Riaprire l’agenda della professionalità

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di Giancarlo Cerini,  scuola7, n. 100, 27.7.2018

– Non solo “carriera”.
La carriera che procede per anzianità è rassicurante, ma non stimola scelte innovative. L’esperienza conta, ma va accompagnata dalla riflessione, rielaborazione, documentazione, validazione di competenze che attestano il raggiungimento di standard professionali elevati. Rendere pubblici e visibili gli standard attesi rappresenta certamente uno stimolo alla crescita personale e professionale. È auspicabile adottare un sistema di riconoscimenti, ma questo processo va adeguatamente motivato, esplicitato, sperimentato e condotto con l’apporto attivo della componente docente. In quasi tutti i paesi gli standard professionali sono “postati” dagli stessi membri della comunità professionale (dal sistema universitario, dalle associazioni, ecc.) e non imposti normativamente dal Governo.
Si attende ora di capire quali saranno le scelte in materia di professionalità, recuperando anche il lavoro che è stato sviluppato da alcuni gruppi tecnici operanti presso il MIUR e che è sfociato nel documento “Sviluppo professionale e qualità della formazione” reso pubblico nel marzo 2018, ma ancora non oggetto di adeguate policies. Oltre a delinare 12 standard professionali, si ipotizza un percorso sperimentale che porti a validare uno strumento (portfolio o dossier professionale) in cui dar conto dei crediti formativi via via acquisiti dai docenti, nel campo della didattica, della organizzazione, della formazione.[1]
È auspicabile che il documento possa essere messo a tema in apposite “consensus conference” da tenersi a livello regionale, con la partecipazione di tutte le componenti professionali.

– Scelte coraggiose per il futuro.
Gli incentivi temporanei non bastano, spesso provocano incomprensioni, soprattutto se sono percepiti come del tutto discrezionali. Questo è stato il limite del “riconoscimento del merito”. E invece è tempo di pensare ad un meccanismo di carriera il cui il valore aggiunto, a fianco dell’anzianità di servizio, sia l’acquisizione progressiva di competenze didattiche e organizzative più approfondite. Il sistema dovrebbe essere “in mano” ai docenti, cioè essere una libera scelta che porti a identificare le competenze, a validarle, a certificarle (con un sistema di verifiche interne ed esterne).
L’adozione volontaria di un dossier professionale (non di un semplice curriculum, ma piuttosto di un portfolio formativo) può agevolare la documentazione, la rielaborazione, delle proprie esperienze professionali. In questa ottica è uno strumento riservato e personale, che il docente può utilizzare in passaggi strategici della sua carriera (accesso al ruolo, mobilità, nuove funzioni, carriera dirigenziale, ecc.), chiedendo la validazione dei crediti documentati.
Una carriera deve essere percepita come un insieme di opportunità professionali di crescita e di sviluppo, centrata sul lavoro didattico in classe, mentre la competenza organizzativa e gestionale acquisita può essere riconosciuta ai fini dell’accesso a nuove funzioni, come il profilo dirigenziale. L’attuale sistema dei test pre-selettivi potrebbe essere sostituito dall’apprezzamento preliminare del curriculum professionale dei candidati ai concorsi.

– Il middle management.
Lo sviluppo dell’autonomia scolastica richiede un modello organizzativo articolato in cui alcune funzioni strategiche (coordinamento dipartimenti, staff, referenti progetti, responsabili formazione/valutazione/ecc.) siano presidiate e affidate a personale fornito di adeguate competenze (che potrebbero essere documentate nel dossier-portfolio del docente) e con riconoscimento economico adeguato, legato allo svolgimento della funzione.
La configurazione delle attuali “posizioni organizzative” (collaboratori, figure intermedie, funzioni strumentali) appare del tutto precaria, sia nei meccanismo di scelta delle persone, sia di riconoscimento e legittimazione, sia di verifica dei risultati ottenuti per l’organizzazione. Le figure intermedie vanno interpretate come articolazioni strutturate di una comunità professionale, magari aperte anche ad uno sviluppo più stabile, mettendo a confronto le soluzioni adottate in altri paesi.

– La valutazione dell’insegnamento.
Lo sviluppo di sistemi valutativi dell’insegnamento rappresenta un passaggio importante per un recupero di credibilità sociale della figura del docente e di riconoscimento e valorizzazione professionale. Ogni forma di valutazione, sia che si riferisca alla scuola, agli allievi, alle professionalità, va inserita in una dimensione formativa, di stimolo al miglioramento, di riflessione personale. Si basa fondamentalmente su una autovalutazione strutturata (bilancio delle competenze), sulla documentazione del lavoro, sulla disponibilità al confronto sull’insegnamento svolto e sui risultati ottenuti (ivi compresa la peer review, come elemento di formazione). Validazione interna (i pari, il responsabile di dipartimento, il dirigente scolastico) ed esterna (l’ispettore, l’esperto) diventano il corollario del processo di autovalutazione, quando si intende usufruire delle opportunità di crescita professionale (incentivi, benefici di carriera, nuove funzioni).

– Un orario onnicomprensivo?
Non va sottovalutato il tempo di lavoro che viene dedicato alla progettualità, alla innovazione dei metodi, all’allestimento di ambienti di apprendimento efficaci e alla produzione di risorse didattiche. L’impegno dedicato al proprio lavoro può rappresentare un criterio oggettivo utile a definire incentivi o a profilare diverse soluzioni contrattuali.
Occorre dare visibilità al lavoro sommerso del docente, che non si riduce alla “lezione in classe”, ma richiede preparazione, progettazione, verifiche, formazione, rapporti con colleghi, genitori e partner della scuola. La stessa attività didattica è già cambiata se pensiamo alle forme di tutoraggio per gli allievi, al lavoro on line, agli stage, alla produzione di risorse digitali, alla valutazione formativa, ecc.
La sistemazione contrattuale di tali aspetti risulta del tutto insoddisfacente (nella attuale tripartizione dei tempi di lezione, di attività collegiali, di impegni della funzione docente) e ostacola il riconoscimento sociale di piena professionalità. È tempo di aprire una riflessione coraggiosa sul tempo di lavoro dei docenti, che non significa aumentare i carichi orari, ma renderli trasparenti, definirli con realismo, cogliere le differenze che si presentano. È possibile “immaginare” modelli orari onnicomprensivi o un doppio regime orario, con scelta volontaria (orario standard, orario potenziato, part-time per chi esercita altre attività). Ma queste soluzioni dovrebbero scaturire da un confronto aperto con gli insegnanti e le loro rappresentanze, così come dovrebbe avvenire per tutti gli aspetti che riguardano il profilo professionale e le innovazioni della scuola.

Giancarlo Cerini

[1] Il documento del MIUR, corredato di alcuni commenti, è disponibile nel numero monografico di “Notizie della Scuola”, n. 16, 26 aprile 2018, Tecnodid, Napoli.

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