di Vincenzo Pascuzzi, qui non si banna! / Dossier: Scuole private, paritarie …/ Vaticanerie, 9.3.2020
– Compie vent’anni la legge n. 62 del 10 marzo 2000 titolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”; c’è chi la cita, chi la ricorda, chi ne lamenta la mancata o incompleta applicazione; il CNSC la giudica “dimezzata” e batte cassa.
Divenute o riconosciute come paritarie ai sensi della legge citata, molte o tutte le scuole private – in particolare quelle cattoliche – hanno cominciato (o continuato con maggiore determinazione) a pretendere di essere sostenute economicamente dallo Stato come le scuole pubbliche, a dispetto della Costituzione che stabilisce “senza oneri per lo Stato” e della stessa l. 62/2000 che nulla prevede in proposito.
Negli ultimi cinque anni, le paritarie cattoliche, sostenute da parroci, vescovi, altre gerarchie ecclesiastiche, hanno rinverdito e rinominato le loro richieste di buono-scuola o quota-capitaria trasformandola in “costo standard”, sostenuto da un saggio o pamphlet scritto ad hoc e poi in numerosi articoli, incontri, dibattiti e manifestazioni (in genere ripetitivi/e e tra persone già tutte d’accordo, appartenenti ad un informale e coeso “gruppo di pressione pro-paritarie”).
L’anniversario ventennale è buona occasione per il “gruppo di pressione pro-paritarie” per rinnovare le loro richieste, argomentazioni, delusioni e speranze. Di seguito vengono esposti spunti e considerazioni per ribadire e chiarirne alcuni aspetti della vicenda “parità scolastica e costo standard”.
Parità scolastica, significato e implicazioni
La prima considerazione riguarda cosa si intende per “parità”, è opportuna perché c’è chi confonde o cerca di barare. Però il significato di “parità” è definito ed esplicitato proprio nella stessa legge 62/2000 all’inizio del comma 2 dell’unico articolo: “Si definiscono scuole paritarie …. “, quello che c’è scritto e nient’altro, punto. Invece c’è chi avanza e sostiene interpretazioni più estese e convenienti cercando il significato di “parità” non nella legge ma nelle enciclopedie, in dizionari famosi, su internet e altrove; e poi denuncia la parità incompiuta e la legge ancora da applicare e da completare perché “dimezzata”.
Altra considerazione riguarda l’appartenenza delle scuole riconosciute paritarie al “sistema nazionale di istruzione” che è pure di semplice e chiara interpretazione, concretizzata nell’”abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale” e nel riconoscimento di “svolgere un servizio pubblico”; dove pubblico consiste nel dover “accoglier chiunque richieda di iscriversi”; svolgere servizio pubblico non implica affatto che lo Stato debba finanziare le scuole riconosciute paritarie. Né è corretto citare dalla legge un inesistente “sistema integrato formato da scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie”, e non è corretto affermare che le scuole riconosciute paritarie cessano di essere private. Questo dice la legge, che può sì essere modificata e migliorata, ma che al momento è quella e risulta applicata.
La saga del “costo standard”
Il costo standard debutta, per così dire, 4 anni fa quando il periodico TEMPI, il 24.10.2015, pubblica l’articolo “Come risparmiare 17 miliardi di euro (diciassette) rendendo la scuola davvero libera” relativo al pamphlet “Il diritto di apprendere nuove linee di investimento”; il volume/saggio, con prefazione dell’allora ministro Giannini (!), che poi verrà presentato 4 o 5 volte, in giro per l’Italia, a Milano, Roma, Foggia, …. sempre con notevole eco e clamore mediatico e sui social religiosi.
La “prospettiva di almeno 17 miliardi di euro risparmiati” venne subito (dicembre 2015) comunicata direttamente all’allora premier Matteo Renzi tramite una affettuosa, fremente e sperticata lettera aperta “Caro Matteo ti scrivo… “: però nessun riscontro né risposta; tanto l’anno dopo apparve l’articolo “Ripetizioni a Renzi su come risparmiare sulla scuola”, ma anche questo del tutto inutilmente.
Dopo venne il Referendum perso e il governo Gentiloni; a Stefania Giannini succede Valeria Fedeli che eredita la gestione della vicenda nell’anno che precede le elezioni politiche, quindi con necessità di non deludere Chiesa, Vaticano, CEI, parroci e vescovi, gestori delle paritarie. Il “gruppo di pressione pro-paritarie” insegue e incalza la ministra PD, chissà forse con l’intento di conquistare il costo standard tramite un emendamento al DEF, alla chetichella, senza clamori, magari come Toccafondi fece con i 575 mln di euro. Ma il costo standard richiede un onere non di milioni, ma di alcuni miliardi (6 secondo Agesc/2007), che il governo assolutamente non ha. Fedeli allora butta la palla in tribuna e se la cava con l’idea brillante del Gruppo di Lavoro presieduto da Luigi Berlinguer. Gestori cattolici contenti, quasi entusiasti: “Il cardinale Bassetti: «Inizio di un cammino»”; “È un passaggio storico, un punto di non ritorno”.
Poi, dopo le elezioni politiche, la delusione perché il Gruppo di Lavoro – in 24 mesi – non si è mai più riunito dopo la prima volta del 20.12.2017, anzi il ministro Bussetti l’ha congelato; ciò non ostante il “gruppo di pressione pro-paritarie” continua tranquillamente a riproporlo come se avesse superato tutte le verifiche e i controlli!
Novità interessanti accadono nella corrente XVIII Legislatura, sono i due DdL relativi, uno alla modifica dell’art. 33. Cost. e l’altro all’adozione integrale del costo standard (così come richiesto dal “gruppo di pressione pro-paritarie”).
Il primo è il PdL costituzionale Comaroli (Lega) e propone testualmente, in un solo articolo, in un solo comma, in una sola frase: “Al terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione, le parole: «, senza oneri per lo Stato» sono soppresse”; cioè rimuove completamente l’ostacolo ai finanziamenti statali alle scuole paritarie.
Il secondo è il DdL Lonardo (FI), è più esteso, puntuale ed esaustivo (5 cartelle, compresa una tabella), titola “Modifiche alla legge 10 marzo 2000, n. 62”, propone di modificare cinque commi e di aggiungere al c. 4 ben 13 sotto-commi.
Due “piccoli” inconvenienti: primo, il DdL Lonardo è incostituzionale e non può essere approvato se prima non passa il PdL costituzionale Comaroli; ma conseguenza paradossale del PdL Comaroli sarebbe che con la sua approvazione verrebbero a mancare senso, significato e fondamenta del DdL Lonardo sul costa standard, inteso e nato come escamotage per aggirare proprio la norma abrogata; il secondo inconveniente e che Lega, FI e FdI sono attualmente all’opposizione e insieme non hanno in Parlamento i numeri per approvare leggi; inoltre qualora in futuro il Cdx risultasse maggioritario, non è affatto scontato che sarebbe favorevole al costo standard (ricordiamo che a suo tempo né Moratti, né Gelmini fecero nulla per dote-scuola o quota-capitaria).
Conclusioni
La vicenda o saga dell’iniziativa “costo standard” appare al momento arenata oppure giunta alla sua conclusione, pur con la malcelata delusione dei suoi determinati promotori e sostenitori – cioè del citato “gruppo di pressione pro-paritare” – ai quali può essere utile ricordare che i riferimenti altrui alla Costituzione e alle leggi vigenti non costituiscono argomentazione ideologica, pretestuosa e sbagliata perché dubita e non crede ciecamente all’ipotesi taumaturgica del costo standard.
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