di Orsola Riva, Il Corriere della sera, 18.3.2024.
La soglia fissata per legge di fatto risulta inapplicabile. Solo a Milano, una scuola su 5 supera il tetto. Il fenomeno «white flight»: la fuga degli italiani dalle scuole con tanti stranieri
Nessun «favore» alla comunità araba, ha provato a spiegare il preside della scuola di Pioltello che quest’anno ha deciso di sospendere le lezioni il 10 aprile in coincidenza con la festa di Eid-El-Fitr: la fine del Ramadan. La decisione, presa all’unanimità, nasce dalla semplice constatazione della «specificità del contesto»: nell’istituto comprensivo Iqbal Masih, due scuole dell’infanzia, tre primarie, due medie, su 1.300 alunni, il 43 per cento non ha la nazionalità italiana. Piuttosto che tenere aperta la scuola mezza vuota, si è preferito chiuderla anticipando di un giorno il rientro dalle vacanze. Con lo stesso spirito pragmatico con cui tante altre scuole lombarde restano chiuse il 2 novembre per consentire ai bidelli, in maggioranza meridionali, di tornare a casa per il Ponte di Ognissanti. Del resto per legge ogni istituto ha a disposizione cinque giorni di flessibilità didattica che può giocarsi come meglio ritiene nel corso dell’anno.
Tutto inutile: dopo le polemiche sollevate da diversi rappresentanti del suo partito, Matteo Salvini in primis, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha deciso di chiedere comunque «agli uffici competenti» di avviare una verifica sulle «motivazioni didattiche» dietro la scelta della scuola milanese. Ma quante sono in Lombardia le scuole con percentuali di studenti superiori al 30 per cento fissato per decreto? Oltre il dieci per cento. Solo in provincia di Milano sono più di 60 su circa 330 scuole: una su cinque.
Era stata la ministra Mariastella Gelmini a consigliare, in una circolare ministeriale del 2010, che di norma la composizione delle classi rispettasse un rapporto di uno a tre, come limite massimo fra alunni stranieri e italiani, ma in realtà le deroghe sono sempre state la norma. La misura, del resto, fin dall’origine non era pensata per chi è già in possesso di «adeguate competenze linguistiche», cioè la stragrande maggioranza dei nati in Italia, ma per tutti quei bambini e adolescenti che arrivano qui dopo. E comunque nei fatti si tratta di una disposizione inapplicabile, perché nelle aree ad alta concentrazione di migranti non si può certo pensare di «spostare» gli alunni non italiani in altri plessi.
Fenomeno «white flight»
Capita semmai il contrario, come denunciato qualche tempo fa dal Politecnico di Milano in una ricerca intitolata significativamente «White flight, la segregazione sociale ed etnica nelle scuole». Lo studio metteva in evidenza il fenomeno della «fuga degli italiani» che, abitando in periferia o comunque in contesti a più alta densità di alunni senza la cittadinanza italiana, preferiscono iscrivere i propri figli in scuole magari più lontane da casa ma frequentate in maggioranza da connazionali, nel timore che troppi stranieri rallentino l’apprendimento di tutta la classe.
Un caso emblematico è quello dell’Istituto comprensivo Cadorna di via Dolci a Milano, per anni considerato un modello di integrazione. Da tempo, ormai, la situazione si è cristallizzata in questo modo: il primo plesso è frequentato in maggioranza da alunni immigrati, mentre gli italiani hanno scelto di mandare i propri figli nel secondo plesso, per ironia della sorte intitolato a Martin Luther King. In tutta la provincia ci sono almeno una decina di scuole in cui gli alunni non italiani sono più della metà degli iscritti: il record assoluto lo detiene la Rodari di Baranzate: 73 per cento (così almeno risulta dagli ultimi dati sulla complessità delle scuole lombarde pubblicati dall’Ufficio scolastico regionale nel 2023).
A livello nazionale, secondo i dati dell’ultimo rapporto Ismu sulle migrazioni presentato il mese scorso, le scuole in deroga al tetto del 30 per cento di alunni senza la cittadinanza italiana sono il 7,2 per cento del totale, mentre quelle «non toccate» dal fenomeno migratorio sono il 18 per cento.
Classi di «transizione» o classi separate?
Di recente ha suscitato un vespaio di polemiche la proposta di classi separate per gli stranieri lanciata dal ministro Giuseppe Valditara nel corso di un’intervista a Libero. Citando altri sistemi scolastici europei, il ministro ha detto che ogni scuola dovrebbe verificare all’atto dell’iscrizione il livello di competenze degli alunni stranieri in modo da decidere se attivare o menodelle «classi di accoglienza» o «classi di transizione» per una parte dell’orario scolastico o proprio per tutta la giornata.
Va detto che in generale le scuole si trovano spesso a dover combattere a mani nude per rendere effettiva l’integrazione degli alunni stranieri. Basti pensare al paradosso degli insegnanti di italiano L2 pensati dalla Buona Scuola di Renzi per essere formati specificamente nell’insegnamento dell’italiano a chi non è madrelingua.
Peccato che, a otto anni dalla riforma, queste figure siano più rare dei panda: anche nel concorso che si sta svolgendo in questi giorni per 44 mila posti, quelli riservati all’insegnamento di italiano per «alloglotti» sono in tutto 51. Il problema è che siccome questa disciplina non è prevista dai piani orari delle scuole non è possibile conteggiarla nel fabbisogno scolastico. In mancanza di meglio spesso i presidi consigliano, soprattutto nel caso di bambini e ragazzi arrivati in corso d’anno o comunque alle prime armi con l’italiano, di farsi fare una diagnosi di disabilità, in modo almeno da avere diritto all’insegnante di sostegno.
Un alunno su dieci
Dopo il calo registrato nel 2020/21 in piena emergenza Covid, nel 2021/22 il numero degli alunni con background migratorio si è attestato a 872.360 presenze (quasi +7.000), pari al 10,6% del totale degli iscritti nelle scuole italiane.
Ad aprile dell’anno scorso il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha certificato la presenza di 888.880 alunni con entrambi i genitori stranieri per l’anno scolastico 2022/23. Se si mantenesse un tale ritmo di crescita – osservano gli esperti dell’Ismu (e non è affatto detto, visto che anche gli immigrati iniziano a fare meno figli) – in dieci anni si potrebbe arrivare a un milione di alunni con background migratorio. Nel frattempo, le scuole italiane, proprio a causa dell’inverno demografico, perderanno più di un milione di alunni, passando da 7,2 a 6 milioni di iscritti.
Primi i romeni
Attualmente la fetta più consistente di alunni stranieri – il 44 per cento – è rappresentata dagli europei, primi i romeni con 151mila studenti, seguiti dagli albanesi (117 mila). Più di un quarto è di origine africana (soprattutto marocchini, terza nazionalità in assoluto con 111 mila studenti), il 20 per cento di origine asiatica e quasi l’8 per cento viene dall’America latina. Un caso a parte è rappresentato dai profughi ucraini che a giugno del primo anno di guerra ammontavano a 27 mila, un quinto dei quali in Lombardia.
Il record di Milano e della Lombardia
In generale la Regione – che da sola rappresenta un settimo della popolazione scolastica italiana (più di un milione di alunni su un totale di 7,2 milioni) – accoglie circa un quarto degli alunni con cittadinanza non italiana, fra prime e seconde generazioni.
Questi ultimi, che ormai rappresentano due terzi del totale (67,5 per cento), sono alunni nati in Italia, che in Paesi come gli Stati Uniti dove vige lo ius soli sarebbero considerati italiani a tutti gli effetti. In tutto parliamo di 222.364 alunni stranieri in Lombardia. Al secondo posto c’è l’Emilia-Romagna (106.280), al terzo il Veneto (96.105). La provincia con il più alto numero di studenti non italiani è Milano (80.189), seguita da Roma (63.946) e Torino (39.184).
Troppi bocciati
Gli studenti stranieri sono i più colpiti dalle bocciature: circa un alunno su quattro contro una media nazionale dell’8,1 per cento. Nelle scuole superiori la percentuale di alunni in ritardo di uno o più anni sfiora il 50 per cento (48,4%).
E le bocciature sono l’anticamera dell’abbandono scolastico: il 28,7% dei 18-24enni stranieri non riesce a diplomarsi, il triplo degli autoctoni, che sono scesi sotto il dieci per cento (9,7%). A livello di risultati scolastici, sia gli alunni di prima che quelli di seconda generazione, ottengono risultati significativamente più bassi della media nei test Invalsi di italiano e matematica; in inglese però si prendono una rivincita andando decisamente meglio degli italiani.