di Aldo Domenico Ficara, Regolarità e Trasparenza nella Scuola 25.12.2015.
In molti post condivisi nel web si legge “In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere imperatori”.
A tal proposito Silvano Tagliagambe (filosofo ed epistemologo italiano ) dice: “A questa prima motivazione se ne può abbinare un’altra, coerente con la tendenza della cultura giapponese a trasformare in gesti dal forte significato simbolico idee profondamente radicate. L’insegnante può essere un modello per l’imperatore per un aspetto fondamentale e per un esempio di grande significato e valore che egli può dare alla politica. Comunque intesi e praticati, i processi d’insegnamento sono il campo di applicazione di una reciprocità asimmetrica, in termini di sapere, tra il docente e lo studente. Essere un buon insegnante significa però esercitare questa necessaria asimmetria in modo delicato, sempre “calibrato” sulle esigenze dell’altro e ponendosi, con la pratica costante dell’ascolto e del dialogo, al servizio del suo processo di crescita e di formazione, lasciando su di esso un segno e una traccia duraturi”.
In Italia invece ci si deve confrontare con un’altra realtà. Infatti, in un articolo pubblicato su La Stampa di Torino (http://www.lastampa.it/2015/12/22/italia/cronache/alla-mensa-dei-poveri-prima-di-andare-in-classe-ma-di-noi-nessuno-parla OuPtLtj0tKwI986aQlrzZZL/pagina.html ) si scrive: “Mi sono organizzato per avere libera l’ora tra le undici e mezzogiorno: fino a venerdì, quando si è conclusa la sostituzione malattia che stavo facendo, andavo alla mensa del Sacro Cuore, poi tornavo a scuola. Ora ho accettato una supplenza fino al 30 giugno in due serali, avrò più tempo. So di non essere il solo insegnante a fare questa vita. Non ci pagano da settembre: chi è solo e non è ricco di famiglia a questo punto non ce la fa più».
Il professor M.N., 60 anni, abilitazione in Metodologie operative nei servizi sociali, laurea in Psicologia, insegna soprattutto nei corsi serali da sedici anni. A Torino è un riferimento per il suo impegno per i diritti dei disabili e degli immigrati. Vederlo tirar fuori dal portafogli la tessera della mensa dei poveri è un’umiliazione anche per chi lo sta ad ascoltare. Perché M.N. lavora per lo Stato, nella scuola dello Stato”.
Sorge spontanea una domanda: è una questione di regole o di dignità di un popolo?