Lavagne in cambio della spesa, gite ai reparti corse. La scuola assediata dalle proposte aziendali

di Corrado Zunino, la Repubblica, 23.10.2023.

La proliferazione dei marchi in classe allarma i professori: “Vogliono ragazzi fidelizzati, il problema è che gli istituti hanno poche risorse”. L’Associazione presidi: “Qualche aiuto non fa male”.
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Gilda Venezia

ROMA – La scuola italiana è assediata dai marchi industriali. Ci sono catene alimentari – Conad – che regalano lavagne interattive a fronte di un volume di spesa al supermercato da parte dei genitori degli alunni beneficiati. Altri iper – Despar – insegnano la buona educazione alimentare. Multinazionali del telefonino spingono per l’inclusione femminile nel mondo digitale. Case di prodotti per l’igiene, in pieno Covid, hanno cercato fette di mercato tra le aule degli istituti. La scuola italiana è limitata nella sua capacità di spesa, istituto per istituto, e questo governo non ha fin qui cambiato il verso di una colpevole lacuna delle istituzioni contemporanee. Il privato produttivo, colto il problema, si è insediato nel mondo dell’istruzione pubblica perseguendo le proprie finalità commerciali, persuasive, di buona immagine.

Solo controllando le mail ricevute negli ultimi due anni dall’account della newsletter “Dietro la lavagna”, si scopre che 50 marchi aziendali hanno promosso iniziative insieme alla scuola italiana.

Alcuni esempi servono a comprendere il fenomeno. Holding Moda, polo produttivo del Made in Italy, undici aziende al suo interno, ha avviato – “rafforzando il proprio impegno nell’education” – un percorso di orientamento rivolto agli studenti della secondaria di primo grado in sei regioni italiane, sedi, appunto, dei principali distretti della moda. Ovs, abbigliamento e accessori, insieme a Weschool ha lanciato un progetto di orientamento “per aiutare studentesse e studenti a raccontare i propri talenti grazie a immagini e parole”. L’obiettivo dell’iniziativa, si comprende, “è avvicinare 400 ragazzi al mondo del lavoro”.

Il progetto Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship dal 2014 si affida alla “responsabilità sociale” dell’azienda per consentire a venti studenti “tra università e scuole d’eccellenza” di fare esperienza all’estero (Harvard, Oxford, Cambridge, il Max Planck Institute). Al ritorno, spenderanno le competenze acquisite in Italia. Il Programma Zegna arriva a distribuire ogni anno un milione di euro.

I fornitori di gas spiegano l’ambiente

Non stiamo parlando di formazione professionale, ma di scuola pubblica e statale, a partire dalle classi della primaria. Estra, fornitore di luce e gas, ha appena avviato la seconda edizione di “Scuole viaggianti” all’insegna dell’innovazione e del teatro. “Mira a educare le nuove generazioni alla sostenibilità ambientale”, si legge. Il gas resta, fino a prova contraria, un’energia pesante, inquinante. L’anno scorso “Scuole viaggianti” ha educato 40.000 alunni di cinque regioni. Il Gruppo Hera, multiutility italiana nel campo dei servizi energetici, idrici e ambientali, ha voluto rafforzare la propria immagine con “La grande macchina del mondo”, progetto didattico di educazione ambientale e divulgazione scientifica per le scuole di ogni ordine e grado. E poi c’è Eni, primo produttore energetico del Paese, contestato in piazza dai ragazzi di “Fridays for future” per l’insistenza sul fossile e chiamato a distribuire in classe premi per i lavori studenteschi sulla transizione energetica.
Samsung allestisce “Innovation Campus” per offrire agli scolari competenze digitali avanzate, “necessarie per essere competitivi in un mercato del lavoro in continua evoluzione”. Lenovo, multinazionale hi-tech, organizza webinar per sviluppare le attitudini Stem (matematiche dure) degli studenti e dei loro insegnanti. Fujifilm a Cremona ha presentato, insieme alla Federazione italiana canottaggio, un progetto per promuovere la cultura sportiva tra i giovani. E il gigante tra i giganti, il postino globale Amazon, dona credito virtuale agli istituti italiani con l’iniziativa “Un Click per la scuola”.

Con Legambiente e Save the Children

Molte aziende private, che esplicitano appunto una propria coscienza sociale e in diversi casi la praticano, si sono avvicinate ad associazioni di provata serietà civile come Legambiente, Cittadinanzattiva, Save the children. E con loro sono entrate nelle classi italiane. Dove, azienda di igiene personale di proprietà del colosso Unilever, con l’influencer Aurora Ramazzotti (figlia del cantante Eros) ha iniziato un percorso formativo “per aiutare i ragazzi ad essere più consapevoli e autotutelarsi dai messaggi tossici veicolati sui social media”. Si chiama “Il costo della bellezza”. Il ministero dell’Istruzione e del Merito crede nell’iniziativa privata. Giovanni Russo, capo segreteria della sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, ha detto: “Siamo felici che progetti come questa campagna di sensibilizzazione, dalle finalità sociali rilevanti, diano priorità massima al benessere e alla sicurezza dei giovani cittadini”.

Lo sport, nella nostra scuola, lo può promuovere Decathlon. La diffusione della corretta idratazione è un compito di Levissima. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, guidato da Gilberto Pichetto Fratin, è riuscito ad accompagnare 400 studenti delle scuole superiori al reparto corse della Jaguar Tcs. L’iniziativa “didattica ed educativa” serviva “per comprendere come la mobilità elettrica e le innovazioni sviluppate nella stagione dell’Abb Fia Formula E World Championship dal team Jaguar possano dialogare con la Generazione Z”. Così il comunicato di presentazione.
La big company Dyson produce purificatori d’aria, e in due istituti milanesi, ha prodotto uno studio che, “grazie alla tecnologia indossabile distribuita agli studenti”, rilevava la qualità dell’aria dentro e fuori gli edifici scolastici e nel tragitto casa-scuola.

Impegnate le associazioni di settore

Nel largo bacino della gioventù che si sta scolarizzando s’impegnano anche le associazioni di settore. Federorafi ha dato corpo a un dossier in cui rivela che il 28 per cento degli studenti di medie e superiori farebbe volentieri il gioielliere. I costruttori dell’Ance si esprimono sulla buona edilizia e il Consorzio nazionale imballaggio alluminio spiega agli alunni le buone pratiche ambientali. La didattica trasformativa è consegnata, infine, al Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi in legno.

Alcune iniziative sono vicine al core business dell’azienda proponente, altre a distanze siderali. Servono come spunto per farsi conoscere. E la questione è: sono utili queste attività extra a creare conoscenza, competenza e consapevolezza in adolescenti che si stanno formando culturalmente e nella coscienza?

Sono i dirigenti scolastici, allargati nei loro poteri dalla Legge 107, a decidere quali proposte private accogliere a scuola. E a quale prezzo. Diverse iniziative vengono lanciate nelle grandi fiere scolastiche, a partire da Didacta Italia, l’evento che si svolge ogni fine inverno nella Fortezza da Basso di Firenze.

“Anni di indottrinamenti mediatici”

Di fronte alla proliferazioni dei marchi industriali nelle classi del Paese, la scuola mostra insofferenze. In alcuni casi si dice allarmata. Mario Rusconi, storico preside romano, sostiene: “Penso che gli studenti siano stati abbondantemente fidelizzati e cerebrolavati da anni di indottrinamenti mediatici. Se poi alle scuole arrivano fondi e risorse dall’esterno, tutte saranno liete di accoglierli, purché non siano legate a condizioni di intollerabile reciprocità”.

“Gli alunni hanno bisogno di relazioni salde”

Vittorio Carotozzolo è il docente di Lettere della scuola media Bresadola di Trento che sta guidando le sue classi alla conquista di premi internazionali per i cortometraggi prodotti. Ora ragiona: ”L’invasività dei marchi e la pressione delle lobby, soprattutto tecnologiche, è evidente: le mura dell’innocenza scolastica sono già state violate da tempo, avendo come apripista l’editoria. Ora il tam tam separatista dell’Intelligenza artificiale – o con noi o contro di noi – pervade i discorsi dirigenziali tacciando di passatisti coloro che sono professionalmente cresciuti rimboccandosi le maniche e guardando negli occhi gli alunni. Sembra che la tecnologia debba essere la risposta ai problemi dei giovani nella scuola, ma gli alunni hanno necessità di relazioni umane salde ed efficaci”.

Valeria Longobardi, insegnante di Lettere al Liceo classico Plinio Seniore di Castellamare di Stabia, Napoli, è sulla linea dell’allarme: “Sono una dipendente, volendo anche servitrice, dello Stato e sono convinta del fatto che la scuola debba restare un’emanazione dello Stato, pubblica e indipendente. Negli ultimi vent’anni, però, si sta affermando sempre più una visione liberale-liberista dell’economia applicata anche all’istruzione che non condivido, ma di cui comprendo appieno motivi e finalità: attraverso la scuola si arriva a chiunque, bambini, ragazzi e adulti. La scuola è un amplificatore di novità e un potente mezzo di comunicazione, può davvero innescare processi di cambiamento della mentalità, delle coscienze e dei consumi. Ecco perché è appetibile ai privati. Per contro, negli ultimi anni, sulla scuola italiana cadono a pioggia quantità di soldi notevoli: Fondi Pon, Pnrr, progettualità regionali che fanno gola ai privati per entrare nel meccanismo virtuoso e sicuro della Pubblica amministrazione. Responsabile di tutto, grazie alla Buona scuola, è il dirigente scolastico, non più il collegio dei docenti. Il ds spesso sceglie sponsor e partner territoriali non in vista del bene della collettività, ma del proprio utile. Il vero ruolo della scuola deve essere sempre più quello di costruire menti pensanti, critiche e contrarie alle logiche commerciali che ci vedono come consumatori e non come persone. La scuola pubblica dovrebbe essere la voce della Repubblica italiana e della Costituzione. Anche prima dell’autonomia scolastica i privati entravano nelle scuole, ma istituivano borse di studio per gli studenti meritevoli e in condizioni economiche svantaggiate, proponevano concorsi che hanno permesso a tanti ragazzi di fare bellissime esperienze e di scoprire talenti inaspettati. Oggi non si guarda all’alunno nella singolarità, al suo talento personale e ai suoi bisogni educativi, ma alla massa indistinta dei consumatori”.

“E’ il frutto della didattica per competenze”

Salvo Amato, insegnante di Informatica all’Iis Cucuzza Euclide di Caltagirone, Catania, è il primo animatore della pagina Facebook “Professione insegnante”. Sulla questione marchi in classe dice: “Sono la naturale evoluzione della cosiddetta didattica per competenze. Le fondazioni industriali propongono sempre più un insegnamento in superficie, funzionale a produrre un lavoratore da inserire subito nel mondo del lavoro e per questo entrano a vario titolo negli affari della didattica scombinandola. I programmi per competenze importati dagli Usa qualche anno fa stanno provando a fare questo: via le conoscenze approfondite e spazio alle competenze spicciole. La scuola deve essere totalmente svincolata dagli interessi economici di qualsiasi natura per essere propriamente libera”.

“Lo studente diventi sponsor di se stesso”

Anche Carlo Albarello, docente di Lettere al Liceo scientifico Curiel di Padova, è critico: “Dobbiamo aiutare lo scolaro a disfarsi dello sponsor e accettare la fatica di essere gli unici sponsor di se stessi. Il privato deve restare privato perché già c’è una forte intromissione nella formazione da parte delle case editrici”. Rosa Sigillò, insegnante vicina a Fratelli di Italia, già presidente del sindacato precari Mida, assicura: “Il problema è che questo avviene da anni, ma solo al Nord. Le banche donano materiale tecnologico e didattico in cambio di sponsor. Bisogna guardare i bisogni reali e le nostre scuole sono povere”.

Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, dice: “Tendenzialmente non sono contrario, qualche aiuto non fa male. Come sempre, è una questione di equilibrio. Al momento, il ricorso a questa modalità di supporto non mi sembra eccessivo”. E Alfonso D’Ambrosio, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Lozzo Atestino, nel Padovano, spegne l’allarme: “Non percepisco tutte queste iniziative, se non quella più importante di Amazon. Comunque, ci sono sempre state e sempre ci saranno. I dirigenti scolastici devono preferire contributi di aziende mirati a progetti specifici, come il contrasto alla dispersione o l’aiuto alle famiglie fragili. Abbiamo bisogno di collaborazioni per realizzare percorsi condivisi”.

Beppe Bagni, già segretario del Cidi, il Centro iniziativa democratica insegnanti, sostiene questo: “I beni comuni sono tali se gravano sulla comunità. È il modo per conferire loro valore. Quando si accetta che sopravvivano grazie al marketing privato perdono qualunque valore per la collettività. La scuola è il bene pubblico più prezioso perché stabilisce la qualità del futuro della comunità avendo il compito di crescere il futuro cittadino. Dare agli studenti il messaggio che devono consumare le merendine per finanziare la scuola è una pessima scelta. Peggio, una vergogna”.

Massimo Arcangeli, linguista dell’Università di Cagliari, organizzatore della kermesse “La voce della scuola”, dal 26 al 29 ottobre ad Ascoli Piceno, si oppone al fenomeno: “Penso sia una deriva”, chiude, “l’ennesimo effetto di una marketizzazione della cosa pubblica che è passata a suo tempo per la proposta politica e che sta ormai brandizzando tutto. Di questo passo, parallelamente all’aziendalizzazione di scuole e università, strapperemo definitivamente via gli studenti dalle aule scolastiche e li porteremo direttamente sul posto di lavoro”.

 

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Lavagne in cambio della spesa, gite ai reparti corse. La scuola assediata dalle proposte aziendali ultima modifica: 2023-10-24T06:21:11+02:00 da
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