di Ilaria Venturi, la Repubblica, 27.3.2021.
All’orizzonte del mondo dell’insegnamento un forte ricambio generazionale in cattedra ma il 78% dei giovani è precario.
La scuola italiana ha pochi insegnanti giovani, ovvero under 35: appena il 6,4% in Italia. Solo la Grecia (4,6%) e il Portogallo (3,4%) sono messi peggio. E se è vero che l’invecchiamento del corpo docente interessa più della metà dei sistemi educativi in Europa, il nostro Paese segnala qualche criticità in più. Più della metà dei docenti andrà in pensione nei prossimi 15 anni, il mondo della scuola ha nel suo orizzonte un fortissimo ricambio generazionale in cattedra. Ma se le condizioni di oggi non cambieranno, nel reclutamento e nella formazione, la strada sarà in salita. Il motivo? Già oggi i pochi giovani che insegnano hanno contratti che al massimo durano un anno. In condizione di precarietà è il 78%: un’anomalia tutta italiana che salta agli occhi. Insieme a un altro nodo problematico per medie e superiori: la formazione iniziale. La pratica in classe (il cosiddetto inSchool placement) non esiste, mentre la “formazione professionale”, su materie cioè legate alla didattica e alla pedagogia, in Italia arriva all’8% contro il 50% di altri Paesi.
Nel dibattito sulla crisi che sta attraversando la professione degli insegnanti, si inserisce il nuovo rapporto della rete Eurydice “Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being” che ha come focus i docenti della scuola secondaria inferiore, per noi le medie. Il rapporto copre i 27 gli Stati membri dell’Ue, oltre a Regno Unito, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Svizzera, Islanda, Liechtenstein, Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, Serbia e Turchia.
Le aree chiave dallo studio comprendono la crisi vocazionale e le politiche legate all’attrattività della professione, la formazione iniziale, lo sviluppo professionale continuo, le condizioni di servizio, le prospettive di carriera e il benessere degli insegnanti. Ecco alcuni punti.
Quanto è attrattiva la professione docente?
Milioni di insegnanti in tutta Europa, si legge nel Rapporto, hanno dovuto adattarsi rapidamente alle chiusure delle scuole a causa della pandemia e garantire l’insegnamento a distanza. “Ma se da una parte si riconosce agli insegnanti il loro ruolo cruciale, e lo si è visto in questa drammatica emergenza, dall’altra si assiste anche a una crisi professionale piuttosto importante che vede sistemi scolastici sempre più in difficoltà nel reclutare insegnanti motivati e competenti” osserva Simona Baggiani, analista di Indire (unità italiana Eurydice). Un fenomeno non nuovo, ma che sembra peggiorato negli ultimi anni. La carenza di docenti riguarda ben 35 sistemi educativi in Europa: otto di questi, tra cui l’Italia, soffrono sia di carenze – nelle materie di matematica, scienze, tecnologia e ingegneria e nelle lingue straniere- che di eccesso di offerta. Solo in tre paesi (Cipro, Irlanda del Nord e Turchia) l’eccesso di offerta è la principale problematica. Le ragioni? “Sono molteplici, come la mancanza di pianificazione nella formazione iniziale dei docenti o i bassi tassi di reclutamento dovuti alla riduzione della spesa nel settore pubblico” spiega l’esperta.
Altro guaio, si è visto, è l’invecchiamento. Gli ultimi dati Eurostat indicano che, a livello Ue, quasi il 40% degli insegnanti del livello secondario inferiore ha oltre 50 anni, e meno del 20% ha meno di 35 anni. Alla luce della pandemia – spiega il Rapporto Eurydice – l’età avanzata degli insegnanti aggiunge un ulteriore elemento di vulnerabilità ai sistemi educativi nel loro insieme “sia per la maggiore fragilità degli stessi, sia per la diffusa difficoltà tra gli insegnanti più anziani di gestire la didattica a distanza attraverso le nuove tecnologie”. Gli ultimi dati Eurostat indicano infatti che, a livello Ue, quasi il 40% degli insegnanti del livello secondario inferiore ha oltre 50 anni, e meno del 20% ha meno di 35 anni.
Stipendi e contratti
In Europa un insegnante su cinque lavora con contratti temporanei. Tra gli insegnanti con meno di 35 anni, più di un terzo è assunto a tempo determinato, e in Italia (78%), come in Spagna, Austria e Portogallo, sono addirittura più di due terzi, con contratti brevi e spesso non superiori a un anno (quest’ultimo è il caso dell’Italia). In alcuni paesi rimane alta anchela percentuale di insegnanti nella fascia di età 35-49 che lavora con un contratto a tempo determinato (in Portogallo il 41%, in Spagna il 39% e in Italia il 32%).
Sugli stipendi – continua il Rapporto – si registra una generale insoddisfazione tra gli insegnanti europei. Solo in Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Inghilterra, la percentuale di insegnanti soddisfatti, o molto soddisfatti, del loro stipendio è superiore al valore medio Ue del 38%. In Francia, Italia, Portogallo, Romania e Slovenia, pochi insegnanti sono soddisfatti. “Il problema non è tanto lo stipendio in sé – fa notare Simona Baggiani – perchè gli stipendi medi sono, anche se di poco, superiori al Pil pro capite. Il problema sta nella prospettiva di carriera”. Gli insegnanti italiani, infatti, devono lavorare 35 anni prima di raggiungere lo stipendio massimo, che è circa il 50% in più dello stipendio iniziale. In Francia, Italia, Portogallo e Slovenia, inoltre, negli ultimi dieci anni gli stipendi degli insegnanti hanno avuto aumenti molto limitati.
Come si sale in cattedra?
La maggioranza dei sistemi educativi europei, compreso quello italiano, richiede una qualifica minima equivalente alla laurea magistrale per l’accesso alla professione, una formazione professionale – che varia da un 50% per il Belgio francese, Irlanda e Malta a un 8% in Italia (i 24 crediti in discipline psico-pedagogichee metodologie didattiche) e Montenegro – e, spesso, anche un periodo di pratica in classe (assente in Italia per le medie e superiori).
In base ai risultati dell’indagine internazionale Talis 2018, in Europa, quasi il 70% di tutti gli insegnanti riferisce di essere stato formato in tutti e tre i principali aspetti della formazione (contenuti disciplinari, pedagogia generale e relativa alla specifica disciplina e pratica in classe). La percentuale scende sotto il 60% in Spagna, Francia e Italia. Per quanto riguarda la fase di avvio alla professione per i nuovi insegnanti (per noi anno di prova), in media, in Europa, meno del 50% degli insegnanti ha preso parte a una qualche forma di programma di sostegno all’inizio della carriera. In Italia l’anno di prova è obbligatorio per la conferma in ruolo dei docenti, ma è rivolto solo agli insegnanti assunti a tempo indeterminato. E dopo la cancellazione del Fit, il percorso progettato dalla Buona scuola, tutto è bloccato: ancora manca un percorso che tenga insieme la formazione e il reclutamento.
Insegnare, che stress?
Altro capitolo, qui riportato in sintesi, riguarda il benessere a scuola. In media, a livello Ue, quasi il 50% degli insegnanti riferisce di aver sperimentato “abbastanza” o “molto” stress sul lavoro. Gli insegnanti che lavorano in scuole con un clima collaborativo e che si sentono sicuri di sé nella gestione del comportamento e nella motivazione degli studenti, generalmente segnalano un minor livello di stress. La percentuale degli insegnanti italiani che hanno riferito di aver sperimentato abbastanza o molto stress sul lavoro è tuttavia inferiore alla media europea del 46,8%, con il 28,9% di insegnanti che ha risposto “abbastanza” e il 5,9% “molto”.
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Scuola, in Italia più della metà dei docenti andrà in pensione nei prossimi 15 anni ultima modifica: 2021-03-27T18:46:33+01:00 da