Aluisi Tosolini, La Tecnica della scuola Lunedì, 18 Maggio 2015.
Se c’è un terrore, un’angoscia che mi perseguita, un male che non passa e non mi è mai passato nei miei 36 anni di lavoro, prima come docente e poi da dirigente, è che a un ragazzo o a una ragazza in visita di istruzione possa accadere ciò che è accaduto a Domenico Maurantonio.
Domenico è lo studente di Quinta del liceo Scientifico Ippolito Nievo di Padova morto tragicamente a Milano precipitando dal quinto piano di un albergo di Milano.
Un pensiero paralizzante
Sento mie le parole di Vanessa Niri che su Wired scrive: “E’ un pensiero paralizzante, perché chiunque lavori con minorenni sa che alle sue mani di adulto è quotidianamente affidato il benessere dei figli di questo paese. Pensare che, nonostante tutte le attenzioni del caso, possa succedere un fatto grave, è un carico di responsabilità che ogni operatore della scuola o del tempo libero porta sulle spalle nel suo lavoro quotidiano”.
Capisco benissimo come possano risuonare terribili in docenti e dirigenti le parole della madre di Domenico: “Ho affidato il mio unico figlio, sano e in buona salute, all’Istituzione Scolastica. L’ho affidato per un’uscita con pernottamento. Mi viene consegnato cadavere …”
E sai che risposta non c’è. Non ci sono parole che possano lenire il dolore.
E non solo perché la morte è un appuntamento che arriva inaspettata, mai annunciata e sempre incomprensibile: “Di fronte a un fatto come questo – ha detto il parroco celebrando i funerali – si sentiamo tutti più piccoli”.
Cercando risposte….
Non c’è risposta perché per quanto tutto sia organizzato e preciso, per quanto ci si sia raccomandati alla maturità, all’età, alla razionalità e al buon senso dei ragazzi e delle ragazze (soprattutto se grandi, adulti come sono adulti gli studenti 19enni di una classe quinta), l’imponderabile può sempre accadere. Un gesto, uno scherzo sfuggito al controllo possono sempre debordare e produrre l’impensabile.
Non é una giustificazione, non si tratta di togliersi sensi di colpa che non se ne andranno mai. E a nulla aiutano analisi acute, come quella svolta da Chiara Saraceno sul senso di onnipotenza dei giovani e sulla loro incapacità di cogliere il senso del limite. Sono parole vere, verissime,… ma di fronte alla morte reale il loro sapore sociologico non lenisce alcun dolore.
L’ultima gita
E ha ragione anche Gramellini che si interroga sulle gite e sul fatto che oggi non hanno più senso.
“Per i ragazzi del Novecento la gita di classe rappresentava un rito di iniziazione –scrive Gramellini – … oggi quell’atmosfera non esiste più. I ragazzi sono connessi di continuo col mondo e hanno meno urgenza di conoscerlo dai finestrini di un pullman. Non hanno neppure il desiderio impellente di allontanarsi dalla famiglia, dove godono di ogni libertà. I genitori poveri vivono la gita come un salasso o una potenziale umiliazione. Tutti gli altri come un momento di ansia. Quanto ai professori, sono oppressi dalle responsabilità, a cui non fa da contraltare neppure il riconoscimento di uno straordinario. Molti di loro arrivano a sorteggiare il nome del malcapitato che dovrà offrirsi come accompagnatore. Proprio a scuola ci hanno insegnato che in natura ogni cosa esiste finché soddisfa un bisogno. Ma quale bisogno soddisfa oggi la gita scolastica, se non quello di restare ancorati a un’abitudine, a una nostalgia che nessuno prova più?“.
Gramellini scrive una cosa vera: la gita non esiste più. Ma si può dire lo stesso di un viaggio di istruzione che è parte integrante di un progetto didattico che spesso impegna un anno di lavoro?
I ragazzi del Nievo erano a Milano per visitare Expo. Penso alle classi della scuola che dirigo che fra due giorni saranno all’Expo a Milano e non credo di certo sia una gita ma al contrario la conclusione di settimane di approfondimento culturale sui temi dell’architettura, del cibo, della legalità. Con incontri con testimoni, ricercatori, architetti, magistrati, giornalisti…
Oggi si chiede alla scuola di aprirsi al mondo, di usare il territorio come aula a cielo aperto, di uscire.. Non concordo con Gramellini ma anche questo non lenisce in nulla il dolore di un padre e di una madre. Nulla lo lenisce.
“Consegnati tutti sani”
E nulla dà serenità a un insegnante o a un preside di classi in visita di istruzione come il messaggio sul cellulare (“Siamo a casa. Tutto ok. Tutti sani”) che comunica che il viaggio si è concluso ed è andato bene.
Poi accadono tragedie come quelle di Domenico. Non c’è nulla che spieghi l’assurdo e lo renda sopportabile. Nulla che sia una risposta sensata, nulla che ti liberi delle responsabilità che comunque hai anche se hai fatto tutto e di tutto affinché nulla turbasse il viaggio.
Poi magari capita di trovarti nell’ospedale di una città sconosciuta a fare turni con i docenti per assistere una ragazza portata a sirene spiegate al pronto soccorso. Ci è capitato poche settimane fa. Tutto si è concluso per il meglio. Ma non fosse stato così? Se i genitori giunti nella notte non avessero incontrato gli occhi allegri della figlia? Se la mano di quella ragazza stesa sul lettino si fosse fatta sempre più fredda ?
Fare i docenti, essere responsabili dei ragazzi a noi affidati, ha sempre ha che fare con questo terribile rischio. Occorre dirlo: con la vita e con la morte. Anche senza andare in gita, anche uscendo per andare a teatro, o in palestra. Spesso anche restando a scuola.
… il cadavere riaffiorò dopo diversi giorni
Pochi tra coloro che non vivono il mondo della scuola capiscono questo terribile baratro interiore che abita ogni formatore.
Penso a Domenico. Le indagini diranno cosa davvero è successo.
La verità assegnerà le responsabilità dirette e ognuno ne porterà il peso e ne pagherà le conseguenze. Nulla darà pace ai genitori.
E ogni volta, ogni volta che qualcuno parte mi torna in mente il replay di una scena vissuta a 11 anni, durante una di quelle gite del novecento cui accenna Gramellini. La scena della morte di un compagno di scuola annegato nelle acque del nord est dell’Italia. Preso dalla corrente e portato via.
Il suo cadavere tornò dopo diversi giorni.
Gli occhi spiritati del docente accompagnatore mi si sono inchiodati nell’anima.