di Vincenzo Pascuzzi, Aetnascuola.it, 10.9.2018
– La competizione o la concorrenza fra scuole potrebbe portare più danni che benefici. Sarebbe comunque una gara asimmetrica e drogata: con lo Stato obbligato a istituire “scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (sempre art. 33, Cost.) e le paritarie no (sceglierebbero le più congeniali e facili per loro); con lo Stato indotto a finanziare la concorrenza a se stesso (!); con le paritarie che potrebbero praticare dumping (sotto-costo) pagando meno il personale o usando prestazioni gratuite “volontarie” di suore e altri religiosi, e possono farlo legalmente (?!) ex comma 5, legge 62 fino al 25% del personale (altra norma di dubbia costituzionalità ai sensi dell’art. 36 Cost.).
Affermare, come fa Filomena Pinca, che sarebbe in atto una “campagna politica e non, che fomenta l’opinione pubblica contro la scuola paritaria” (1) è po’ comportarsi come il solito e noto bue che dice cornuto all’asino! Infatti è vero proprio il contrario: esiste una martellante, instancabile campagna mediatica da parte del “gruppo di pressione pro-paritarie” a sostegno delle richieste di contributi economici sostanziosi (qualcosa come 6 mld di euro, ma l’entità della cifra è solo indicativa) per le scuole private paritarie, determinate a conseguire la parità economica completa (non specificando su quali presupposti dovuta). È questa campagna massiccia, insistente, costosa (ma il gioco deve valere la candela!) che determina poi alcune reazioni da parte dei sostenitori della scuola pubblica costituzionale.
Il senso dell’aggettivo pubblico.
Nel terzo paragrafo Filomena Pinca riassume in un virgolettato – sostanzialmente corretto – alcuni commi della l. 62/2000. Poi nel paragrafo successivo scrive disinvoltamente “anche le scuole pubbliche paritarie, così come le scuole pubbliche statali”: cioè l’aggettivo “pubblico” viene attribuito anche alle scuole paritarie. Vediamo perché questa attribuzione non è corretta, precisando prima che la denominazione completa ed esatta delle paritarie è “scuole private paritarie” (che – o perché – svolgono un “servizio pubblico”, come è riportato nel comma 3 della l. 62; ed è l’unica e sola volta che l’aggettivo “pubblico” compare in detta legge!).
Per “scuola pubblica”, sia nel linguaggio comune che nelle definizioni riportate nei dizionari, si intende “scuola dipendente direttamente dallo Stato o da atri enti pubblici territoriali”. La scuola pubblica appartiene, è gestita, finanziata, organizzata dallo Stato, è gratuita o quasi. Invece le scuole paritarie appartengono e sono gestite da privati, come sono gli ordini religiosi che fanno capo, a ordini religiosi, poi alla Cei e allo Stato Vaticano (perciò le paritarie cattoliche hanno un po’ le caratteristiche di scuole estere) e richiedono una retta di frequenza.
Per completezza: esistono le “scuole paritarie pubbliche” che sono quelle degli enti territoriali ed esistono i c.d. “diplomifici” che sono scuole private non paritarie.
Il comma 4 dell’art. 33, Cost.
Il “trattamento scolastico equipollente” si riferisce chiaramente agli aspetti scolastici, non a quelli economici. Almeno così è stato interpretato finora, tanto che solo con la l. 62/2000 si è cercato di derogare, pur con modalità sospette di anticostituzionalità e con contributi modesti, quasi simbolici (allora circa 300 euro ad alunno, ora 500 euro grazie a Gabriele Toccafondi). Comunque l’interpretazione o la modifica dell’art. 33 non spetta al pubblico, ai lettori o ai commentatori di questioni scolastiche, ma ai politici e al Parlamento e non sembra che al momento ci siano maggioranze disponibili o interessate.
Francia vs Italia.
Forse proprio perché la Francia è “laicissima” che può permettersi il sistema scolastico con i tre tipi di finanziamento indicato. Forse anche perché l’Italia è “cattolicissima” (nel senso di permeata e pervasa di Vaticano), che non può ispirarsi al modello francese.
L’escamotage del costo standard o buono-scuola o voucher.
L’iniziativa, che sembrava – ripeto e sottolineo “sembrava” – prossima a concretizzarsi si è arenata a fine 2017 con il gruppo di lavoro di L. Berlinguer e non sembra poter essere riavviata con l’attuale governo. Ciò per diversi motivi: ideologico (se vogliamo usare questo termine improprio), tecnico (il costo standard è comunque complicato, teorico, non sperimentato), aggrava adempimenti burocratici per DS e DSGA, costoso (i risparmi stratosferici propagandati all’inizio sono stati via via ridimensionati, spostati al futuro, anzi sostituiti da maggiori spese iniziali!).
Una sana e virtuosa competizione tra gli istituti scolastici.
Anche questa – come i citati risparmi stratosferici – è un’esca, un’aspettativa incerta e futura, affatto sicura, una scommessa al buio a carico dello Stato. La competizione o la concorrenza fra scuole potrebbe portare più danni che benefici. Sarebbe comunque una gara asimmetrica e drogata: con lo Stato obbligato a istituire “scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (sempre art. 33, Cost.) e le paritarie no (sceglierebbero le più congeniali e facili per loro); con lo Stato indotto a finanziare la concorrenza a se stesso (!); con le paritarie che potrebbero praticare dumping (sotto-costo) pagando meno il personale o usando prestazioni gratuite “volontarie” di suore e altri religiosi, e possono farlo legalmente (?!) ex comma 5, legge 62 fino al 25% del personale (altra norma di dubbia costituzionalità ai sensi dell’art. 36 Cost.).
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(1) Viva la sana e virtuosa competizione tra istituti scolastici
di Filomena Pinca – 10/09/2018
https://www.tecnicadellascuola.it/viva-la-sana-e-virtuosa-competizione-tra-istituti-scolastici
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Viva la sana e virtuosa competizione tra istituti scolastici
Da diversi anni sto assistendo ad una campagna politica e non, che fomenta l’opinione pubblica contro la scuola paritaria: “i finanziamenti alla scuola paritaria tolgono soldi a quella pubblica e sono contro la Costituzione”!
Benissimo. Analizziamo questa affermazione che leggo un po’ ovunque sui social, che ormai hanno dato voce a tutti, anche a chi nella vita reale magari non è mai sceso in piazza a protestare ma, incredibilmente, si trasforma in un leone dietro la tastiera.
A proposito del termine pubblico, per carità può capitare una svista, non è possibile giustificare come “distrazione” la mancanza d’ informazione, infatti: “Il riconoscimento della parità scolastica inserisce la scuola paritaria nel sistema nazionale di istruzione e garantisce l’equiparazione dei diritti e dei doveri degli studenti, le medesime modalità di svolgimento degli esami di Stato, l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale e, più in generale, impegna le scuole paritarie a contribuire alla realizzazione della finalità di istruzione ed educazione che la Costituzione assegna alla scuola. Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e devono accogliere chiunque, che, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi. compresi gli alunni e studenti con handicap”.
Questo è quanto si legge nell’ordinamento per la libertà di educazione ai sensi della Legge del 10 marzo 2000, n. 62. Ricordo, inoltre, che anche le scuole pubbliche paritarie, così come le scuole pubbliche statali ricevono visite ispettive da funzionari pubblici.
E la Costituzione?
Chi vuole cancellare il finanziamento alle scuole paritarie, fanno appello all’articolo 33 ricordando che gli istituti privati devono andare avanti “senza oneri per lo Stato”. Benissimo. Per correttezza, però, riportiamo anche il comma 4: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”.
A tal proposito, molti genitori che hanno scelto per i loro figli le paritarie fanno notare che da cittadini pagano regolarmente le tasse, ma non usufruiscono del servizio della scuola pubblica, dunque trovano giusto che ci sia almeno un contributo da parte dello Stato per la scuola frequentata dai loro figli.
Delle soluzioni che rispetti in toto l’art.33 della Costituzione e il diritto di scelta educativa delle famiglie, a mio modesto avviso, ci sarebbero.
Nella “laicissima” Francia il sistema delle scuole paritarie, che nel 95% dei casi è d’ispirazione cristiana cattolica, è riconosciuto (dal 1956) e sostenuto dallo Stato attraverso tre tipi di finanziamento: stipendia i professori, eroga un indennizzo forfettario per ogni ragazzo iscritto, offre un sostegno economico per la ristrutturazione/costruzione d’immobili ad uso scolastico. Le rette sono bassissime e in molti istituti calibrate in funzione dei redditi.
Non dico che la “cattolicissima” Italia dovrebbe fare esattamente come La Francia, ma poiché la nostra Costituzione è formata da 139 articoli, vorrei ricordare che il comma 1 dell’art. 30 così recita: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.
Perché dunque non dare direttamente alle singole famiglie, in base al reddito, quel contributo economico che si vuol negare alle paritarie? Saranno esse stesse, così, a scegliere se educare ed istruire i figli in una scuola pubblica paritaria o in una scuola pubblica statale. Tutto ciò potrebbe essere da stimolo per una sana e virtuosa competizione tra gli istituti scolastici dell’intero territorio nazionale.
Filomena Pinca
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