di Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera 11.5.2016
– Ricci (Indire) «valutiamo modelli alternativi di prova». Giovedì tocca alle superiori. La protesta: «Siamo studenti, non numeri». Una ricerca: due ragazzi su dieci non si sono preparati; uno su cinque non ha le idee chiare su cosa siano e a che cosa servano i test
Prove Invalsi al secondo round, dopo le prove alle elementari il 4 e 5 maggio,mentre fa capolino l’ipotesi che il test standardizzato arrivi alla maturità. Lo ha lasciato intendere il responsabile delle prove, Roberto Ricci, rispondendo a un a sorta di «question time» di Skuola.net. Tra le novità in gestazione da tempo – somministrazione con il pc, prove in inglese, test separato dall’esame di terza media – si parla anche di sostituire la terza prova dell’esame di maturità con i test; oppure di farli sostenere ai ragazzi fuori dall’esame, in periodi diversi, ma comunque legati all’esame di Stato. «In una direttiva di due anni fa, il ministro Giannini ha dato incarico all’Invalsi di studiare dei modelli alternativi di prova da proporre agli studenti dell’ultimo anno. Anche se questo non significa che i test arriveranno per forza alla Maturità», dice Ricci. Almeno non quest’anno o il prossimo. «I modelli sono diversi e sarà il ministro a scegliere quale attuare».
Alle superiori
Nessuna sorpresa invece per i test del 12 maggio, per gli studenti delle classi seconde degli istituti superiori. Obiettivo è sempre valutare il livello di apprendimento degli alunni e fornire al ministero le informazioni necessarie per monitorare il livello dell’istruzione nazionale e l’andamento dei diversi istituti scolastici.
In piazza
Ma se l’appuntamento del 4 e 5 maggio alle elementari non ha riservato sorprese (la partecipazione è stata alta, tra il 96 e il 98% quasi ovunque, ha reso noto l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo, Indire), la tornata di giovedì si preannuncia accidentata. Preceduta dalla consueta fanfara di polemiche, con studenti e docenti che rifiutano di essere «schedati» e organizzano la fronda contro gli «insulsi indovinelli». I sindacati della scuola (Cobas, Unicobas e Gilda) hanno indetto uno sciopero generale con manifestazioni nelle principali città. Si oppongono ai test Invalsi, ma anche alla legge 107, «al premio di merito, la chiamata diretta da parte del preside per incarichi solo triennali, l’obbligo di alternanza scuola-lavoro di 200 ore nei licei e di 400 nei tecnico-professionali, l’accordo sulla mobilità», spiega il leader del sindacato di base, Piero Bernocchi. Mentre Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola e Snals-Confsal scenderanno in piazza il 20 maggio per il rinnovo del contratto, modifiche alla legge 107, la libertà d’insegnamento, il riconoscimento del ruolo del personale Ata, la risoluzione del problema del precariato, le modalità della valutazione, e molto altro. Ma anche i ragazzi sono in stato di mobilitazione. L’Unione degli Studenti invita al boicottaggio e, dopo aver promosso una fotopetizione molto partecipata, lancia una giornata di mobilitazione: dentro alle aule invitano a scrivere «Studenti, non numeri» sui fogli delle prove. Fuori, cortei, flash mob, lezioni di piazza.
Boicottaggio
L’anno scorso il boicottaggio ci fu, e fu un «successo»: due licei su tre, soprattutto al Centrosud, rifiutarono di farsi fotografare dall’Invalsi. In gioco, allora, c’era anche la riforma della Scuola, in calendario negli stessi giorni. Ma i motivi di malcontento restano e sono tanti: contrari a un sistema «che pretende di schedare, mettere in classifica, favorire la competizione tra scuole e studenti, indirizzare e svilire la didattica rendendola un semplice bagaglio di nozioni da digerire per affrontare i test», il rischio che molti consegnino le prove in bianco c’è. L’Uds chiede che la valutazione sia parte integrante del percorso formativo, non il fine. «I test non sono obbligatori per gli studenti, ma spesso vengono imposti con la minaccia della valutazione degli stessi come compiti in classe veri e propri», sostiene Danilo Lampis, coordinatore nazionale Uds. Che annuncia anche, dopo il 12 maggio, l’apertura di uno «sportello per raccogliere segnalazioni di illegittime sanzioni disciplinari a chi sceglie di boicottare».
L’indagine
Secondo un’indagine di Skuola.net, su 8mila studenti, di cui 2.300 di seconda superiore, il 30% è a conoscenza di proteste nella sua scuola: per lo più studenti di liceo e di scuole del sud Italia. Meno «ostili» studenti di tecnici e professionali e di altre regioni. Un intervistato su 4 ha dichiarato di non voler sostenere il test: di questi, l’80% perché contrario alla prova, mentre il 20% sostiene che sarebbero stati i professori stessi ad annunciare di voler boicottare. Circa 1 su 10 degli intervistati dice che il prof avrebbe chiesto agli studenti di non presentarsi alla prova o manifestato il proposito di lasciare copiare liberamente. Due su 5 hanno dichiarato di non essersi preparati al test, perché hanno intenzione di copiare o di rispondere a caso. Un approccio più «serio» hanno quei 40 su cento che sanno che la prova Invalsi comporterà un voto di rendimento sul registro (per quasi il 70% di loro il voto farà media; per il restante 30% solo se la prova andrà bene). Soltanto 20 studenti delle superiori su cento considerano il test un modo utile per valutare la scuola e migliorarla; il 6% non si espone; la maggioranza, circa 1 su 3, pensa che una prova unica nazionale non possa tenere conto dei diversi contesti; decisamente contrari al sistema dei quiz a crocette 16 su cento. Inoltre, un buon 12% considera l’Invalsi totalmente inutile per via delle irregolarità che si sono verificate puntualmente a causa del boicottaggio di prof o studenti.
Gli studenti non conoscono i test
Resta il fatto che molti studenti non conoscono a fondo il test e le sue finalità: 1 su 5, dice sempre la ricerca, non ha le idee chiare su cosa sia e a cosa serva. Dubbi anche sul «Questionario dello studente», spesso al centro di polemiche per via delle domande sul contesto familiare e socio-economico dei ragazzi, seppure del tutto anonimo. Il 18% dubita addirittura della correttezza dei suoi professori e crede che potrebbero «sbirciare» il foglio per finalità diverse. Nell’invitare al boicottaggio, gli studenti avanzano anche una proposta: «Rifiutiamo questi test che hanno un carattere censuario e non campionario. Prescindono dalla specificità del contesto socio-economico in cui si inserisce ciascun istituto, rendendo una fotografia piuttosto distorta del sistema scolastico italiano», dice Lampis. Che spiega di essere invece favorevole a «un modello di valutazione narrativa, una descrizione che motivi il voto per aiutarci a comprendere cosa migliorare nelle singole materie, ed una nuova valutazione di sistema campionaria, indipendente e partecipata». Lo scopo, «valorizzare le strategie educative utili a far raggiungere i più alti gradi d´istruzione a tutti gli studenti, indipendentemente da logiche di merito che non fanno altro che legittimare le disuguaglianze di partenza».