di Simonetta Lucchi, Huffington Post, 30.12.2023.
Parlare dei problemi della scuola a partire da chi la fa.
Non è sempre facile, talvolta, il rapporto tra docenti di disciplina e insegnanti di sostegno nel mondo della scuola. Ancora meno, qualora questi siano presenti, con gli psicologi scolastici.
Non per mancanza di volontà, o di buona volontà dei singoli educatori. Ma, spesso, per una gestione di spazi, competenze, responsabilità che andrebbe profondamente rivista e ripensata. Questo, a fronte delle continue emergenze della società che si ripercuotono sul mondo della scuola: sui docenti che, più di qualsiasi altra categoria professionale, sono sottoposti a continui analisi, giudizi, commenti, critiche, da più parti.
Niente si improvvisa e tutto si impara.
La differenza dei percorsi di studio e delle esperienze professionali rende difficile la coesistenza di ruoli e competenze, soprattutto considerando lo sbilanciamento di responsabilità in merito alla valutazione, alla gestione del gruppo classe, dei rapporti scuola-famiglia, di partecipazione agli organi collegiali che spetta sempre e comunque, per ogni alunna/o, ad un’unica figura professionale: il docente di disciplina. Il docente, per intenderci, di Storia, Matematica, Lingua 1 o 2, Latino o Scienze.
Per contro, occorre rilevare come dai rapporti MIM emerga come negli ultimi anni vi sia stato un progressivo aumento delle diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento. La percentuale media degli alunni con DSA è passata in pochi anni dallo 0,7% nell’a.s. 2010/2011 al 3,2% nell’a.s. 2016/2017, ed è andata crescendo.
Le diagnosi ormai diffusissime di psicologi e psichiatri condizionano sempre più direttamente il lavoro dei docenti di disciplina, vincolandoli per legge a approcci didattici, metodi e criteri di valutazione prestabiliti.
Si pone quindi un interrogativo di fondo che stimola il dibattito nella società, per cui si dà spesso giustamente la parola a psicologi e psichiatri. Non tuttavia ai docenti che con questi “casi” e problematiche lavorano quotidianamente. In tale prospettiva non stupisce troppo la recente dichiarazione di Massimo Ammaniti, psicanalista di fama – e padre dello scrittore e regista Niccolò, già presente in numerosi libri di testo e materiale didattico per le scuole- su La Repubblica, che esprime preoccupazioni riguardo all’educazione dei giovani, al rispetto dell’identità e delle esigenze di genere. Egli sottolinea l’urgente necessità di un approccio più approfondito nell’educazione affettiva e nelle relazioni interpersonali: “Una lezioncina di un docente disattento non aiuta a divenire consapevoli di sé stessi… È necessario un approccio professionale specifico”, suggerisce Ammaniti, e magari “l’istituzione di gruppi maschili e femminili per discutere questi temi, guidati da coordinatori esperti, preferibilmente operatori della salute mentale”. Peccato, prosegue, che non siano stati messi a disposizione dal Ministero fondi sufficienti a finanziare l’operazione.
Per ripristinare, si vorrebbe aggiungere, lezioni divise tra maschi e femmine: come solo pochi anni fa, in educazione fisica e tecnica. Dovremmo ripensarci? Per par condicio, occorrerebbe lasciare la parola anche a qualche docente di rilievo, che possa dire la sua in merito alla propria lezioncina e alla propria distrazione. Ma sono stati mai invitati?
Sarebbe auspicabile la presenza di psicologi a scuola, soprattutto previo percorso formativo in classe con relativa valutazione finale, come previsto per gli insegnanti. Che, salvo prova contraria, studiano pedagogia e educano all’espressione dei sentimenti e delle emozioni anche attraverso l’arte, la musica, la letteratura, il dialogo e l’osservazione costanti.
L’ urgente necessità di un approccio più approfondito nell’educazione affettiva e nelle relazioni interpersonali, come ben detto dal prof. Ammaniti, potrebbe riguardare anche gli adulti e i diversi ambiti professionali, soprattutto se affini. Accogliamo quindi con serietà e impegno la direttiva del ministro Valditara “Educare alle relazioni”, e non come l’ennesima “seccatura dall’alto”: confrontandoci insieme, tutti, cominciando da noi stessi.
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