di Raimondo Rosario Giunta, La scuola brucia! / School is Burning!, 31.5.2020
– Si pensava che fosse una dichiarazione dal senno uscita per caso quella dei dirigenti scolastici che alcune settimane fa gridavano “LASCIATECI LAVORARE” e invece era il preannuncio del documento uscito da poco a nome dell’ANP, uno dei sindacati dei dirigenti scolastici, che crede fin dalla sua nascita di essere l’unica voce autorizzata a parlare come si deve della scuola. Un documento per nulla originale nelle tesi di fondo che inopportunamente e con clamore viene lanciato nei giorni in cui per inadeguatezza crollano i miti delle leadership solitarie, degli uomini soli al comando, perché, come sempre insegna la vita, nei momenti buoni e soprattutto in quelli cattivi il rapporto fiduciario, il dialogo, la collaborazione tra le persone sono gli unici mezzi per fare bene tutto quello che deve essere fatto.
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Che cosa vuole l’ANP? Di cose ne vuole tante, ma quella che fra tutte le preme è l’eterna richiesta di pieni poteri a scuola, accampata con il pretesto che le difficoltà create dall’epidemia esigano risposte chiare, immediate e indiscutibili. A questa richiesta se ne accompagnano alcune che si dispongono come semplici corollari. In termini vagamente istituzionali chiede di ridefinire i ruoli del personale della scuola così come le relazioni della scuola con studenti, famiglie e territorio; in termini più comprensibili vuole ridimensionare l’autonomia professionale dei docenti e riformulare l’attuale struttura degli organi collegiali, che di fatto non prevedono un capo che comanda, ma un una persona capace di governare in situazioni di democrazia diffusa. L’ANP vuole che i dirigenti scolastici siano liberati da ”vincoli e costrizioni che nulla hanno a che fare col principio costituzionale del buon andamento, ma che favoriscono al contrario conflittualità deleterie per il clima relazionale e in definitiva per la funzionalità del sistema”. Richiamare la Costituzione per cancellare la democrazia nelle scuole e la libertà di insegnamento addebitando ad esse la causa di conflitti e di disfunzionalità è quanto di più grottesco si potesse escogitare. Sono le parole di chi non conosce né il linguaggio della democrazia, né il linguaggio della pedagogia, né il linguaggio della buona gestione.
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Essere liberati da ogni forma di confronto e di controllo non basta; chiedono che in loro soccorso venga creata una stabile struttura intermedia, che consenta di alleggerire di fatto il rapporto diretto del dirigente con gli insegnanti e di allontanarlo dall’immersione nella gestione di un’istituzione, che ogni giorno deve potere stabilire le sue regole e i suoi scopi su una varietà di accadimenti che rischiano di metterla in difficoltà. Per riservarsi il tempo e lo spazio necessari per pensare orizzonti di più vasta portata…
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Il dirigente, però, non potrebbe comandare a proprio piacimento nella scuola, se non potesse disporre secondo propri criteri, insindacabili nel vero senso della parola, di fondi adeguati con cui premiare e fidelizzare gli insegnanti che non fanno storie; anzi, gli insegnanti che fanno la corsa per accaparrarsi incarichi ed emolumenti. L’ANP chiede “l’incremento dei fondi a disposizione dei dirigenti scolastici per compensare il lavoro straordinario, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, del personale docente e ata”. Si noti bene: si parla di fondi a disposizione dei dirigenti scolastici, non della scuola. Le richieste attinenti all’esercizio libero dei poteri del dirigente scolastico, a mio parere, sono il pezzo forte del documento dell’ANP; le altre, però, non possono essere prese e accettate come ovvietà sulle quali sorvolare, perché di fatto tendono a disegnare una scuola diversa da quella che abbiamo. Quando si parla di spazi di apprendimento “generalmente schiacciati sulla didattica di aula”, non ci vuole molto a capire che nei desideri di questa organizzazione la didattica a distanza non vuole essere una soluzione di emergenza, ma un’opportunità da sviluppare come struttura di sistema, per le diverse evenienze e comunque a danno della formazione in presenza e della coesione del gruppo classe, con tutto quello che può significare in termini di educazione delle nuove generazioni. Ne consegue che debbano essere potenziate le infrastrutture di rete e le strumentazioni digitali in tutte le scuole, “per garantire lo svolgimento di attività in modalità sincrona e asincrona”, cioè con attività in cui molti insegnanti diventano assistenti d’aula e che possono non essere pertinenti con quello di cui una classe ha davvero bisogno e con attività svolte da insegnanti per gruppi di alunni lasciati per necessità nei loro domicili. La fattibilità di questa proposta dipende ovviamente dall’attuazione di un adeguato piano di formazione di tutti i docenti sia dal punto di vista tecnologico sia, soprattutto, da quello didattico.
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Per l’Anp nel futuro della scuola non ci sono più le classi omogenee per età, che si succedono le une alle altre secondo un criterio di difficoltà e di complessità crescenti. La scuola che pensa l’ANP è una scuola a domanda individuale, quella in cui le famiglie scelgono la dieta curriculare per i propri figli e gli alunni si costituiscono in gruppi in funzione delle opzioni fatte. E’ la scuola a immagine e somiglianza dell’individualismo delle famiglie e che non si pone più lo scopo di essere luogo di educazione all’appartenenza e al senso della comunità. Solo così si spiega la richiesta dell’incremento degli organici “per garantire insegnamenti differenziati e personalizzati” e quella dello snellimento dei curricoli ordinamentali, per offrire “maggiori opzionalità e facoltatività per le scelte delle famiglie”.
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La scuola che si conosce e che dovrebbe restare è un’altra cosa. E’ il luogo in cui si riuniscono soggetti in età di formazione per dare loro la possibilità di pensare il loro avvenire in comune, perché la scuola è apprendere insieme e non ha alcun senso trasformarla in una congerie di vane e impossibili risposte a domande individuali. Se la scuola non ha un progetto comune per tutti gli alunni, finisce di essere progetto educativo per tutti e se non la si fa funzionare in questo modo, vuol dire che si ha intenzione di cancellare fin dai primi anni di formazione scolastica ciò che può unire le nuove le nuove generazioni. Ridotta alla misera funzione ancillare delle esigenze delle famiglie l’istruzione non avrebbe più una funzione pubblica, sociale ed educativa e un Governo che si rispetti non può prendere sul serio queste specifiche richieste dell’ANP; significherebbe che non ha alcuna intenzione di proteggere la scuola dalla mercificazione del sapere e dall’individualismo dei suoi utenti. La scuola pensata dall’ANP non potrà mai essere luogo di convivenza e di integrazione dei diversi. Come non bastasse, l’impostazione dell’offerta formativa per insegnamenti differenziati e personalizzati accrescerebbe l’ineguaglianza a scuola, perché non tutti sanno scegliere gli insegnamenti più convenienti e hanno gli strumenti per scegliere. All’ANP piace una scuola che non vuole colmare le fratture sociali; piace una scuola che promette di accentuarle e quindi di riprodurle. Una scuola che non è quella della Costituzione.
Ai progetti dell’ANP, come a certe velleità autoritarie di certi dirigenti scolastici, è di ostacolo lo stato giuridico dell’insegnante, imperniato sulla libertà di insegnamento ,sulla stabilità della sede, sull’orario di cattedra e sulla distinzione tra insegnamento e attività funzionali all’insegnamento, quest’ultime regolarmente quantificate. Nei progetti dell’ANP invece sarebbe necessario finalmente “superare la rigida delimitazione a 18 ore della tradizionale cattedra” e stabilire l’apertura delle scuole su un arco di 8-10 ore. Ma per fare che cosa?
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Se il problema è quello di garantire un sistema di istruzione efficace e rispondente alle necessità del momento e della società, questo problema non trova la soluzione nel dotare di maggiori poteri il dirigente scolastico, ma nel riaffidargli e ricordargli le sue responsabilità di leadership morale ed educativa nella propria scuola. L’autorità di un dirigente scolastico non può fondarsi sul potere di assegnare discrezionalmente premi di incentivazione, sul rafforzamento dei poteri disciplinari, sulla sua posizione gerarchica, sulla sua superiorità nei confronti degli organi collegiali, sentiti eventualmente e a malapena sulle materie più importanti della vita di un istituto. In una comunità educativa che fa propri i valori della democrazia, del dialogo professionale l’autorità del dirigente scolastico si deve fondare sulla capacità di fare della propria scuola un modello di convivenza collegiale e culturale. L’autorità di un dirigente non può derivare dalla somma di tutti i suoi poteri, ma dalla quotidiana testimonianza della propria coerenza tra principi e prassi, dalla capacità di spiegare e giustificare anche in termini morali le proprie decisioni.
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Il problema che c’è a scuola è quello di trovare ogni giorno ragioni e significato dell’educare e dell’essere educati. Chi conosce la fatica del fare scuola sa che non c’è alcun bisogno di padroni, ma di professionisti riflessivi, dotati di scienza, di esperienza e di intuizione creativa. La scuola ha bisogno di collaborazione, non di intimidazione; di dirigenti che facciano degli insegnanti dei leaders educativi, capaci di iniziativa, e non dei docili e impauriti subordinati. La scuola ha bisogno di dirigenti che siano uomini di cultura capaci governare.
L’autonomia ha un senso se viene pensata e gestita per dare diritto di parola, per consentire la partecipazione a tutte le scelte; per valorizzare tutte le professionalità esistenti in ogni singolo istituto. L’autonomia scolastica funziona efficacemente e dà buoni frutti solo se c’è cooperazione, dialogo tra le componenti professionali. Senza un reale potere sul proprio lavoro, senza autonomia intellettuale non c’è professionalità e senza professionalità dei docenti non c’è autonomia. I dirigenti che vogliono comandare e solo comandare devono ricordare che scuole senza gli insegnanti che vi lavorano con il loro sapere, con la loro cultura, con la loro professionalità, con il loro spirito di sacrificio e con la loro dedizione non ne esistono. Proprio per questa loro ineludibile centralità, laddove c’è ancora qualche traccia di intelligenza pedagogica, ci si preoccupa di assicurare ai docenti le migliori condizioni di lavoro.
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L’insegnamento appartiene alla categoria delle attività intellettuali, alle quali togliere libertà e autonomia è togliere l’aria che serve per vivere. Ai dirigenti che non vogliono intralci si deve ricordare che la libertà di insegnamento ha rilevanza costituzionale e non si piega alle loro interessate e comode interpretazioni e non può essere subordinata alla capziosa interpretazione del buon andamento affidato nelle mani esclusive del dirigente, se non altro perché la responsabilità educativa a scuola è ancora collegiale e appartiene al Dirigente come ai consigli di classe, come al Collegio dei Docenti e al Consiglio di Istituto.
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Raimondo Giunta
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