di Irene Sturabotti, metro news 15.5.2016
– In una società che muta così velocemente è comprensibile che talvolta ci si senta disorientati, ragion per cui è fondamentale utilizzare l’intelligenza, ossia la capacità di adattamento alle diverse situazioni. Nel rapporto scuola-famiglia questo, purtroppo, non avviene spesso, anzi, oserei dire quasi mai e quel rapporto sta lentamente degenerando.
I ruoli
Molti genitori faticano a rispettare il ruolo dell’insegnante intervenendo sulla didattica e più in generale sul modus operandi del docente. Un’ingerenza costante e inaccettabile, che ha come conseguenza un inasprimento degli animi che confligge con la tanto osannata partecipazione/collaborazione/complicità scuola-famiglia.
Chi ne fa le spese?
A farne le spese sono tutti, in particolar modo gli alunni. In un periodo storicamente difficile per la scuola tutta, in cui le operazioni cervellotiche e pasticciate del governo non fanno altro che sminuire la figura del docente italiano, con quale animo le famiglie affidano i propri figli ad un’organizzazione allo sfacelo? E come può lavorare un insegnante, riappropriarsi del ruolo che gli compete se continuamente viene contestato e quasi mai difeso dal proprio datore di lavoro?
Succede allora che un docente si ritrovi a dover contrastare un’azione legale intrapresa da genitori che non hanno gradito la valutazione finale del proprio figlio, semplicemente perché “più che buona” invece che “ottima”. E succede anche che molti genitori giudichino negativamente l’operato dei docenti all’interno delle mura domestiche, in presenza dei figli. Dunque, non c’è da stupirsi se un alunno si rivolge ad un insegnante in modo volgare e irrispettoso. Se è vero che i docenti hanno l’obbligo di stabilire un rapporto sano e collaborativo con le famiglie, altrettanto necessario è che le stesse la smettano di difendere e giustificare i propri figli a spada tratta. Ogni sconfinamento dai propri ruoli è ragionevolmente deleterio per il futuro di quella giovane società che tentiamo di formare. “Unicuique suum”.