di Francesco Cancellato, Linkiesta, 22.1.2018
– Su le spese e giù le tasse, giù il debito e su il deficit: viaggio nei venti punti per la qualità della vita presentati dal candidato premier Luigi Di Maio nel weekend. Se ce la fanno, dategli il Nobel.
Non siamo verginelle. Sappiamo bene che in politica vale tutto, tranne i programmi in campagna elettorale. Lo sappiamo e non ci scandalizziamo: ognuno può scrivere quel che vuole, su quel pezzo di carta, e finché sta da queste parti, sotto le Alpi, nessuno avrà nulla da dire, né chiederà di rendere conto di quel che ha scritto. Persino a Berlusconi, che vergò di suo pugno un contratto con gli italiani con tanto di notaio al seguito e che non passò alla storia per le promesse non mantenute. Tant’è che è ancora qui a spararle.
Esaurite le promesse, però, occorre rimarcare come ogni volta l’asticella si alzi e ogni volta c’è qualcuno che riesce a superarla di nuovo. Questa volta il premio Sergej Bubka lo vincono a mani basse Luigi Di Maio e il Movimento Cinque Stelle, che hanno presentato nel weekend appena trascorso le loro venti proposte programmatiche – anzi, i loro venti punti per la qualità della vita degli italiani. Una serie di promesse anche interessanti, prese singolarmente, che tuttavia hanno un unico gigantesco difetto: stare assieme sullo stesso foglio.
Lo diciamo subito: se uno lo leggesse quasi tutto – saltando i soli punti 6 e 16, tanto per facilitarvi il compito – quello dei Cinque Stelle sarebbe un programma talmente espansivo che se Keynes fosse vivo ci scriverebbe un’altra Teoria Generale, come quella che scrisse dopo il New Deal di Roosevelt. Nell’ordine, ci sono: investimenti (si suppone pubblici) ad alto valore occupazionale, il reddito di cittadinanza, due miliardi per le politiche attive del lavoro, l’aumento delle pensioni minime, 10mila assunzioni nelle forze dell’ordine e altrettante nelle commissioni territoriali per valutare le richieste di asilo, risarcimenti a risparmiatori truffati, aumento della spesa sanitaria, 17 miliardi per aiutare le famiglie con figli, assunzione di nuovi insegnanti, stabilizzazione dei precari, aumento delle risorse per la scuola pubblica, altri 50 miliardi di investimenti pubblici e abolizione della legge Fornero.
Questa volta il premio Sergej Bubka lo vincono a mani basse Luigi Di Maio e il Movimento Cinque Stelle, che hanno presentato nel weekend appena trascorso le loro venti proposte programmatiche – anzi, i loro venti punti per la qualità della vita degli italiani. Una serie di promesse anche interessanti, prese singolarmente, che tuttavia hanno un unico gigantesco difetto: stare assieme sullo stesso foglio
Davvero, applausi. Peccato che però Keynes sia morto, che Di Maio non si Roosevelt e che esiste quella seccatura della partita doppia, per cui in un bilancio – e quello dello Stato non dovrebbe fare eccezione – a ogni spesa deve corrispondere un’entrata, o una riduzione di spesa di pari importo. Quindi che si fa, Di Maio? Si alzano un po’ le tasse? Sia mai. Anzi, quasi ce ne dimenticavamo: nella pignatta dei Cinque Stelle ci sono pure una riduzione dell’Irpef, un innalzamento a 10mila euro della no tax area, una manovra choc per le piccole e medie imprese e – udite! udite! – l’inversione dell’onere della prova: signori, da domani un cittadino è onesto fino a prova contraria. Qualcuno avvisi Di Maio che è già così, in teoria e in qualunque stato di diritto, e che era il suo capo quello del software segreto Swg4 per incrociare le banche dati e sequestrare preventivamente i beni ai politici.
Bazzecole da giuristi a parte, a noi interessa la ciccia: alla spesa keynesiana, quindi, si aggiungono riduzioni delle tasse reaganiane. Forse abbiamo capito cosa vuol dire essere post-ideologici, e né di destra, né di sinistra: scegliere accuratamente le meglio patacche di entrambe le parti politiche e spararle tutte assieme. Tuttavia rimane sempre questo piccolo dettaglio delle coperture. Animo, economisti, Di Maio ha pure quelle. Punto 6: stop a pensioni d’oro, vitalizi, privilegi, sprechi della politica, opere inutili e via alla spending review: totale 50 miliardi di euro di risparmi all’anno. Applausi, davvero, anche se trovare opere inutili da tagliare ogni anno è dura. In ogni caso: con quei 50 miliardi, caro Di Maio, hai coperto il secondo stock di investimenti pubblici e basta. Ora tocca trovare il resto per la Fornero, per la manovra choc, per le ventimila assunzioni, la scuola, la sanità. Che si fa? Si aumenta il debito?
Giammai. In un impeto montiano, il nostro eroe promette pure la riduzione del debito pubblico di quaranta punti in dieci anni. Due conti veloci: il debito pubblico è pari circa a 2.300 miliardi, il Pil di circa 1.670 miliardi e oggi il rapporto tra i due è pari al 132% circa. Per farlo scendere di 40 punti, cioè fino al 92%, il debito dovrebbe scendere in dieci anni di circa 700 miliardi di euro, più o meno 70 miliardi ogni anno. Giustissimo, Gigi: ma dove li troviamo quei soldi? E dove li troviamo i soldi per fare altri investimenti – in deficit, cioè emettendo altro debito pubblico – mentre stiamo riducendolo a ritmi che nemmeno Schauble? Misteri.
E se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da morire dal ridere sul fatto che questo sia il programma della prima forza politica in Italia, nata in opposizione al piazzista Berlusconi, cresciuta in opposizione al Bomba Renzi, quello dei bonus, esplosa grazie alla promessa di una politica radicalmente diversa, che mai e poi mai avrebbe preso in giro la gente, i cittadini. Beh, eccoci qua. Seriamente: sarebbero quasi da votare, per vedere come ne vengono fuori. E se ce la fanno, Nobel per l’economia, subito.
.
.
.