Male dentro. La scuola come epicentro dell’inquietudine tra crisi di panico e ansia da competizione

di Maria Novella De Luca, la Repubblica, 29.4.2024.

Le voci degli studenti: “Chiediamo aiuto”. L’appello ai prof: “Non dateci solo voti, guardate il dolore che c’è dietro ai numeri”. Nelle aule l’angoscia degli adolescenti è sempre più esplosiva. “C’è un via vai di ambulanze e in infermeria vedo ragazze che come me hanno attacchi di pianto. Ma per un incontro con lo psicologo ci vogliono due mesi”.

Gilda Venezia

«Siamo malati di ansia». «Abbiamo il diritto di stare bene». «Vogliamo gli psicologi a scuola». «Sentiamo il cuore in gola». «Curateci». Era il 2021 e con le prime manifestazioni dopo la clausura del Covid migliaia di studenti tornavano nelle strade affamati di aria e di vita. Ma accanto ai cartelli per il diritto allo studio, contro la scuola azienda e lo spreco dei famigerati banchi a rotelle, per la prima volta un’intera generazione portava in piazza una rivolta esistenziale: stiamo male, la competizione ci devasta, la Dad ci ha isolati, lo Stato si faccia carico del nostro malessere.

Dopo il Covid, nulla è cambiato

Accadeva tre anni fa, ma nulla è cambiato. Bisogna partire dalle immagini di quei cortei per capire perché oggi il disagio giovanile sia diventato così esplosivo, una vera emergenza sociale. E al centro c’è la scuola, accusata a torto o a ragione di essere (anche) il luogo dell’inquietudine. Un mondo che si sgretola, linguaggi che non si incontrano. Da una parte la generazione social, dall’altra un corpo insegnante investito suo malgrado dall’onda della sofferenza dei teenager.

“Troppi psicofarmaci e un regime di terrore”

«Da anni faccio psicoterapia e questo mi ha salvato. Ma basta affacciarsi nei bagni del mio liceo per vedere crisi di pianto e attacchi di panico. C’è chi non vuole più entrare in classe, ragazze che mangiano e vomitano, a tanti, troppi, vengono prescritti psicofarmaci. I prof ci mettono addosso un’ansia assurda, instaurano un regime di terrore: come se da un brutto voto dipendesse il nostro futuro».

Gli amici che non escono più dalle camere

Matteo Barbantini ha 17 anni, fa il liceo sperimentale al “Mamiani” di Roma, parla con cognizione adulta. «La situazione è grave. Ho amici che non escono più dalle loro camere, altri hanno mollato lo studio. Ma per avere un colloquio con lo psicologo scolastico ci vogliono due mesi di attesa. Nessuno ci ascolta, siamo soli». Sfogo di un adolescente? No, le sue parole trovano eco nell’allarme lanciato dagli stessi dirigenti scolastici: «Spesso dobbiamo chiamare l’ambulanza per ragazze e ragazzi con crisi di panico. Depressione, disturbi alimentari: ci sentiamo smarriti anche noi».

Due milioni di adolescenti con disagi mentali

I dati sulla salute mentale dei giovani sono noti e drammatici: due milioni di adolescenti tra i 10 e i 20 anni manifestano disagi mentali, il 75% degli studenti denuncia di avere “spesso” episodi di ansia causati dalla scuola, il 67% ha paura di voti e giudizi, il 34% desidera fuggire dalla scuola.

Il disagio dei prof e l’angoscia dei giovanissimi

Bandiera bianca allora? I ragazzi soffrono ma i prof non sembrano stare meglio, impreparati forse alla crisi esistenziale di un’intera generazione. Stiamo affogando, gridano i teenager, abbiamo il male dentro. Matteo Barbantini, Marta Davella, Samuel Postiglione, Zoe Zevio. Hanno 16 e 17 anni, vivono e hanno vissuto sulla loro pelle i disagi dei loro coetanei, il Covid, il lockdown. Fanno parte della Rete degli studenti medi che già nel 2022 con un questionario dal titolo “Chiedimi come sto” aveva alzato il velo su quella che è diventata un’emergenza nazionale: l’angoscia dei giovanissimi. Zoe ad esempio, 17 anni, di Verona, studentessa al liceo artistico, il suo grande blackout lo rivela con il coraggio di chi ha attraversato una zona di frontiera.

“Un senso di inadeguatezza e poi la depressione”

«In primo superiore ho iniziato a soffrire di un disturbo ansioso legato alle performance troppo alte che la scuola chiedeva. Il sentirmi inadeguata mi ha portato a uno stato depressivo, in classe mi sembrava di soffocare, a metà anno ho lasciato il liceo e ho studiato in casa. Avevo la sensazione che per i prof e le prof contasse soltanto il voto – e io avevo voti altissimi – non chi ci fosse dietro quel numero, con tutte le sue sofferenze e i suoi problemi. In secondo liceo mi sono fermata, ho smesso di studiare, ho detto basta, passavo le giornate sul letto, la mia famiglia per fortuna è stata in grado di aiutarmi, ho perso l’anno ma piano piano mi sono ripresa». Zoe apre la porta di casa, respira, cerca gli amici della Rete degli studenti: «Tornare a fare politica e lottare per una istruzione più giusta, inclusiva, vivibile, mi ha restituito il senso della vita».

L’ansia per il futuro e poca comprensione

Sì, ma cosa sta succedendo? È possibile che tra gli allievi e i professori si sia creata una frattura così profonda e la scuola, secondo i giovanissimi, sia diventata la causa principale del loro malessere? Conferma Zoe: «Più volte ho visto l’ambulanza arrivare, l’infermeria era sempre piena. Certo non è soltanto la scuola a creare ansia, ma il clima, il futuro precario, però qui, in classe dai prof vorremmo ricevere comprensione e ascolto».

“La prof che si divertiva a umiliare chi andava male”

Marta Davella, 16 anni, studia al liceo Cavour di Roma. «Noi siamo fortunati, abbiamo molte ore di sportello psicologico. Credo che il malessere o il benessere in una classe dipendano dal carattere dei prof. Ne avevo una, terribile, si divertiva a umiliare chi andava male, ma ho incontrato anche docenti empatici e comprensivi. Siamo una generazione esigente, non ci bastano le competenze, vogliamo essere compresi come esseri umani, vorremmo che gli insegnanti fossero anche una guida. Lo sanno quante differenze sociali ci sono tra di noi, tra chi può prendere ripetizioni e chi no? Un mio compagno veniva da una famiglia difficile, è stato bocciato due volte, nessuno a scuola ha cercato di capire quali fossero i suoi problemi e lui, alla fine, ha abbandonato gli studi. Non vi sembra una sconfitta questa?».

“La scuola oggi fa più male che bene”

È Samuel Postiglione, 16 anni, triestino, liceo delle Scienze Umane “Giosuè Carducci” a tirare le fila. «La scuola? Oggi fa più male che bene. Anche io ho avuto crisi di panico, bisogna passare notti a studiare per ottenere anche la semplice sufficienza, la richiesta è inutilmente alta, nozionistica e slegata dalle reali necessità della vita. Dicono che siamo viziati ma si rendono conto del mondo in cui ci siamo ritrovati a vivere? I prof vedono soltanto il programma, noi vorremmo che fossero educatori. Nel mio liceo c’è un solo psicologo per 1300 ragazzi, un sacco di giovani prendono psicofarmaci e qual è risposta del governo? Scuola del merito e manganelli alle manifestazioni».

 

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Male dentro. La scuola come epicentro dell’inquietudine tra crisi di panico e ansia da competizione ultima modifica: 2024-04-29T05:31:16+02:00 da
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