di Christian RaimoInternazionale 29.8.2019
– La politica deve restare fuori dalla scuola: nell’ultimo anno ci sono stati vari episodi e dichiarazioni che hanno alimentato questo tipo di retorica.
Il caso più eclatante è stato quello dell’insegnante palermitana Rosa Maria Dell’Aria, sospesa 15 giorni lo scorso maggio per non aver vigilato sui suoi studenti che avevano preparato un lavoro scolastico in cui si paragonavano leggi razziali e decreto sicurezza. L’allora ministro dell’istruzione Marco Bussetti e quello dell’interno Matteo Salvini hanno prima lasciato che la sanzione facesse il suo corso; poi, in seguito alla vasta rete di solidarietà che si era formata a sostegno dell’insegnante, hanno messo in scena una specie di rito di perdono, incontrando Dell’Aria, che il 27 maggio è rientrata in classe. Nonostante le promesse, però, il provvedimento nei suoi confronti non è stato annullato, nessuna delle autorità coinvolte ha chiesto scusa e a giugno il suo avvocato ha depositato un ricorso contro il Miur e lʼufficio scolasticodella regione Sicilia. Dell’Aria comincerà il nuovo anno con il procedimento ancora aperto.
All’inizio di agosto la sindaca di Monfalcone Anna Cisint ha scritto un post su Facebook contro gli “insegnanti politicizzati”, lanciando contemporaneamente una campagna con l’hashtag #fuorilapoliticadallascuola e difendendosi in maniera aggressiva da chi l’ha da subito criticata.
I ragazzi mi hanno raccontato di situazioni gravi, di negazionismo, odio verso il Ministro Salvini e verso di me tutto dichiarato in classe durante le ore di lezione. Ma come, non siete per la verità sempre e comunque? Non siete per la democrazia e la libertà di opinione? E allora perché l’ascolto genera una tal angoscia? Male non fare paura non avere e se non avete la coscienza sporca state sereni. Vergogna è altro, è usare i ragazzi.
A un episodio come quello di Dell’Aria o alle parole come quelle di Cisint non mancano mai le reazioni preoccupate da parte di sindacalisti e politici: tanti richiamano ogni volta l’articolo 33 della costituzione (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”), che stabilisce come anche l’educazione politica sia una parte fondamentale di qualunque pedagogia.
C’è però un segno dei tempi più importante da cogliere in questi episodi. Per decenni l’idea che la scuola fosse un laboratorio politico è apparsa una cosa ovvia, oltre che una prospettiva che faceva eco allo spirito costituzionale. Prendiamo i discorsi di Piero Calamandrei, uno dei costituenti più autorevoli, sulla scuola: un classico del pensiero politico novecentesco, testi cardinali di un eventuale programma di educazione civica. Oggi la domanda che ci possiamo fare è: sarebbero tacciati di eccessiva politicizzazione?
Anche chi non frequenta il mondo dell’educazione può giungere alla constatazione opposta: almeno un decennio di retorica antipolitica ha fatto sì che ci sia poca politica a scuola. Nelle classi, fuori dalle classi. E questo non nel senso che viene evocato dai mezzi d’informazione impauriti – insegnanti che inscenano comizi, libri di testo che fanno propaganda… – quanto nel senso dell’immiserimento del dibattito pubblico sulla scuola, sempre più legato a questioni amministrative o rivendicative (concorsi, assunzioni, salari), e sempre meno a temi di pedagogia pubblica. Quei luoghi fondamentali di partecipazione democratica che sono gli organi collegiali (la cui istituzione nel 1974 fu un caposaldo del riformismo degli anni settanta), ossia i collegi dei docenti, i consigli di classe, oltre alle assemblee degli studenti, sono spesso ridotti a dirimere questioni legate al qui e ora del singolo istituto.
Un’assenza pesante
Quello di cui invece ci sarebbe bisogno sarebbe un confronto sul ruolo che deve avere la scuola nella società. Così è sembrato naturale che il 10 luglio la pubblicazione del rapporto annuale dell’Invalsi abbia aperto un dibattito che nel novecento italiano era stato di altissimo livello, grazie a tre tradizioni che si sono intrecciate: quella marxista, quella cristiana e quella laica.
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