Istituti tecnici economici, serve una riforma che guardi agli Its

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di Enrico Castrovilli, il Sussidiario, 8.3.2021.

Accanto agli Its, che vanno potenziati, anche nell’organizzazione, ci sono istituti tecnici, come quelli economici, che non possono attendere.

Gilda Venezia

Ha destato interesse e curiosità l’attenzione dedicata da Mario Draghi agli istituti tecnici. Draghi ha ripreso le cifre del Programma nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che intende assegnare 1,5 miliardi di euro agli istituti tecnici superiori (Its), moltiplicando di venti volte l’attuale investimento in questi Istituti, indispensabile per rispondere al fabbisogno di tecnici intermedi qualificati nell’area digitale e ambientale, avvicinando il nostro Paese al modello di formazione terziaria professionale non accademica dei paesi europei.

In Italia gli Its sono nati nel 2008, erogano corsi dopo la secondaria di almeno 4 semestri, durata 1800/2000 ore, 30% delle ore in tirocini aziendali, metà della docenza proviene dal mondo del lavoro. Il portale Its di Indire contiene: le tipologie dei corsi (suddivisi in 6 aree, 17 ambiti, 29 figure professionali), quali e dove sono le Fondazioni Its, la normativa vigente. I monitoraggi sui corsisti mostrano gli Its come un caso di successo nella formazione per il lavoro: ridottissima dispersione tra i frequentanti, occupazione pochi mesi dopo il diploma, coerenza tra la formazione e le successive posizioni professionali.

Qualche conto in Italia però non torna. I nostri Its sono frequentati da circa 15mila giovani, sono 750mila in Germania, 530mila in Francia, 400mila in Spagna, 270mila nel Regno Unito. L’Ocse inoltre (Education at a glance, Oecd 2020) considera formazione terziaria (dopo la scuola secondaria) sia i corsi universitari che quelli che nei vari paesi hanno i caratteri dei nostri Its, come le celebrate scuole tecniche superiori tedesche (Fachhochschulen o Università di scienze applicate) e i Bts francesi, tanto che il confronto mostrerebbe due eclatanti conseguenze: 1. basso numero dei nostri laureati (essendo essi la somma di coloro che hanno completato corsi accademici e corsi professionalizzanti) 2. bassa nostra spesa complessiva per l’istruzione.

Due questioni su cui si alzano alti lai di intellettuali, opinionisti e decisori politici, ignari che questi deprecabili numeri nascono dalla quasi assenza in Italia della formazione terziaria professionalizzante, talmente gracili sono gli Its. Bene ha fatto Draghi a tirarli fuori dal cono d’ombra, portandoli sul palcoscenico del dibattito del nuovo governo. Sul quale ha contribuito il lavoro fatto nei mesi scorsi dal Comitato degli esperti del ministero dell’Istruzione, coordinato da Patrizio Bianchi oggi ministro dell’istruzione.

Sugli alti lai sarebbe il caso di discutere. Perché non si sono levati quando il ministero dell’Istruzione ha dimezzato la durata dell’Alternanza scuola-lavoro cancellando la parola “lavoro”? Quale ruolo è assegnato al lavoro dalla cultura o nelle scuole? Ci sono dei malintesi da risolvere. C’è a monte un’idea distorta di uguaglianza, che proclama “tutti al liceo” in vista di “tutti all’università”. E poi? “tutti dove?”. Le idee dovrebbero favorire la costruzione compiuta della personalità, evidenziando il ruolo formativo del lavoro, che sarà più precoce per le personalità che amano operare concretamente. Qualsiasi sia l’idea di uguaglianza, essa deve permettere di essere sé stessi. Tanto più che dal mercato del lavoro giungono (Excelsior Informa 2020) notizie sulla consistente difficoltà di reperimento di figure tecniche-specialistiche o operaie qualificate.

In Senato Draghi ha concluso il suo passo sugli Its dicendo: “Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate”. Alla Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera sono in discussione alcune proposte di legge. Diversi i punti critici. Non potrebbe essere utile che le fondazioni che organizzano i corsi Its siano guidate anche da imprese e università e non solo da istituti scolastici? Il finanziamento degli Its con bandi regionali biennali non fa percepire una ridotta stabilità dei corsi? Nuove figure professionali non potrebbero colmare l’attuale vuoto di corsi Its nel campo amministrativo e gestionale? In Francia e Germania numerosi corsi hanno questa natura. Gli istituti tecnici economici (Ite, ex-ragionieri) soffrono, schiacciati come sono i loro diplomati tra lavori di ridotto contenuto professionale e corsi universitari accademici di notevole costo-opportunità. Al contrario gli Ite potrebbero essere rivalorizzati, come sta accadendo agli istituti tecnici industriali, dall’esistenza di Its che conducano al lavoro con una filiera formativa più lunga e più ricca.
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Istituti tecnici economici, serve una riforma che guardi agli Its ultima modifica: 2021-03-08T06:46:15+01:00 da
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