Cortigiani, vil razza dannata

di Severino, InfoDocenti.it, 14.6.2020.

Ma per chi scrive Sallusti?

Gilda Venezia

Quando lui scrive quello che ha scritto sugli Insegnanti e sulle loro “piccole anime” intrise di “particulare” e di cinismo fancazzista a chi parla e di chi parla? Parla a qualcuno che vuole sapere e capire, scrive per informare e aiutare le persone a muoversi verso un bene comune da identificare, difendere e da realizzare?

È difficile rispondere sì.

Vale poi la pena di rispondergli?

Ne varrebbe la pena se i giornali servissero a spiegare e capire, se quello che lui scrive, quello che si scrive sui giornali nascesse da premesse e avesse un seguito di pensieri e proposte.

Cioè se dopo la lettura di un giornale, di quel giornale, di tanti giornali, ci fosse un passaggio successivo, diverso dalla semplice gratificazione di chi scrive e di chi legge che gli deriva dall’aver fatto un poderoso “rutto mediatico”, utile, più che a certificare di una buona idea, a garantirsi una porzione di palcoscenico e a dichiarare un’appartenenza che giustifichi lo stare al mondo.

E poi chi ha bisogno di difendersi da ciò che dice Sallusti?

Gli Insegnanti? La Scuola, l’Istruzione pubblica?

Quelli che sono dipinti da lui come il male della comunità, il marcio di quella società sana, che invece lavora apre le piccole imprese e i supermercati e cerca di riaprire gli alberghi e i ristoranti, possono scansare le sue litoti, utili a rinforzare il grossolano giudizio invece che a distinguere il bene dal male? “Non tutti, per fortuna! etc” è il modello narrativo e argomentativo del nostro giornalista. No, non credo che gli Insegnanti debbano essere difesi da questo modello di comunicazione giornalistica, anche se è di tutta evidenza che in generale essi non si sappiano né difendere né far rappresentare e che quando parlano di sé e del loro lavoro dimostrino di ritenere fondamentali solo i distinguo. Credo in effetti che ciò che dice Sallusti non cambi niente, non serva a niente, e non servirebbe a niente nemmeno se fosse tutto vero. È soltanto un lisciare il pelo ai propri cani che latrano in piazza. D’altra parte i nostri giornali spesso servono a poco e quasi mai forse per questo sono in pochi a leggerli.

Mi piacerebbe tuttavia riuscire a entrare finalmente nell’argomento.

E provo, domandandomi sottovoce ma con serietà di intenti, chi sono i nostri colleghi, chi sono gli Insegnanti. Intanto lo sanno tutti che  essi sono degli Impiegati dello Stato chiamati a svolgere una funzione altissima.

Ma sta qua la prima contraddizione insanabile: Gelmini contra Calamandrei, per intenderci.

Quando si parla della funzione dell’Insegnante ci si alza o si precipita, che dir si voglia, nel mondo dei valori, degli ideali, del dover essere, e lì il povero mortale Insegnante schiatta, subito. Quante volte l’abbiamo sentita!

“….ce ne sono pochi…. ah ci fossero tanti Insegnanti come quello di … matematica che ha avuto mia figlia che l’ha seguita con umanità e grande competenza…” E via discorrendo,”… quelli sì che meritano stipendi alti e rispetto sociale….”

Ma poi ci sono gli Insegnanti veri, quelle circa 800.000 persone, quasi sempre donne, quasi sempre miti, che fanno per lo più uno sciopero solo in tutta la loro carriera, pensandoci su tre volte e che hanno la colpa di essere tanti e per questo sono trattati male, in base magari anche al valore che il più grezzo calcolo dell’economia attribuisce alla loro funzione. Del rapporto politica-istruzione non è facile nemmeno farsi un’opinione, vista la continua altalena fra la “primaria importanza” che si trova nelle affermazioni di principio  e le sempre inadeguate cifre  degli stanziamenti che si trovano nel DEF. È per questo, da sempre, che gli insegnanti veri sono chiamati a combattere una  quotidiana battaglia con le scarse soddisfazioni del loro lavoro, con le distanze in chilometri e  in generazioni, con l’età che avanza e gli ideali che trascolorano, con gli stipendi che non assegnano mai una cifra alla gratificazione, e ultimamente poi, loro miti per vocazione appunto, combattere per garantire qqucon nuovi Dirigenti Scolastici che si sono scoperti giudici e investiti di potere. Sono loro insomma quelle persone che vivono a Scuola e di Scuola e che sono obbligati o dovrebbero provare a difendersi. C’è stato un tempo, chiaro c’è sempre stato un tempo per tutto, nel quale gli insegnanti erano visti nella filigrana della loro “funzione altissima”. Pagati poco (che non guasta mai), ma rispettati.

Ai nostri tempi, dal Governo in primis, sono trattati solo invece come fastidioso corollario dell’obbligo costituzionale dello Stato, di garantire la pubblica Istruzione e di garantire la sorveglianza dei bambini mentre i genitori fanno andare avanti l’economia.  Bastasse! Adesso c’è anche la grana di dover garantire la sicurezza contro il virus, a questi “giovani” che in questo caso diventano “i nostri figli”. E purtroppo possiamo constatare oggi che, pervicace, il Ministero della Pubblica Istruzione ha deciso di scegliere come unica carta da giocarsi, per garantire  questa sicurezza, il confidare sull’attenuarsi del virus … nient’altro!

Chiaro che in questo contesto chi è chiamato a rappresentare gli Insegnanti, i loro Sindacati tradizionali e non, ha un ruolo improbo. Ha molte ragioni il dottor Galli della Loggia (che peraltro ci conosce e di noi dice che non siamo una variante del modello, perché nessuno sa chi siamo), quando analizza la condizione sindacale della Scuola e degli Insegnanti, se pensiamo che appunto noi della Gilda siamo nati per quello che lui dice. Ma non dovrebbero metterci molto del loro, i Sindacati Confederali per essere disprezzati e vituperati e tuttavia  ce lo mettono: dichiararsi rappresentativi senza curarsi di rappresentare nessuno, difendere prima  gli interessi di bottega che di solito sono rappresentati dai Dirigenti, contro i Docenti, la connivenza con il potere politico che avvalla e garantisce, il nessun interesse per i discorsi e i valori della cultura. Ma a pensarci un po’, non è essere mal rappresentati il male peggiore per gli Insegnanti. In un periodo che si caratterizza per l’orgoglio dell’incompetenza e in un paese che permette di fare strada solo per le persone che conosci, più che per le cose che conosci, è funzionale al sistema chi dà sommari giudizi su questa classe di “lavoratori” che è votata alla trasmissione delle conoscenze e alla formazione e selezione dei nuovi cittadini, ma che nessuno alza un dito per difendere.

Per la Scuola non passa molto denaro, già è tantissimo quello che lo Stato spende o ritiene di spendere solo di stipendi (a Scuola ci devono andare tutti!). Quindi i contratti degli Insegnanti non hanno prospettive rosee, visto ciò che ne pensano spesso  quelli che lo devono fare il contratto e cioè che le spese per la Scuola sono un esborso inutile. Chi è arrivato in alto cinicamente  considera che tanto non c’è bisogno di ascensore sociale che formi e selezioni le qualità umane e culturali della futura classe dirigente, visto che non ha alcun interesse a che sia usato questo ascensore sociale, basato sul merito. Il grande Nereo Rocco raccontano abbia sbottato “speriamo di no, ciò!” verso chi all’inizio di una partita del suo povero Padova gli augurava. – “vinca il migliore!”

Le persone perbene magari sanno cosa pensare della Scuola Italiana e qualche volta lasciano i loro affari, escono dai loro studi pieni di cultura e di libri e stilano documenti da sottoscrivere. Bene! E poi?

C’è da fermarsi tuttavia a pensare al “che fare” allora, per cambiarla, visto che  la condizione dei Docenti è davvero molto, molto difficile. Stipendi bassi, precariato endemico e  sempre in aumento, instabilità dei ruoli, incertezza legislativa e Dirigenti selezionati a pensare che la libertà d’insegnamento sia un inutile orpello dietro cui si nasconde la malafede e la nessuna voglia di fare.

È naturale che i Docenti, che sono tanti, siano spesso insoddisfatti e un po’ queruli, ma quello che si può notare è che sono quelli più preparati, più motivati, quelli coscienziosi e ligi ai dettami legislativi che provano a reagire e se lo fanno o non riescono ad essere ascoltati, finiscono per ammalarsi, per “scoppiare”. Sono loro che più facilmente s’impiccano ai loro ideali e che vi trovano il cappio, con botola sottostante.

Perché voglio parlare di un patto.

Perché potrebbe essere solo un patto fra la Società e i suoi Docenti, fra la Comunità e l sua Scuola a sanare questa discrasia fra le difficoltà della misera  vita di chi insegna e la loro vocazione alta, alla formazione dei giovani e alla trasmissione delle conoscenze.

Non ci sono insegnanti perfetti e non ci sono solo Insegnanti prevalentemente perfidi perdigorno. Quelli che lo sono e che assurgono talvolta con molto scalpore alla cronaca, servono solo alle argomentazioni da caciara di certi giornali,  ma non cambiano però il sistema!

Che non possano essere degli eroi poi, è difficile da contestare. Questo, per il citatissimo aforisma di B. Brecth, addirittura, ci dovrebbe rasserenare. Ma che comunque gli Insegnanti siano inscrivibili nella quota migliore della nostra società e che in questa società sia il loro uno dei ruoli esiziali, questo sì è incontestabile! E trasmettere a chi verrà dopo di noi la cultura  che, unica, potrà rendere più vivibile la vita di tutti, per come siamo noi esseri umani, sarà sempre necessario. Ecco perché un patto. Dopo il periodo terribile che abbiamo attraversato, dovremmo essere diventati migliori: era nei voti. Cosa dovremmo fare tutti? Dovremmo provare a guardare gli Insegnanti con occhi vigili ma fiduciosi, guardare  le loro vite e il loro operato con positiva  generosità , pretendendo con scelte e con parole che  vivano in minori difficoltà economiche e professionali.

Ottimismo Ingenuo? Ma!

Eppure ne risulterebbe migliore la nostra Scuola, la nostra Società e la nostra idea di futuro.

Severino, non Boezio, né  Emanuele 

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Cortigiani, vil razza dannata ultima modifica: 2020-06-14T13:41:28+02:00 da
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