Serve la media del 9 negli ultimi tre anni. Grandi differenze tra scuole e regioni . Molti professori non darebbero mai un 10: più dura l’ammissione negli Atenei stranieri A Milano la Statale è gratuita per i più bravi: i criteri di valutazione sono determinanti
di Gianna Fregonara, Il Corriere della Sera 31.5.2015.
«È più facile prendere la lode all’Università che all’esame di maturità». Parola di preside, Elena Ugolini che è anche consulente del ministero dell’Istruzione. Lo scorso anno sono stati 3.450 gli studenti che hanno ottenuto il voto massimo, cioè 100 e lode, su poco meno di cinquecentomila ragazzi, neanche lo 0,8 per cento dei maturandi. Pochi, molto pochi hanno raggiunto l’eccellenza ma pur sempre mille in più del 2012.
La super media
Il motivo di tanta penuria di super-bravi non sta nella performance all’esame di maturità, che è chiaro che debba essere perfetta. Ma negli ulteriori requisiti richiesti ormai da cinque anni per poter essere ammessi al giudizio della commissione che valuta la lode: è necessario aver avuto negli ultimi tre anni di scuola, cioè in terza, quarta e quinta, una media costante del 9, senza neppure un voto inferiore all’8. Davvero un’impresa per pochi. «Non è facile per i professori valutare già dalla terza i ragazzi veramente brillanti, poi può succedere che qualcuno abbia qualche piccolo calo dovuto a ragioni personali, alla crescita», continua Ugolini. Ma a che cosa serve la lode alla maturità? «Come per la laurea è soprattutto un aspetto morale, il riconoscimento di uno sforzo e di un talento – spiega Giuseppe Zaccaria, rettore dell’Università di Padova -. Va detto che la lode di solito corrisponde poi, lo abbiamo verificato sul campo, ai risultati durante il percorso universitario».
Università senza tasse ai più bravi
Qualche beneficio la lode lo ha. Il ministro Fioroni che l’aveva introdotta otto anni fa, pensava ad un premio per i migliori, oltre all’iscrizione in un albo speciale, ma pochi lo sanno e lo richiedono: all’inizio era di mille euro, l’anno scorso è stato di 450. Ma per esempio la Statale di Milano offre la gratuità a chi ha la lode. E questo ha scatenato un dibattito acceso in Lombardia sia sull’esame che sull’attribuzione dei voti più in generale. «Il percorso per raggiungere la lode alla maturità mi sembra l’inverso di quanto avviene durante gli esami universitari – spiega Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia alla Bicocca a Milano – dove la lode premia quel di più che c’è nell’originalità della prova sostenuta dallo studente. Renderla dipendente in modo così rigido dal percorso dello studente non mi sembra appropriato. Il percorso deve certo essere valutato in sede di esame ma per tutti come elemento per dare un voto più appropriato, non per limitare il merito dei bravi. Esiste nelle scuole superiori un problema di valutazione più generale degli studenti». O meglio una «avarizia» di certi prof a dare i voti alti. «Il 6 cioè la sufficienza è un parametro ormai condiviso – spiega Elena Ugolini, che è stata anche sottosegretario nel governo Monti – ma poi per i voti dal 7 al 10 ognuno fa come crede anche nella stessa classe. Conosco insegnanti di italiano che non darebbero 10 neppure al linguista Luca Serianni».
Il 10 esiste ma ai prof non piace
«Il punto è che in Italia, contrariamente alla cultura anglosassone, non è chiaro che cosa è il 10» insiste Mantegazza. «Il dieci è il raggiungimento da parte dello studente dell’obiettivo che io ho fissato nella prova di verifica. Se lo studente risponde bene a tutto, è 10, non 8. Ci vorrebbero corsi di formazione alla valutazione per gli insegnanti».
Lo sa bene anche il direttore dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia Delia Campanelli, regione con le scuole tra le migliori d’Italia secondo l’Invalsi ma che ha poco più di un centinaio di lodi contro le 700 pugliesi e le 400 della Campania. In vista della maturità ha fatto un appello ai professori a non essere troppo severi e a dare anche i dieci: «Dobbiamo arrivare all’uniformità dei voti. Ma intanto agli studenti che meritano il dieci sia dato il dieci in tutte le classi e in tutte le scuole del Paese». Ne sanno qualcosa i ragazzi che vogliono tentare l’ammissione alle università anglosassoni, che non affidano l’ammissione come quelle americane a test esterni ma considerano il curriculum dei ragazzi: «Provate, se ci riuscite – insiste la preside Ugolini -, a spiegare che l’8 per noi è quasi un dieci ad un rettore di una Università inglese».