di Vittorio Pelligra, Il Sole 24 Ore, 14.10.2018
– Quando viaggiate in aereo e con il biglietto acquistate anche l’opzione di imbarco prioritario, state pagando un extra per poter saltare la fila. Un servizio aggiuntivo che la compagnia aerea vi offre ad un certo prezzo. Ma se un servizio simile vi venisse offerto, a pagamento, dalla scuola dei vostri figli? Se grazie al pagamento di una quota annuale vi venisse data la possibilità di evitare le file ai colloqui con i professori, quanto sareste disposti a spendere? Alcune scuole di Cagliari e dell’hinterland cittadino hanno sperimentato durante lo scorso anno scolastico, un sistema computerizzato di gestione dei colloqui.
Attraverso un’app, i genitori iscritti al servizio, possono prenotare i colloqui con gli insegnanti e acquistare una priorità nella fila. Lo slot di tempo per poter parlare con l’insegnante viene fissato indipendentemente dalla priorità d’arrivo, in modo che ogni genitore possa presentarsi da ciascun insegnante esattamente nel momento previsto e minimizzare, in questo modo, l’attesa. Un’idea interessante. Un servizio aggiuntivo che le scuole possono offrire alle famiglie dei propri studenti. Così viene presentato, non senza una certa enfasi. La sperimentazione ha prodotto buoni risultati e ha soddisfatto tutti, sia genitori che insegnanti.
Tutto bene, dunque. Fino a quando quest’anno, il dirigente di una delle scuole in questione, ha proposto il pagamento di un canone “volontario” per coprire i costi del servizio che viene gestito da privati esterni alla scuola. Il canone è volontario, dunque, ma proprio per questo, discriminatorio. I genitori, infatti, che decidessero di non pagare per usufruire del servizio, si ritroverebbero in automatico ad essere scavalcati nella fila dai genitori paganti; indipendentemente dalla priorità guadagnata “sul campo” con l’attesa. Questa prospettiva non dev’essere piaciuta a molti e infatti i genitori degli alunni della scuola primaria, che si sono incontrati recentemente per deliberare, hanno rifiutato in blocco la proposta. Proposta che però è ancora all’ordine del giorno del prossimo consiglio di Istituto, relativamente alla scuola secondaria. Vedremo come la prenderanno questa volta i genitori. Nel frattempo, la questione è arrivata anche a Montecitorio dove si annunciano interrogazioni al Ministro dell’Istruzione.
Se hai cinquecentomila dollari da investire per stabilire un’azienda e creare dieci nuovi posti di lavoro in un’area ad alta disoccupazione, puoi perfino acquistare il diritto ad immigrare, ricevendo la green card e con essa, la residenza permanente. Si possono acquistare i numeri di telefono dei medici di famiglia, in modo da poterli contattare ventiquattro ore su ventiquattro, o ancora, in Namibia, puoi acquistare per qualche centinaio di migliaia di dollari, il diritto ad uccidere un rinoceronte nero, una specie a rischio di estinzione. Se, poi hai un senso un po’ macabro per gli affari, puoi pagare un’assicurazione sulla vita ad una persona anziana, per poi riscuoterne il premio, una volta che questa morirà. Anche il business intorno alle file è ormai fiorente: sono molti i parchi divertimenti nei quali si può saltare la fila alle varie attrazioni pagando un extra sul biglietto. Lo stesso accade davanti agli ascensori per salire sulla terrazza dell’Empire State Building a New York.
“Cosa succede se l’“etica della fila” basata sul principio del “primo arrivato, primo servito”, viene sostituita dall’etica del mercato, basata invece sul principio del “compro, pago, pretendo”?”
Puoi addirittura assumere qualcuno che faccia la fila per te. Esistono agenzie specializzate, come la Linestanding.com, che offrono simili servigi per un prezzo che si aggira intorno ai cinquanta dollari ad ora. Visti simili prezzi, quindi l’offerta della scuola cagliaritana sembra alla fine più che equa. Oppure no? Cosa succede se l’“etica della fila”, come la definisce il filosofo Michael Sandel nel suo libro Quello che i soldi non possono comprare, (Feltrinelli, 2012), basata sul principio del “primo arrivato, primo servito”, viene sostituita dall’etica del mercato, basata invece sul principio del “compro, pago, pretendo”? Niente di particolare, si potrebbe obiettare. Del resto che c’è di male nel fornire un servizio che ci consente di accorciare i tempi di una fila e magari ridurre le discussioni con gli altri genitori su chi è arrivato prima e chi dopo?
Ma se scrutiamo un po’più in fondo, oltre l’apparenza, forse qualche problema lo scorgiamo. Se quel diritto a saltare la fila che qualcuno compra e qualcun altro no, crea una disuguaglianza tra chi può permetterselo e chi no, allora qualche problema c’è. Ma sono solo pochi euro – si dirà – è vero, ma la disuguaglianza rimane e per eliminarla, tutti i genitori si troverebbero costretti, con un certo grado di coercizione, ad acquistare il servizio. Una seconda riflessione: se fossi un figlio e vedessi i miei genitori passare il pomeriggio in fila tra un professore e l’altro, l’impressione che ne trarrei è quella di avere dei genitori a cui io importo, che si interessano di me e del mio futuro. Non so se la stessa impressione si potrebbe trarre da un genitore che paga per evitarsi quella fila. Forse no.
“Attaccare un prezzo a certi beni o servizi non è un atto neutrale, ne trasforma la natura”
Un terzo punto: attaccare un prezzo a certi beni o servizi non è un atto neutrale, ne trasforma la natura. Se vi offrite di pagare la cena che il vostro amico ha appena cucinato per voi, quella cena diventa un’altra cosa, e probabilmente anche la vostra amicizia. Per questo una bottiglia di vino è più adatta in una circostanza simile.
Qui parliamo di una scuola, non di una impresa for profit che può cercare di vendere, nell’ambito delle leggi vigenti, qualunque cosa ci siano consumatori disposti acquistare, ma di una istituzione pubblica, che assolve, non solo il compito fondamentale di trasmettere conoscenze ed educare i nostri giovani, ma anche quello altrettanto importante di favorire la formazione di una struttura valoriale e morale in quegli stessi giovani. Certe operazioni commerciali, dunque, non solo risolvono problemi, a pagamento, ma esprimono valori, in questo caso il valore e il potere del denaro.
Credo che da un’istituzione scolastica in molti si aspetterebbero ben altri messaggi. La crescente pervasività e invadenza della logica del mercato sta portando, silenziosamente ma inesorabilmente, a cambiamenti importanti. Si pensi per esempio al lavoro di cura, dai nostri figli ai nostri anziani. Li affidiamo sempre più a servizi a pagamento, salvo poi correre ai ripari imponendo per legge l’istallazione della video sorveglianza in asili e ospizi. Un rimedio che finirà per aggravare il male che intenderebbe curare.
La valenza più generale del fatto particolare, infine: se le onde del mercato invadono sempre più i territori del sociale, se le nostre relazioni finiscono sempre più e sempre per essere regolate dalla logica dello scambio e della valutazione monetaria, allora la distribuzione del reddito e la sua crescente disuguaglianza, conteranno sempre di più e imporranno sempre nuove differenze, separazioni, quando non vere e proprie segregazioni.
“Come facciamo, allora, a discernere cosa il denaro può comprare e cosa no? Cosa è giusto vendere e cosa no?”
Ma come facciamo, allora, a discernere cosa il denaro può comprare e cosa no? Cosa è giusto vendere e cosa no. Perché il priority boarding ci sembra normale ma il “salta-fila” ai colloqui della scuola appare inappropriato? È una domanda alla quale non è facile rispondere, naturalmente; ma fatti anche piccoli, come quello della scuola cagliaritana, ci fanno capire che tale domanda diventa sempre più pressante e ineludibile. Si potrebbe rispondere che per ridurre i tempi di attesa nelle file e ridurre le discussioni e i nervosismi sulle priorità sarebbe più importante favorire l’auto-organizzazione e il dialogo civile tra i genitori piuttosto che demandare il compito al mercato. Nel primo caso tra l’altro la scuola fornirebbe un servizio anche alle famiglie e favorirebbe l’apprendimento della preziosa capacità di cooperare, di fare le cose insieme. Nel secondo caso invece, stiamo semplicemente trovando una scorciatoia.
Nella sua lezione in occasione dell’assegnazione del premio Nobel, Elinor Ostrom, afferma che nell’ultimo secolo abbiamo erroneamente pensato di poter risolvere i problemi delle nostre convivenze attraverso la creazione di regole e istituzioni capaci di forzare individui egoisti verso la cooperazione. «Le mie ricerche, invece, – continua la Ostrom – mi hanno portato a pensare che l’obiettivo fondamentale delle politiche pubbliche debba essere quello di sviluppare istituzioni capaci di far venir fuori la parte migliore di ogni essere umano. Dobbiamo chiederci allora quali siano le istituzioni che aiutano od ostacolano l’apprendimento, l’evoluzione, l’affidabilità, i livelli di cooperazione e in definitiva, il raggiungimento di risultati più efficaci, sostenibili e giusti».
Ecco, un piccolo fatto in una scuola di periferia, che apre un tema enorme. Parliamone e parliamone insieme, attivamente e non con la rassegnazione di chi si lascia invadere. Il prossimo consiglio di istituto dove si discuterà la proposta della scuola è un luogo interessate dal quale cominciare questo dibattito, un luogo carico di simbolismo democratico e civile. Sarebbe auspicabile che fosse un consiglio aperto alla partecipazione di tutti i genitori e di tutti gli studenti, e perché no, degli abitanti del quartiere, e della stampa, perché chi è a favore o contro abbia la possibilità di confrontarsi, di ascoltare e di esprimersi, ma sotto lo sguardo attento ed esigente della comunità.
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