapevolezza di come si usano le nuove tecnologie. E spesso ci sono incontri con psicologi».

In questo percorso è fondamentale il ruolo dei genitori. «Sì, per costruire un rapporto positivo tra scuola e famiglia, non bisogna delegittimare il lavoro della scuola. Spesso i genitori che non sanno gestire il rapporto coi figli, tendono a giustificarli: la prima scusa è “quel prof ce l’ha con mio figlio”. Non si possono giustificare comportamenti a volte gravi. Ma ci sono anche genitori che hanno un comportamento positivo».

Cioè che sono riusciti a togliere i cellulari ai figli?

«Sì, è capitato. Salvo poi ammettere che è stato difficilissimo: il figlio aveva reagito male, chiudendosi in se stesso. Si tocca una questione complicata, perché il cellulare è anche il portale delle relazioni del giovane, non ne possono fare a meno. Ma invece di avere un rapporto umano, diretto, con i compagni, comunicano con questi strumenti, potenti, che vanno trattati con un giusto mix: ci vuole molta autorevolezza ma non un atteggiamento autoritario che può suscitare rabbia da parte dell’adolescente. E questa rabbia può sfociare una reazione inconsulta: mai giustificabile. Se il ragazzo ha sbagliato, deve subire una sanzione, ma la sanzione deve avere, come chiede la legge, una validità formativa. Le sanzioni devono diventare un momento di discussione . Su una cosa però in classe, secondo me bisogna essere chiari: lo smarthpone va in cartella. E spento». M.F.

(20 marzo 2018)

La mamma Nerina Balboni

«DI SERA CELLULARI IN CAMERA NOSTRA,
A CASA SI FA COSÌ»

«Le regole per i cellulari? Si devono dare prima di averli in mano». Nerina Balboni, madre di 4 figli tra i 17 ed i 5 anni, mette le mani avanti: «Non ho ricette valide per tutti. Ma noi abbiamo fatto così».

Gestire il rapporto dei figli con i cellulari, senza creare traumi e conflitti, è possibile? «Domanda difficile. Io so che siamo partiti senza».

Cioè?

«Il cellulare lo abbiamo comprato alla fine della prima media: cioè dopo un anno in cui i nostri figli sono andati a scuola da soli, sono usciti per la pizza con gli amici da soli. Abbiamo provato a dargli un anno di autonomia senza genitori e senza cellulari. Se dovevano chiamare, gli consigliavamo di fermarsi a un certo negozio, per esempio. Il fatto che hai il cellulare non significa che qualcuno è lì con te».

E quando il cellulare c’era? «Alla fine della prima media abbiamo dato un cellulare, in modo ottimista. Uno smartphone base, da 100 euro, che potesse andare su internet, con un contratto con un tot di dati internet limitato ma chiamate illimitate: perché fare telefonate è la cosa più importante di un cellulare. Poi gli abbiamo detto: questo è vostro, non lo controlliamo, la password ce la scrivete su un foglio e la mettiamo via. C’è un patto, come per un diario segreto: sai che il figlio lascia il diario in un cassetto ma, a meno tu non abbia sentore che qualcosa non va, non lo leggi. Gli abbiamo consigliato di non iscriversi a Facebook spiegandogli le motivazioni, di usare Instagram con profili privati, gli abbiamo spiegato i rischi di condividere informazioni. Perché quando hai un cellulare attaccato alla rete, tutto quello che hai dentro qualcuno teoricamente lo può venire a a leggere. E se dovete dire qualcosa a qualcuno, chiamatelo, non mandate messaggi».

Un bel numero di regole… «Ce ne sono altre: il cellulare non si usa durante i pasti, nei momenti in cui siamo tutti insieme e la sera tutti i cellulari stanno, silenziati, in camera nostra».

Ci saranno da leggere tonnellate di messaggi la mattina…

«Milioni! Abbiamo tolto il cellulare alla grande, a 16 anni, perché aveva finito il

credito per due volte: se non sei abbastanza matura per gestire il benefit che ti diamo, te lo prendiamo. Il conflitto maggiore è stato col maschio: lui gioca tanto, anche in vacanza. E quando glielo toglievi, diventava più “scattoso”, più irascibile. Glielo abbiamo tolto per tre mesi. Alla fine ci ha ringraziato: ci ha detto di aver riscoperto cose che non si ricordava più».

Mai avuto, voi o loro, l’ansia di non essere connessi? «Mai, le regole le abbiamo date prima, aggiornandole via via: per esempio concedendo più tempo per i compiti o quando ripetono via Skype le lezioni con gli amici. Se c’è un motivo valido, si deroga alla regola». M.F.   (20 marzo 2018)

Lo psichiatra Claudio Mencacci

«COME UNA DROGA PER OLTRE TRECENTOMILA ADOLESCENTI»

 «Aumenta la dipendenza, il rischio è il deterioramento dei rapporti umani»

Trecentomila giovani tra i 12 ed i 25 anni sono «dipendenti» da internet, si legge in una ricerca del 2015. Con un rapporto, soprattutto con il cellulare, che ormai vede codificata pure la patologia: «Nomofobia», paura di non essere connessi, «sindrome da disconnessione».

Ma i riflessi di un abuso di cellulare sono leggeri quanti preoccupanti. «Quasi il 90% dei ragazzi riferisce di aver sperimentato il fenomeno della “vibrazione fantasma” ovvero del falso allarme di ricezione di un messaggio sul cellulare» spiega il professor Claudio Mencacci, direttore Dipartimento Neuroscienze e salute mentale dell’Asst FbfSacco di Milano e past president della società italiana di psichiatria. Secondo Mencacci però «le cifre del 2015 sono sicuramente aumentate: oggi l’esposizione del cervello a messaggi digitali e video è considerata superiore alle 8 ore e mezzo al giorno» prosegue lo psichiatra. Ma perché è così pericolosa?

«L’uso elettronico di questi media — spiega il professore — incide pesantemente sul tema del sonno: nei bambini e negli adolescenti ha una serie di conseguenze pesanti tra le quali quella dell’impulsività, quindi del discontrollo degli impulsi, un fenomeno normale nell’adolescenza, ma amplificato dall’assenza di sonno e dalla dipendenza dal cellulare».

Per questo Mencacci non si stupisce di quanto successo nella scuola fiorentina, con la reazione violenta del ragazzo a cui è stato sottratto il cellulare dal docente: «Di fondo — dice Mencacci — questo episodio si inserisce in una situazione più ampia di disagio familiare e di degrado educativo. C’è un problema nella scuola e nelle famiglie».

Tra le cause, quella «dell’assenza di un coordinamento genitoriale. E quindi si crea un disallineamento con le istituzioni scolastiche, che hanno perso il loro valore pedagogico formativo». Il docente milanese usa una «provocazione, ma neanche troppo esagerata: per molte famiglie, le scuole sono una sorta di Ikea, un centro gioco, dove si lasciano i ragazzi. Se si rompe l’asse tra famiglia e scuola, quando si deridono i professori davanti al figlio, quando si mettono in discussione i docenti, quando si professa, nelle scuole, l’”uno vale uno”, la competenza e i ruoli vengono annullati. È lunghissimo l’elenco delle difficoltà che sono sul tappeto della rottura di questo rapporto tra istituzioni (sociali, come famiglia e amicizie ndr) e scuola. La solidarietà genitoriale non aiuta i figli nel mondo reale, nella vita».

Da queste considerazioni dello «stato dell’arte» arriva il giudizio, secco, di Mencacci: «I cellulari a scuola devono essere assolutamente spenti. Altrimenti si crea una competizione tra cellulare e docente, dal punto di vista sulla comunicazione, impari. La presenza del cellulare cancella la possibilità di creare una situazione di comunicazione di gruppo, tra i ragazzi, e una comunicazione tra docenti e alunni. Se c’è un terzo, vale “il triangolo no”. Soprattutto di questa portata, perché è una lotta impari: da una parte c’è un oggetto che ha miliardi di informazioni, dall’altra vengono addirittura dequalificati gli insegnanti. Ma la comunicazione ha bisogno di attenzione. C’è bisogno di una comunicazione “umana” per la crescita degli alunni».

Non solo: «Il tema centrale è la dipendenza da cellulare, che agisce in maniera analoga alle sostanze stupefacenti. Quando cresce l’utilizzo di questo mezzo e diventa sempre più l’unico modo di dialogare con gli altri, scatena gli stessi comportamenti di una dipendenza da sostanza». M.F.

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