di Vincenzo Pascuzzi, qui non si banna! / Dossier: Scuole private, paritarie …/ Vaticanerie, 1.11.2019
– Il Seminario di Studio delle scuole paritarie cattoliche del 14.11.2019 a Roma –
Alcune note e riflessioni sull’articolo “Scuola pubblica vs scuola paritaria: un pregiudizio?”, relativo al “Seminario di Studio ‘Autonomia, parità e libertà di scelta educativa in Italia e in Europa’”, alla sua locandina e alla “Lettera di invito delle Congregazioni”
1 – Il titolo e gli slogan
Già il titolo – nella sua prima parte – è corretto e insieme costituisce un lapsus rivelatore che smaschera un’imprecisione (o bugia, o slogan pubblicitario) poi riportata nel testo. Parlare infatti di “scuole pubbliche statali e scuole pubbliche non statali o paritarie” non è corretto, non corrisponde né alla l. 62, né all’uso comune e generalizzato dell’aggettivo “pubblica”, ma vorrebbe essere un espediente utile per il traino di contributi statali; contributi non ammessi dalla Costituzione e non previsti dalla l. 62, che anzi esplicitamente ne richiama l’art. 33 (“senza oneri per lo Stato); dura lex, sed lex.
Ancora, altro slogan pubblicitario consiste nel richiamarsi a un “diritto primario, umano, inalienabile e sacrosanto delle famiglie o dei genitori alla scelta educativa” (ivi compresa l’educazione religiosa), intendendo e dando per scontato a) “con spese a carico dello Stato” e b) che questa scelta possa esaurirsi fra scuola pubblica e scuola privata paritaria, e solo là dove questa risulta realmente presente (non essendo tenuta a “istituire scuole per tutti gli ordini e gradi”).
Terzo slogan o espediente dialettico, per cercare di acquisire un vantaggio, è quello di riferirsi e citare gratis e genericamente presunti pregiudizi e ideologismi altrui, senza mai indicarli né spiegarli. Infatti il titolo – nella sua seconda parte – si domanda se è “un pregiudizio?” Lasciando intendere e anticipando come conseguente e ovvia la risposta affermativa.
2 – La saga del costo standard
L’articolo sul sito IN TERRIS richiama subito quella che sarà la conclusione prevedibile del Seminario di Studio del 14 novembre, e cioè la riproposizione del costo standard come modalità di finanziamento delle scuole tutte, statali e paritarie; e ciò come escamotage per aggirare, beffare il divieto costituzionale dell’art. 33 (il ben noto “senza oneri per lo Stato”).
Il costo standard debutta, per così dire, esattamente 4 anni fa quando il periodico TEMPI, il 24.10.2015, pubblica l’art. “Come risparmiare 17 miliardi di euro (diciassette) rendendo la scuola davvero libera” relativo al pamphlet “Il diritto di apprendere nuove linee di investimento”; il volume/saggio, con prefazione dell’allora ministro Giannini, che poi verrà presentato 4 o 5 volte, in giro per l’Italia, a Milano, Roma, Foggia, …. sempre con notevole eco e clamore mediatico e sui social religiosi.
A Stefania Giannini succede Valeria Fedeli che eredita la gestione della vicenda nell’anno che precede le elezioni politiche, quindi con necessità di non deludere Chiesa, Vaticano, CEI, parroci e vescovi, gestori delle paritarie. Il “gruppo di pressione pro-paritarie” insegue e incalza la ministra PD, chissà forse con l’intento di conquistare il costo standard tramite un emendamento al DEF, alla chetichella, senza clamori, magari come Toccafondi fece con i 575 mln. Ma il costo standard ha appunto un costo di alcuni miliardi, che il governo assolutamente non ha. Fedeli allora se la cava con l’idea brillante del Gruppo di Lavoro presieduto da Luigi Berlinguer. Gestori cattolici contenti, quasi entusiasti: “Il cardinale Bassetti: «Inizio di un cammino»”; “È un passaggio storico, un punto di non ritorno”.
Poi la delusione (credo) perché il Gruppo di Lavoro – in 24 mesi – non si è mai più riunito dopo la prima volta del 20.12.2017, anzi il ministro Bussetti l’ha congelato; ciò non ostante il “gruppo di pressione pro-paritarie” continua tranquillamente a riproporlo come se avesse superato tutte le verifiche e i controlli!
Novità interessanti nella corrente XVIII Legislatura sono due DdL relativi, uno alla modifica dell’art. 33. Cost. e l’altro all’adozione integrale del costo standard (così come richiesto dal “gruppo di pressione pro-paritarie”).
Il primo è il PdL costituzionale Comaroli (Lega) che propone testualmente, in un solo articolo, in un solo comma, in una sola frase: “Al terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione, le parole: «, senza oneri per lo Stato» sono soppresse”; cioè rimuove completamente l’ostacolo ai finanziamenti statali alle scuole paritarie.
Il secondo è il DdL Lonardo (FI) invece è più esteso, pignolo ed esaustivo (5 cartelle, compresa una tabella), titola “Modifiche alla legge 10 marzo 2000, n. 62”, propone di modificare cinque commi e aggiungere al c. 4 ben 13 sotto-commi.
Due “piccoli” inconvenienti: primo, il DdL Lonardo è incostituzionale e non può essere approvato se prima non passa il PdL Comaroli: secondo, Lega e FI sono attualmente all’opposizione e i due partiti insieme non hanno in Parlamento i numeri per approvare leggi
3 – Luci e ombre del costo standard
Da notare che il costo standard, che dovrebbe interessare principalmente le famiglie, viene invece chiesto dai gestori delle scuole e dalle gerarchie ecclesiastiche a nome delle stesse famiglie; il c.d. “gruppo di pressione pro-paritarie” aspira a una triangolazione fra Stato, famiglie e scuole per aggirare l’art. 33, Cost. (ma in Parlamento non ci sono i numeri per modificarlo, come già detto); questo intendimento è stato indicato come escamotage (Andrea Gavosto, FGA), invenzione machiavellica (Pasquale Almirante, TS), grimaldello (Raffaele Carcano, UAAR).
All’inizio il costo standard venne presentato come innovativo, oggettivo, scientifico, raffinato e sartoriale, diverso a seconda dei diversi e numerosi casi, in contrapposizione alla grossolana e forfettaria quota capitaria o dote scuola; ma di recente si presenta anche come sinonimo di quota capitaria o dote scuola; è stato anche quantificato in 5.500 euro, mentre le rette delle paritarie vengono indicate fra i 4 e i 5.000 euro (in realtà arrivano anche a 7 o 8 mila e più euro) e i costi delle statali risulterebbero di 7, 8, anche fino a 10.000 euro (tutte queste cifre sono da controllare e verificare accuratamente!); per la cronaca c’è stato anche chi ha proposto un costo standard a saldo, in offerta speciale, scontato del 50%, pari a 3.000 euro!
La richiesta del costo standard venne avanzata con l’esca di un risparmio strabiliante (vedi sopra, i 17 mld) perché, si disse, “il sistema scolastico italiano costa troppo … neppure lui sa quanto spende e come spende. Cioè tanto e male”; più volte è stato lanciato l’allarme per un incombente tracollo o collasso; solo di recente, le scuole paritarie hanno appurato e ammesso il contrario, dall’OCSE hanno appreso che l’Italia è in coda alle classifiche UE perché destina all’istruzione appena il 3,5% del Pil nazionale a fronte del 5% della media UE; però il proposito dell’abbassamento dei costi lo ritroviamo ancora sui materiali e propositi del Seminario del 14 novembre.
È lasciato in ombra il fatto che il costo standard, per consentire risparmi (i 17 mld), richiederebbe l’introduzione di un ticket scolastico pesante (1.700 euro/studente) alla maggior parte (80%) delle famiglie; e questa ipotesi di risparmio viene ancora diffusa, oltre a comparire nel DdL Lonardo.
Con riferimento al Rapporto OCSE 2019 e sempre secondo le paritarie, il costo standard consentirebbe “l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico italiano“, lasciando intendere una presunta migliore qualità delle paritarie rispetto alle statali, mentre è vero il contrario; e ciò dovrebbe accadere grazie a una presunta e futuribile “buona e necessaria concorrenza fra le scuole”.
Ma più numerosi sono coloro che considerano deleteria la concorrenza in quanto sostengono che: “l’origine di tutti i mali (della scuola italiana) è la concorrenza tra istituti generata dall’autonomia scolastica e dall’introduzione del POF” come sintetizza e dimostra Lucia R. Capuana sul suo sito.
E poi avrebbe poco o nessun senso una concorrenza fra scuole statali e paritarie perché strutturalmente asimmetrica, con le seconde libere di scegliersi docenti, studenti, tipi di scuole da attivare e gestire e dove (attualmente l’80% sono licei e più del 70% sono nelle regioni ricche del Nord); e poi ci sono paritarie che operano in regime di dumping, sfruttando docenti e suore.
Prosegue la narrazione: con il costo standard, anche le famiglie meno abbienti potrebbero, se lo vogliono, iscrivere i figli alle paritarie cattoliche, ma forse le famiglie abbienti potrebbero allora scegliere scuole paritarie più costose, mentre nulla si sa e si dice a proposito dei “1,2 milioni di bambini ancora in povertà assoluta” censiti da Istat e Save the Children.
4 – Luci e ombre delle scuole paritarie cattoliche – legge 62/2000
Parità e scuole paritarie non hanno bisogno di interpretazioni, di ricorrere a dizionari, enciclopedie, analisi etimologiche, ricerche, il loro significato è esplicitato chiarissimamente nella l. 62/2000, al comma 2 dell’unico articolo.
Le scuole private riconosciute come paritarie non diventano pubbliche ma rimangono private (se non sono degli enti locali) e così sono citate dal comma 3 all’inizio; se poi hanno determinati requisiti, alle paritarie private sono riconosciute agevolazioni fiscali; mentre per studenti e famiglie sono previste borse di studio e detrazioni fiscali; nessuna previsione o cenno a costi standard, quote capitare, voucher pari alle rette.
Appartenere al “sistema nazionale di istruzione” non ha particolari implicazioni o conseguenze (o almeno queste non sono indicate, né ha senso postularle, pretenderle), perciò è una semplice presa d’atto, una foto dell’esistente, non è il riconoscimento di una “seconda gamba”, quasi che la scuola statale non sia in grado di sostenersi da sola (pur con tutte le sue difficoltà e difetti).
Inoltre appare come un’anomalia – forse incostituzionale (art. 36) – il fatto che per “un quarto delle prestazioni complessive, (le paritarie) possono avvalersi di prestazioni volontarie”, secondo il comma 5; nei fatti il lavoro volontario e non retribuito riguarda circa i 9% dei docenti (circa 4.400 unità).
Miur deve accertare “possesso e permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità; ma Miur ha carenza grave e cronica di ispettori; Toccafondi si compiace delle 1179 ispezioni effettuate e delle 39 revoche della parità; ma per allora ci possono essere 200 e più scuole a cui bisogna revocare la parità! E per ispezionare 8.000 scuole occorreranno ben altri 6 anni!
Miur e governo stanno varando un DL, detto decreto ‘salva-precari bis’, per indire un concorso straordinario abilitante; la prima versione del DL (10 ottobre) escludeva i docenti delle paritarie anche dalla sola possibilità di abilitazione; la nuova versione (29 ottobre), firmata dal presidente Mattarella, rimuove l’ostacolo all’abilitazione rendendo valutabili anche i servizi prestati presso le scuole paritarie; poiché l’assunzione presso le paritarie è a discrezione dei gestori delle scuole, questa modifica svantaggia i docenti aspiranti alle scuole statali, che potrebbero avviare ricorsi; ugualmente i docenti delle paritarie potrebbero ricorrere, anche a concorso espletato, per ottenere l’applicazione integrale del DL: cioè oltre l’abilitazione anche l’accesso al ruolo statale.
5 – Luci e ombre delle scuole paritarie cattoliche – XXI Rapporto CSSC 2019
Calano le vocazioni di poco meno del 2% all’anno, chiudono i conventi; le scuole paritarie cattoliche non sono più le scuole dei preti, frati, monache, suore come erano fino a decenni addietro; dal XXI Rapporto CSSC “La Scuola Cattolica in Cifre” si ricava che il 90% dei 52.629 docenti sono laici, come anche l’80% circa dei 7.465 presidi o coordinatori, e c’è anche circa un 9% di docenti volontari, cioè non retribuiti, in cifra sono 4.400.
Ancora dal XXI Rapporto CSSC, abbiamo conferma che il 58% delle paritarie sono scuole dell’infanzia (3-6 anni), settore dove le scuole pubbliche risultano assenti o insufficienti; perciò le famiglie non hanno possibilità di scelta, ma sono costrette a rivolgersi alle paritarie; questa situazione è chiaramente diversa dagli altri tipi di scuola (primaria e secondaria) e dovrebbe essere affrontata separatamente, magari organizzando una class action delle famiglie contro l’inadempienza dello Stato e per ottenere il rimborso delle rette pagate.
Sempre dallo stesso Rapporto, si può trovare traccia di quella che possiamo chiamare “dispersione delle paritarie”: su 100 bambini/e iscritti/e alle scuole d’infanzia, solo 24 si iscrivono alla primaria, poi diventano 17 alla secondaria 1° g. e infine solo 8 alla secondaria 2° g.; in numeri: dei 110 mila nuovi iscritti in media alla infanzia, solo 9 (circa l’8%) arrivano fino al diploma, ex maturità! Questi dati confermano che se lo Stato fosse attrezzato per tutti i tipi di scuola, le famiglie che sceglierebbero le paritarie – per convinzione e non per necessità – sarebbero solo il 2 o il 3% del totale! I gestori e soprattutto le gerarchie sembrano ignorare, o trattare come figliastre, le famiglie cattoliche, praticanti o solo dichiarate, che scelgono le scuole statali e che sono largamente maggioritarie.
Di recente, il 18 settembre scorso, abbiamo letto “Anche il cardinale Bassetti lancia l’allarme: Italia ultima Ue sugli stipendi ai docenti”; la cosa è sorprendente e paradossale perché i docenti delle paritarie sono pagati ancora meno di quelli delle statali, anche la normativa è più sfavorevole pur codificata in un CCNL regolare e specifico; inoltre nelle paritarie il 40% dei docenti è a t.d. e il 44% a p.t., per cui il presidente della CEI farebbe bene a mettere ordine in casa propria aumentando le retribuzioni e migliorando la normativa; le paritarie diventerebbero modello da seguire per le statali e si eviterebbero così anche le massicce fughe o migrazioni dei loro docenti verso le scuole statali.
6. Conclusioni
Depliant, locandina e invito del Seminario indicano in anticipo la conclusione dell’incontro: un appello all’opinione pubblica e ai politici per ottenere finanziamenti dallo Stato sotto forma di costo standard o quota capitaria; finanziamenti richiesti a nome delle famiglie che scelgono le scuole cattoliche e che però non appaiono accanto a gestori e gerarchie; finanziamenti chiesti anche a nome e per conto delle famiglie – cattoliche e non – che scelgono le scuole statali finanziate così come ora e che non sanno, non condividono e non capiscono i motivi del cambiamento.
Non è dato sapere se nel Seminario verrà posta (come dovrebbe) la questione dell’inattività e dell’insabbiamento del Gruppo di Lavoro di L. Berliguer e anche quella del DdL Lonardo che recepisce per intero l’ipotesi costo standard ma che – al momento – non sembra avere in Parlamento i numeri per essere approvata e forse nemmeno discussa. In altre parole, come intende il “gruppo di pressione pro-paritarie” sostenere e portare avanti la richiesta di finanziamenti tramite il costo standard: tramite il Parlamento che è la via maestra, oppure tramite altre vie parallele nascoste e tortuose?
7. P.S. Il concorso straordinario abilitante, c.d. “salva precari bis”
È stato appena pubblicato in G.U. il D.L. n. 126/29 ottobre 2019: così appaiono contente le scuole paritarie perché il governo “sollecitato dalle proteste delle paritarie e dalle pressioni del Quirinale e di varie forze politiche e sindacali” ha cambiato linea; mentre risultano beffati e delusi i sindacati rappresentativi, che proclamano una mobilitazione per l’11 novembre, perché il governo ha disatteso gli impegni di aprile e il Miur l’accordo del 1° ottobre.
Il D.L. 126 ora discrimina i docenti delle statali, che potrebbero fare ricorso perché senza servizio nelle scuole statali non possono abilitarsi; e anche i docenti delle paritarie potrebbero fare ricorso ma per ottenere il ruolo statale, visto che il loro servizio è stato riconosciuto valido per l’abilitazione.