La scuola e la pandemia secondo la Fondazione Agnelli: test INVALSI, capitale umano e PIL

roars_logoRoars, 25.8.2020.

Gilda Venezia

Nessuno sembra prestare attenzione  alla perdita potenzialmente più grande di tutte: quella del capitale umano”, che al momento non è quantificabile, perché “quest’anno le prove standardizzate Invalsi sono state cancellate  [..e ..] la pandemia è stata una scusa per eliminare un passaggio scolastico particolarmente inviso a molti insegnanti e a una parte della politica, anche nella maggioranza“. La  Fondazione Agnelli  allude a vecchi retroscena contro i test standardizzati, antipatici agli insegnanti e a parte della maggioranza di governo. Eppure quei test sarebbero essenziali, ci spiega il direttore Gavosto. Sono i soli a consentire la misura del capitale umano perduto a causa della chiusura delle scuole. Non soffermiamoci, per adesso, sui calcoli effettuati dai ricercatori della Fondazione: una perdita di reddito, distribuita su 40 anni, complessivamente equivalente all’83% del reddito medio attuale. Di questi parleremo più avanti. Osserviamo, piuttosto, quanto la chiarezza tipica degli economisti dell’educazione, oggi onnipresenti nel dibattito pubblico e sulla scena politica, ancora una volta sia capace di riportarci ai fondamentali. Cancellati in un colpo solo i richiami e i discorsi su uguaglianza, equità e cittadinanza con cui l’Istituto di Valutazione ha giustificato in questi anni interventi sempre più invasivi nelle scuole, restano le misure di capitale umano, degli incrementi di reddito, i test INVALSI e il PIL. La scuola, in fondo, oggi, è tutta qui. Per fortuna, la Fondazione Agnelli ce lo ricorda sempre.

Questa è un’estate particolare per la scuola italiana. Troppe le incertezze sulla ripresa di settembre, tra carenza di organici, spazi, arredi scolastici, condizioni degli edifici e organizzazione didattica, previsioni sull’evoluzione della situazione sanitaria.

Poche le certezze. Una di queste è che la Fondazione Agnelli sta continuando alacremente a lavorare per noi.  Interventi e dichiarazioni con cadenza ormai più che settimanale sulle colonne dei maggiori quotidiani nazionali, interviste radio o tv,  incontri culturali tematici [1], iniziative socio-pedagogiche o gestionali.

“L’estate offre opportunità che non vanno sprecate per preparare il ritorno a scuola di tutti i ragazzi a settembre, cominciando a recuperare quanto hanno perso durante la lunga sospensione delle attività didattiche.”

ha affermato di recente il presidente della Fondazione, John Elkann.

Ma quanto hanno perso, e cosa, gli studenti durante la pandemia?

A questa domanda aveva già provato a rispondere il direttore della Fondazione, Andrea Gavosto, in un articolo pubblicato insieme alla collega Barbara Romano, e riportato sul sito lavoce.info del 28 Luglio.

Il titolo non prospettava certo una riflessione pedagogica, a sostegno di quell’immagine dal sapore progressista che la stessa Fondazione invece coltiva e alimenta da tempo nel dibattito pubblico, per accreditarsi sia negli ambienti politici che  accademici come interlocutore qualificato in tema di istruzione. Tuttavia, quel titolo aveva il pregio dell’onestà: capitale umano e prezzi da pagare. Queste le basi concettuali a partire dalle quali costruire un’argomentazione a sostegno della necessità di test standardizzati.

Scrivevano gli autori, preoccupati:

“Nessuno sembra prestare attenzione – e soprattutto porre rimedio – alla perdita potenzialmente più grande di tutte: quella del capitale umano.”

[..]

In Italia per il momento non si può quantificarne la differenza: infatti, quest’anno le prove standardizzate Invalsi sono state cancellate e non è possibile effettuare un confronto con i risultati delle generazioni precedenti.”

Come fare, dunque per:

quantificare una perdita di apprendimento così importante in termini economici?

Gavosto e Romano si ispiravano, per questo, ad un post uscito sul blog della  Brookings Institution e affermavano:

“[Ipotizzando che ] il tasso medio di rendimento nell’istruzione sia pari circa al 10 per cento del reddito futuro per ogni anno aggiuntivo di scolarizzazione: considerando una chiusura delle scuole di 14 settimane, la perdita di guadagni futuri è pari al 3,5 per cento all’anno durante l’intero arco della vita lavorativa di uno studente.

[..]

possiamo stimare un minor rendimento annuo del capitale umano pari a 879 euro (ovvero il 3,5 per cento di un salario medio annuo, che è pari a 25.110 euro). Ipotizzando una vita lavorativa di 40 anni e applicando un tasso di sconto del 3 per cento, si ottiene un valore attuale dei mancati guadagni di 21.197 euro (84 per cento di un salario medio annuo).

[..]

una volta esteso a 8,4 milioni di studenti italiani, la cifra diventa approssimativamente di 178 miliardi di euro, ovvero circa il 10 per cento del Pil 2019.”

178 miliardi di euro persi a causa Covid, il 10% del PIL“, sembra davvero una stima preoccupante.  Tuttavia, non soffermiamoci, per adesso, sui calcoli con cui la Fondazione sostiene di poter valutare la perdita di capitale umano, ovvero una  perdita di reddito, distribuita su 40 anni, complessivamente equivalente all’83% del reddito medio attuale. Di questi parleremo più avanti, nel prossimo post.

Osserviamo, qui, piuttosto come questo dato venga utilizzato dalla Fondazione – e ripreso da più parti dalla stampa nazionale – per sostenere ancora una volta una precisa linea politica ed una specifica idea di scuola.

Oltre a calcolare e denunciare la grave perdita – economica e di istruzione dei nostri giovani – i ricercatori della Fondazione, infatti, suggeriscono come intervenire.

“In primo luogo, sarebbe auspicabile lo svolgimento a settembre delle prove Invalsi: si potrebbe così fornire agli insegnanti un quadro preciso del livello di conoscenze acquisite dai singoli studenti e tracciare le traiettorie degli apprendimenti nelle rilevazioni successive.”

A seguire, rapide (e generiche) considerazioni sul “recupero degli apprendimenti perduti”: tutoraggio individuale, lavori di gruppo, sviluppo della metacognizione.

Per chi fosse attento al dibattito sulla valutazione nella scuola e sull’evoluzione delle politiche scolastiche, la chiarezza con cui la Fondazione Agnelli espone le sue argomentazioni ha il pregio di riportare subito ai fondamentali.

i. L’istruzione scolastica è formazione di capitale umano.

ii. Il capitale umano va misurato.

iii. Per questo, servono i test INVALSI.

La definizione del test come strumento di misura della grandezza “capitale umano”, d’altra parte, non è nuova.  Lo stesso statuto dell’Istituto Nazionale di Valutazione, all’articolo 2, relativo alle “finalità” , parla esplicitamente di promozione del miglioramento della qualità del capitale umano.

La  proposta di svolgimento dei test a Settembre, quindi, va a rafforzare e dare nuova luce, a mesi di distanza, a quanto già prospettato in piena chiusura scolastica dalla Presidente INVALSI.

Recuperare i test standardizzati non svolti durante quest’anno acquisterebbe, a questo punto, una duplice valenza. Non solo darebbe agli insegnanti quella famosa “bussola” di riferimento, di cui parlava la presidente Ajello, per poter superare l’autoreferenzialità e orientare l’attività di recupero, avendo una validazione “scientifica” della bontà del loro operato a distanza;  ma servirebbe anche al  concreto scopo di non perdere dati necessari alla quantificazione e misurazione del capitale perduto. In questo modo, la stima di perdita di Pil potrebbe migliorare in accuratezza.

A pochi giorni di distanza, lo scorso 2 agosto, le preoccupazioni della Fondazione relative all’ “evaporazione” del Pil, insieme al nostro capitale umano, trovano spazio anche in un lungo articolo dell’Espresso, dal titolo “Emergenza Educazione. Per loro la scuola è già finita.“, in cui sempre il direttore Gavosto, intervistato dalla giornalista, afferma:

Iniziano ad esserci anche le prime stime economiche, su cosa significa questo buco formativo in termini di capitale umano che evapora: per l’Italia la prospettiva è di perdere nel prossimo futuro il dieci per cento del Pil.

E ancora, in data al 17 Agosto, un nuovo articolo dal titolo “Subito un piano di emergenza contro la perdita di apprendimenti“, stavolta sul sole 24 ore, continua a battere lo stesso ferro – Test INVALSI subito per quantificare il PIL perduto!- rilanciando l’urgenza di un piano per il recupero della “learning loss”.

“In Italia non si può calcolare esattamente l’entità della perdita di apprendimenti sofferta dagli studenti. Le prove Invalsi di primavera sono state infatti cancellate: la pandemia è stata una scusa per eliminare un passaggio scolastico particolarmente inviso a molti insegnanti e a una parte della politica, anche nella maggioranza. Questo, però, ci priva dello strumento per misurare il calo degli apprendimenti degli studenti nel 2020, paragonandone i risultati con quelli delle generazioni precedenti. Pare non ci sia intenzione di recuperare i test a settembre: per conoscere la learning loss di quest’anno, dovremo quindi aspettare fino a giugno 2021.”

Stavolta, alle stesse argomentazioni e agli stessi spericolati calcoli “del costo potenziale del coronavirus nei prossimi decenni, pari al 10% del Pil“, si aggiunge l’eco di antiche cospirazioni e macchinazioni, ordite da una imprecisata maggioranza, alleata a gruppi di insegnanti NO-INVALSI.

A chi si riferisce il direttore Gavosto quando dice che la pandemia sarebbe stata usata come “scusa” per non svolgere i test INVALSI? Al Ministro Azzolina? Al Ministro Speranza? Al Comitato tecnico scientifico? Ai sindacati (che di questi tempi sono meglio del prezzemolo)?

Il quadro sembra chiaro. L’ “artiglieria” dell’informazione pubblica a sostegno di una rapida ripresa delle procedure e degli algoritmi di valutazione standardizzata messi in ginocchio dall’eccezionalità della condizione di emergenza, è ormai ripresa a ritmo incalzante.

Ciò che sembra altrettanto chiaro è che nonostante gli strenui tentativi di inquadrare l’uso dei test in un’ottica significativa per la scuola e per gli studenti -in cui ciclicamente i dirigenti INVALSI si cimentano durante interventi o editoriali pubblici –le cose possano essere dette in maniera ben più semplice.

Gli sforzi di confezionare per l’opinione pubblica un’immagine “progressista” del  test standardizzato,  come “presidio di equità”,  come “strumento garanzia di uguaglianza di opportunità e di risultato per tutti”, come verifica di “competenze per il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza”- sforzi  messi in campo dall’ INVALSI o dai commenti a legittimazione della misurazione censuaria degli apprendimenti   (si veda, ad es. qui,  qui o qui) – sono sicuramente prova di un’inossidabile capacità retorica. Tuttavia, che piaccia o meno, quegli sforzi sostengono una precisa idea di istruzione, di funzione della scuola e di cittadinanza democratica.

A cosa serva la scuola oggi, lo dice il calcolo della percentuale di PIL che Andrea Gavosto continua a riproporre. E quanto la scuola oggi funzioni, potrà dircelo solo il test INVALSI, strumento di misura del capitale umano.

In una scuola siffatta, all’interno di un sistema in cui il modello di sviluppo economico e sociale è quello attuale, l’ “uguaglianza di opportunità” a cui l’istruzione è chiamata a concorrere si riduce ad una nominale  “uguaglianza di risultati”, intesi come esiti  visibili, misurabili e confrontabili di un test uguale per tutti. Concezioni di scuola, uguaglianza e giustizia che stiamo rincorrendo da oltre 20 anni, con gli esiti che conosciamo. Concezioni che, in un mondo diseguale, oltre ad essere asfittiche, hanno dimostrato tutta la loro inefficacia.

Fortunatamente, la Fondazione Agnelli e gli economisti dell’educazione ce lo ricordano sempre con chiarezza.

 

1] Si vedano, per avere un’idea, le pagine social della Fondazione Agnelli o si scorra la rassegna stampa sul sito della Fondazione. Alcuni esempi sulle pagine dei quotidiani seguenti: La Stampa,  il Sole 24 OreLa RepubblicaCorriere della Sera, in meno di un mese.

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La scuola e la pandemia secondo la Fondazione Agnelli: test INVALSI, capitale umano e PIL ultima modifica: 2020-08-26T05:43:18+02:00 da
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