Le scuole “private paritarie cattoliche” che si etichettano come “pubbliche”

– A firma della ben nota, attivissima, onnipresente suora “pasionaria delle paritarie” (1), per di più accreditata dal Miur (ministra Fedeli) come “esperta politiche scolastiche” (2), Tecnica della Scuola pubblica l’articolo “Quando il servizio dell’istruzione è pubblico?” (3) (*); articolo che rispolvera e ripropone, accanto a considerazioni ovvie e scontate, anche alcuni errori grossolani e pericolosi, divenuti endemici nell’ambito delle scuole “private paritarie cattoliche”. Vediamone alcuni rispolverando e richiamando osservazioni già fatte fin da quasi dieci anni addietro.

Le scuole paritarie non sono pubbliche

Nell’uso semantico generale e corrente, cioè della gente comune, ma anche istruita, laureata o di più, per scuola pubblica – contrapposto a scuola privata – si intende scuola statale o comunale gratuita o quasi; mentre per scuola privata si intende scuola cui si accede tramite pagamento di una retta da 2 o 3.000 euro/anno fino a 6, 7.000 o anche più euro/anno.
Se invece per etichettare come privata o pubblica una scuola, ci si riferisce alla sua proprietà, alla sua gestione, al tipo di servizio proposto, possiamo avere differenti classificazioni; in particolare abbiamo le “scuole private paritarie cattoliche che svolgono servizio pubblico” perché devono accogliere chiunque paghi le rette; abbiamo anche le “scuole private non paritarie che svolgono servizio pubblico” di fatto, se accolgono chiunque lo richieda.

Dove nascono gli equivoci (forse voluti)

La legge n. 62/2000 recita testualmente: “Il sistema nazionale di istruzione …. è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”.
Ma Anna Monia Alfieri riporta invece, con aggiunte: “il Servizio Nazionale di Istruzione è formato da scuole pubbliche statali, gestite dallo Stato, e scuole pubbliche paritarie, gestite da Enti privati, Comuni e Province”; questa citazione è diversa – e perciò è errata – da quella della legge sulla parità scolastica sopra riportata; se si tratti di svista, errore involontario, astuzia, inganno cioè errore voluto non è dato sapere.
Una possibile interpretazione malevola o maligna (A pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina. Giulio Andreotti) dell’interpretazione errata è che, appropriandosi indebitamente dell’aggettivo pubblica, la scuola privata paritaria cattolica può più facilmente accampare richieste di finanziamenti statali; ma finora questa aspirazione non ha trovato seguito.

Lo slogan “libertà di scelta educativa”

Simile alla vicenda dell’aggettivo “pubblica” è quella della “libertà di scelta educativa” che è uno slogan diffuso, efficace, coniato in ambiente scuole cattoliche, mediante una interpretazione soggettiva, di parte e di comodo, partendo dagli artt. 3, 30. 33. 34 della Costituzione, omettendo ma dandoli per impliciti e scontati gli aspetti economici a carico dello Stato. Attualmente la libertà di scelta esiste per chi se la può permettere economicamente e non esiste – né potrebbe esistere – un obbligo costituzionale a realizzarla.

Dulcis in fundo sive in cauda venenum: il “costo standard”

Come “tutti i salmi finiscono in Gloria” così tutti gli scritti della suora marcellina (e non solo) finiscono con il “costo standard di sostenibilità ecc.” Hallelujah hallelujah!

(1) “Pasionaria delle paritarie”
(2) “Esperta politiche scolastiche”
(3) Quando il servizio dell’istruzione è pubblico?

Alcuni link attinenti
Le scuole paritarie non sono pubbliche
Carrozza sulle scuole paritarie: necessarie, le pubbliche non bastano
Amarcord 2014. La Scuola privata non è Scuola pubblica
Scuole paritarie, 40 sassolini tolti dalle scarpe
La scuole paritarie cattoliche e l’aggettivo “pubblico” che scivola e rimbalza
Diritto dovere all’Istruzione e Formazione e obbligo di istruzione

(*) Quando il servizio dell’istruzione è pubblico?

di Anna Monia Alfieri – 4 febbraio 2020
Colpisce come il dubbio (ideologico) sia ancora molto solidificato sul concetto di
pubblico. Quando il servizio dell’istruzione è pubblico?
Allora vorrei rispolverare il concetto di pubblico ai sensi del diritto
Innanzitutto, non è marginale precisare che “pubblico” “che svolge un servizio pubblico, cioè per tutti”) non coincide con “statale”: ai sensi della legge (62/2000), il Servizio Nazionale di Istruzione è formato da scuole pubbliche statali, gestite dallo Stato, e scuole pubbliche paritarie, gestite da Enti privati, Comuni e Province. Le scuole non paritarie (le vere “private”) non sono scuole pubbliche, e quindi non fanno parte del SNI. È in errore – e non dimostra cultura sufficiente per proporsi ai cittadini – chi scrive o parla di “scuola pubblica” riferendosi unicamente alla “scuola pubblica statale”.
Per “servizio pubblico” si intende qualsiasi attività che si concretizzi nella produzione di beni o servizi in funzione di un’utilità per la comunità locale, non solo in termini economici ma anche in termini di promozione sociale, purché risponda ad esigenze di utilità generale o ad essa destinata in quanto preordinata a soddisfare interessi collettivi” (Cons. di Stato n. 2605/2001).
Rintracciabile già ai tempi della nascita dello Stato Unitario, e riproposto poi in sede di Assemblea Costituente della nascente Repubblica, il dibattito sulla Scuola ha sempre visto la contrapposizione tra sostenitori del suo rigido controllo statale e sostenitori, non solo cattolici, della libertà scolastica come libera iniziativa educativa e formativa. Sulla scia dei primi, il main stream dominante continua a ritenere che il diritto di soggetti giuridici privati di aprire scuole e di erogare istruzione pubblica in via sussidiaria contrasti con il diritto di tutti i cittadini ad essere istruiti dallo Stato. Peggio, che solo lo Stato possa istruire i cittadini.
Ad oggi, infatti, in Italia non è ancora stato acquisito il concetto che l’offerta formativa è unica e conforme agli stessi ordinamenti generali, sebbene possa essere erogata o da istituzioni statali o da istituzioni paritarie, e ciò a garanzia del pluralismo formativo e della libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. La negazione di pluralismo e libertà configurerebbe una scuola di regime, mistificando il diritto costituzionale all’istruzione con l’obbligo di riceverla solo da scuole statali. E
È questo che il cittadino italiano desidera? È questo che il politico che ha a cuore la “cosa pubblica” auspica?
Posto, dunque, che non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale è quello di riconoscere a ciascuno studente una dote pari ad un costo standard di sostenibilità, ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale o paritaria – sulla base di parametri certi. In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie per finanziare l’istituzione scolastica pubblica (statale o paritaria) prescelta per i loro figli, generando così una virtuosa concorrenza a complessivo vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sarebbero incentivate, infatti, a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement. Garantite sarebbero in ogni caso, attraverso l’economia dei mancati sprechi, le piccole scuole di territori disagiati.
In conclusione, in uno Stato effettivamente liberale, solo attraverso il costo standard di sostenibilità si può garantire la vera libertà di scelta educativa anche ai meno abbienti. L’alternativa consiste nell’avallare tacitamente l’ingiustizia di fondo per cui il ricco sceglie, mentre il povero è costretto ad accontentarsi.
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Le scuole “private paritarie cattoliche” che si etichettano come “pubbliche” ultima modifica: 2020-03-07T05:23:23+01:00 da
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