di Aristarco Ammazzacaffè, ScuolaOggi, 17.3.2016
– Mi è stato segnalato da un’amica l’ultimo editoriale sul Corriere, a firma del Professor Galli della Loggia, come cosa da non perdere. Le sono veramente grato. E sono grato anche al Professore. L’argomento è quello del percorso di formazione che gli insegnanti neo immessi in ruolo sono tenuti a seguire e che l’illustre editorialista bolla giustamente come “odissea redazionale” e pesante “calvario”.
E questo perchè li costringerà a interrogarsi – pensate!- sul proprio vissuto professionale, guardati a vista da un tutor che nomina il DS. (Ti pareva?)
Dico subito che trovo comunque apprezzabile questa forma discreta di solidarietà del Professore nei confronti dei molti insegnanti -vittima. Ce ne fossero come lui tra i nostri intellettuali!
Ma la cosa più sorprendente è la passione civile con cui l’illustre editorialista attacca la cultura ministeriale imperante, che, a suo avviso e in tutta evidenza, genera mostri e mostriciattoli: come appunto la procedura di formazione prevista. E la attacca riportando in primo piano l’uso distorto della lingua che ricorre disinvoltamente – come egli annota – a termini criptici e a strutture involute.
Ma – chiedo – ci si poteva aspettare altro?
Al riguardo poi non si limita ad una accusa generica, ma cita elementi concreti. Per esempio, il termine descrittori: cosa significa? Che sono? A che servono? E infatti annota sconsolato e pudico: “Non è chiaro di che si tratti” (possiamo dargli torto? L’ho chiesto per sicurezza al mio nipotino di sette anni; ha manifestato identiche perplessità). E ancora, la parola “agito”: che giustamente l’editorialista apostrofa come “bizzarro ideologismo”. (Si sente quando uno sa le cose! )
(Tra parentesi: sembra che per gli scolastici, agito sia il contrario di pensato. E poi ci chiediamo perché la scuola è in crisi.)
Ma l’oggetto principe della sua polemica è il collettivismo invasivo della cultura ministeriale che, a suo avviso, spiega anche la “pratica da regimi comunisti” (proprio così!) acutamente da lui ravvisata nelle modalità formative imposte ai poveri docenti dell’anno di prova.
Chiara la denuncia di questa vera e propria orgia per cui “Tutto deve essere sempre pensato, organizzato, progettato collettivamente, …. ». E che ha trasformato la scuola italiana in “una sorta di permanente soviet casareccio, di consiliarismo «de noantri»”.
(Ben detto, Professore! Ma come parla bene, Lei!)
Da questa analisi, il messaggio esplicito: recuperare nelle scuole il sano individualismo di una volta (che, come si sa, da noi è quasi del tutto scomparso) ; che faccia piazza pulita di tutti quegli inutili confronti con i colleghi della classe sugli allievi svogliati (che imparino a studiare e si applichino!) e sulle cose da fare – male – insieme.
Pensi un po’, gentile Professore, che adesso si parla addirittura di Cooperative Learning! In English! Maria Santissima! Ma si può?
Una dirigente scolastica arriva a suggerire addirittura, rafforzando il messaggio implicito nelle riflessioni sul suo editoriale di un’altra collega, di estendere queste pratiche di formazione per i neo assunti a tutti gli insegnanti!
Siamo alla frutta, mio Professore!.
Comunque, per carità, non “soffochi dalla rabbia e dal disprezzo culturale per il documento in questione” (come accaldato dice nel suo editoriale) e scansi – la prego – “la paura delle parole offensive e di scherno” che le “verrebbe sicuramente – e giustamente, aggiungo – di usare”. Non si incaponisca. Lo faccia per noi
Si dia piuttosto al gioco della scopa o dello scopone (va bene lo stesso).
Pensi – anche pensando a noi che ci teniamo -, pensi alla sua salute, al suo fegato. Scriva meno editoriali e giochi di più. Eviterà anche fraintendimenti.
Consideri che una mia amica, tra l’altro neo immessa, a proposito del Suo editoriale ha parlato – sparlando – di “sicumera diffusa” e di “agguerrita incompetenza”. Ingrata!
Ma come si fa a esprimere un tale giudizio? E a essere d’accordo?
Io, tra l’altro, sarei costretto a riscrivere il pezzo! No, per carità!