Dietro lo schermo del Pc i problemi della nostra scuola nella didattica a distanza

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di Monica Mincu e Rita Locatelli,  La Voce.info, 4.6.2020.

Le difficoltà della didattica a distanza riflettono i problemi di sistema della scuola italiana. Agli insegnanti dovrebbe essere garantita una formazione continua. E agli studenti la personalizzazione o la differenziazione di contenuti e obiettivi.

Studenti a casa

L’Italia, con quasi 7 milioni di studenti delle primarie e secondarie confinati in casa, è stato uno dei primi paesi a chiudere le scuole e probabilmente sarà uno degli ultimi a riaprirle.

È un fatto particolarmente preoccupante se si considera la situazione critica che già caratterizza il panorama educativo italiano. La crisi generata dalla pandemia di Covid-19 intensifica infatti le disparità Anche perché la didattica a distanza (Dad) utilizzata nell’emergenza raggiunge gli studenti soltanto in modo parziale. Nel Regno Unito, una nota del Sutton Trust rileva che solo il 30 per cento degli studenti della classe media e il 16 per cento di quelli che appartengono ad ambienti svantaggiati sono raggiunti dai loro insegnanti attraverso la didattica a distanza. In Italia si stima che il 20 per cento degli studenti risulterebbe escluso dalla Dad.

Quali sono i problemi sistemici della scuola italiana e come si manifestano nella didattica a distanza in modalità emergenziale? I più preoccupanti sono due: (1) l’assenza di linee di indirizzo nazionali basate su indicazioni di esperti, in grado di raggiungere capillarmente le scuole, nelle quali vengano comunicate con semplicità e linguaggio pedagogico le modalità di insegnamento e di valutazione da considerare; (2) la grande variabilità di pratiche locali, perlopiù poco coese o coerenti, che fanno leva in maniera eccessiva sull’autonomia del docente, spesso intesa e praticata con poco collaborazione e coerenza a livello di scuola. La didattica a distanza, anche quando c’è, riproduce con ogni probabilità alcune forti limitazioni della scuola italiana, con ricadute sull’apprendimento, nonché sul benessere dello studente.

Scuola autonoma, ma senza coerenza

Prima dell’inizio della pandemia di Covid-19, solo il 20 per cento dei docenti aveva seguito corsi di formazione di alfabetizzazione digitale. Secondo un recente rapporto Ocse, anche quando gli insegnanti hanno a disposizione risorse professionali per l’utilizzo di dispositivi digitali, non dispongono né delle competenze tecniche e pedagogiche necessarie per integrare i dispositivi nell’insegnamento, né del tempo necessario per preparare lezioni che ne prevedano l’uso.

La crisi attuale solleva dunque questioni fondamentali sulla necessità di garantire maggiori investimenti nella formazione professionale dei docenti. Nonostante molti insegnanti e dirigenti scolastici abbiano ottenuto aiuto concreto nell’insegnamento a distanza, grazie anche al sostegno offerto da Indire la formazione che hanno ricevuto per affrontare la situazione d’emergenza non è stata uniforme. Non sono mancati gli esperti che hanno dato sostegno in una logica bottom up di disseminazione e di “terza missione” (per esempio, Roberto Trinchero, Monica Mincu; Anna Granata e Maurizio Allasia; Anna Granata). Ma la trasformazione digitale della scuola a causa dell’emergenza avrebbe bisogno di un approccio sistemico, viste le implicazioni pedagogiche, organizzative e di governance che saranno da approfondire nel dopo crisi.

Manca ora e più in generale, la possibilità di governare il sistema scolastico in maniera soft per mezzo di sapere esperto. L’assenza di politiche educative più ampie, nazionali o regionali o locali, in grado di promuovere nuovi modelli e forme di coerenza a sostegno del lavoro collegiale, risulta un chiaro ostacolo di natura strutturale. Ciò che in molti paesi del mondo a forte autonomia scolastica (Regno Unito, Nord Europa, Canada, Australia, Cina, Stati Uniti) si configura come “politica d’istituto”, vissuta nel quotidiano delle azioni e nella materialità dei messaggi educativi, può rappresentare un modello per il piano di offerta formativa triennale delle scuole italiane. Inoltre, la collegialità non può essere il mero esito di dinamiche interpersonali ma deve essere caratteristica principale di un tipo di organizzazione scolastica, basata sulla formazione continua e su una efficace leadership – d’istituto e intermedia – composta da insegnanti esperti.

Dai dati Talis 2018 emerge un quadro contrastante della situazione degli insegnanti italiani se la si confronta con quella di colleghi di altri paesi: la più ampia autonomia docente e la possibilità di incidere in via teorica sul curricolo e sulle politiche d’istituto si associano, infatti, a esiti inferiori alla media Ocse in termini di giorni di formazione continua e a una assenza di pratiche di mentoring tra docenti.

Ma ci sono altri limiti che riguardano il modello scolastico italiano, sia in presenza che online: debole coordinamento relativo alla quantità e al tipo di compiti, alla valutazione e all’uso del voto, alla sua frequenza e significato; debole interpretazione di un curricolo per competenze (più per certi insegnamenti e gradi di scuola), poche opportunità di lavoro tra pari o in gruppo per gli studenti.

Manca la personalizzazione per gli studenti

La personalizzazione o la differenziazione dei contenuti e degli obiettivi per tutti gli studenti è emblematicamente debole, perfino in confronto con paesi vicini come la Francia, dove l’idea di “personalizzazione pedagogica” ricorre nei discorsi politici (per esempio, il ministro dell’Educazione, Jean-Michel Blanquer). In Italia, l’insegnamento oggi non è pensato per rispondere alle esigenze specifiche dei singoli studenti: solo due insegnanti su dieci propongono attività in un certo senso differenziate per i propri alunni. Strettamente collegata è la modalità di riscontri personali o di “verifiche” nel senso più classico: nella didattica a distanza dovrebbero tener conto anche della possibilità di connessione e dei vari strumenti a disposizione.

La differenziazione è un modo significativo – se non il principale – per coinvolgere attivamente e interamente lo studente, per restituirgli “la sua voce” e il controllo rispetto al proprio apprendimento. Si tratta in sostanza di una questione di motivazione e di benessere personale, oltre a essere un modo efficace per apprendere, che si tratti di interazione in presenza oppure online.

L’uso di dispositivi online rischia di intensificare alcune importanti limitazioni strutturali radicate nel sistema educativo italiano: la non-interattività dell’insegnamento e la preponderanza della valutazione sommativa a discapito di quella formativa. Approcci all’insegna dell’equità per tutti, non solo per i più deboli, necessitano in una situazione emergenziale di una pedagogia che in Italia sarebbe da considerare perlopiù innovativa: quantità e rilevanza di contenuti proposti in relazione alle competenze attese, tipi di valutazione che producano apprendimento e non fiscalizzazione numerica, modalità differenziate e possibilità di ricupero futuro delle competenze perse.

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