L’istruzione non salverà nessuno, ma qualche riforma fatta bene sì

di Tiziana Pedrizzi,  il Sussidiario, 23.4.2019

– Di recente Treellle ha fatto il punto sulle principali idee riformiste sulla scuola che sono circolate nel paese negli ultimi 40 anni

Di recente Treellle ha proposto un encomiabile stato dell’arte delle principali idee riformiste sulla scuola che sono circolate nel paese negli ultimi 40 anni. 

In premessa è stata posta una riflessione di carattere generale: la scuola deve riprendere le proprie funzioni educative ponendo al centro l’apprendimento al vivere con gli altri e generando negli allievi benessere ed autostima, premesse necessarie dell’apprendimento.

Quanto alle proposte strutturali una breve per quanto possibile sintesi potrebbe suonare così:

  1. confermare la centralità di una diffusione il più possibile ampia dell’istruzione, compito che l’Italia ha in parte fallito, vista l’ampia percentuale di dispersi;
  2. rendere obbligatoria la frequenza fin dai 3 anni e consolidare la frequenza degli asili-nido, con lo scopo di compensare le carenze formative delle fasce sociali che sono le protagoniste della dispersione;
  3. ampliare il tempo scuola fino ad 8 ore con attività pomeridiane di tipo formativo non strettamente curricolare, gestite perciò da adulti formatori e non da insegnanti;
  4. superare l’unità dell’offerta formativa troppo astratta e teorica per una parte degli allievi garantendo diversificazioni opzionali negli ultimi 2 anni dell’obbligo con l’obiettivo di dare spazio agli interessi individuali e di diagnosticare le loro possibilità. L’orientamento dovrebbe essere effettuato da figure professionali specializzate ed avere caratteristiche di obbligatorietà, come avviene in altri paesi in cui la percentuale di fallimenti è minima;
  5. per la stessa ragione, consolidare una fisionomia chiara ed operativa dei percorsi scolastici tecnici e professionali, che dovrebbero però garantire un’agevole possibilità di passaggio;
  6. collocare il termine della scuola secondaria a 18 anni;
  7. garantire l’innovazione delle metodologie didattiche;
  8. attivare un sistema di valutazione e valorizzazione degli insegnanti che prenda spunto dall’esperienza di Valorizza e miri però a consolidarsi a livello di carriera;
  9. proseguire nella valutazione esterna garantita dalle prove Invalsi ed attivare una valutazione delle scuole attraverso un ispettorato efficiente ed autorevole.                                                                   

Ultimi elementi emersi: freddezza sulla regionalizzazione ed analisi di fattibilità della spesa sulla base della riduzione di un anno, della diminuzione demografica e di una spending review effettuata dal basso.

Una rassegna organica, ma un po’ oggettivamente demoralizzante perché composta di proposte a suo tempo presentate, in parte approvate e tentate, in parte respinte a furor di popolo (dopo la defenestrazione di Berlinguer, l’ultima volta nella cabina elettorale che ha incoronato i 5 Stelle). Nella gran parte insomma sembreremmo in un cul de sac.

Che oggi la scuola in Italia non sia un problema all’ordine del giorno a partire dal ministro e che questo corrisponda al clima culturale complessivo del paese lo si vede tutti. Abbiamo potuto registrare perfino la – giusta – indignazione di Briatore nei confronti dei Ferragnez. Può avere quindi senso riordinare le fila, costruire un’organicità di quanto fin qui è forse apparso un po’ sparpagliato e fare anche scelte di orientamento ormai mature, quali quella di accettare la diversità e le diverse vocazioni degli individui senza sensi di colpa per un presunto tradimento nei confronti dei grandi principi di egalité. Non che manchino ancora nel nostro paese coloro che pensano che, se non si somministra a tutti in forme concentrate o diluite il liceo classico della loro cittadina, si tradisce la Costituzione…

Tuttavia varrebbe la pena di aprire una riflessione sulla reale consistenza del valore salvifico che il secolo scorso ha attribuito all’istruzione. Dalla quale dovrebbe o sarebbe dovuto derivare lo sviluppo economico, la civilizzazione in chiave umanistica diffusa e chi più ne ha più ne metta. L’istruzione che crea le società, insomma. Ma il passato, la storia delle popolazioni umane che si sono sedimentate nelle società non sembrano essere così facilmente modellabili. Non è solo in Italia che dubbi in proposito stanno avanzando e fra questi quello che, a forza di gravare di pesi impossibili l’educazione-istruzione, si può rischiare di schiantarla e di accantonarla, sostituendola magari con il fai da te della comunicazione digitale, che sta invece cominciando a dimostrare le sue grandi pecche e pericolosità.

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L’istruzione non salverà nessuno, ma qualche riforma fatta bene sì ultima modifica: 2019-04-23T05:38:49+02:00 da
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