Scuole nel caos tra contagi, graduatorie e didattica in presenza: una follia senza ‘senno’

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di Manlio Lilli, Il Fatto Quotidiano,  14.10.2020.

“Era come un liquor suttile e molle, atto a esalar, se non si tien ben chiuso; e si vedea raccolto in varie ampolle, qual più, qual meno capace, atte a quell’uso. Quella è maggior di tutte, in che del folle signor d’Anglante era il gran senno infuso; e fu da l’altre conosciuta, quando avea scritto di fuor: Senno d’Orlando. E così tutte l’altre avean scritto anco il nome di color di chi fu il senno”.

Astolfo, insieme a san Giovanni Evangelista che ha incontrato nel Paradiso terrestre, sale su un carro diretto sulla Luna. L’Orlando furioso termina con una delle “trovate” più divertenti e ironiche di Ariosto. Il nostro satellite è trasformato in una sorta di “ufficio oggetti smarriti”, dove va a finire tutto quel che va perduto sulla Terra. Compreso, appunto, il “senno”. Che servirebbe anche ora, dovunque e in qualunque ambito. Compresa la scuola. Che prova a resistere, strenuamente. Ai nuovi contagi da Covid-19 che provocano apprensione e difficoltà, ma anche ai consueti disservizi, almeno del primo mese.

Disservizi provocati principalmente dalla mancanza di docenti. Di supplenti che possano arginare l’assenza dei titolari. Già, perché la rivoluzione delle graduatorie provinciali, che nelle intenzioni del Ministero della Pubblica Istruzione avrebbe dovuto garantire la copertura delle cattedre disponibili per l’anno scolastico in corso, non sembra aver cambiato molto la situazione rispetto agli anni precedenti. Nelle classi, soprattutto delle medie, i “buchi” ci sono. Così l’attesa di genitori e alunni prosegue.

Per certi versi attutita dal nemico di questi mesi. Quasi schermata dai pericoli e dagli stravolgimenti provocati dalla pandemia. Le classi sostanzialmente blindate, con alunni ed insegnanti fermi, ciascuno al proprio posto. Mascherina a coprire sempre naso e bocca e frequenti sanificazioni alle mani. Eppure non basta neppure questa attenzione, a volte. Accade che alunni ed insegnanti siano contagiati. E’ allora che iniziano i problemi, a scuola. I ragazzi contagiati devono rimanere a casa, ovviamente. Come i loro insegnanti, d’altra parte. Ma con una sostanziale differenza. Perché nella vita scolastica pesa molto di più l’assenza di un docente che non quella di un alunno.

Per motivazioni di carattere pratico. Non per altro. Così anche se si arriva alla quarantena di una intera classe e dell’intero corpo docente del consiglio, il prezzo maggiore lo paga la scuola. Le classi e i professori che rimangono. Anche perché la didattica a distanza che i presidi dovrebbero attivare in quella circostanza viene incontro alle esigenze della classe in quarantena, ma non interviene sulle altre classi.

Gli insegnanti hanno le loro 18 ore suddivise in classi diverse, frequentemente di sezioni differenti. Per questo motivo la Dad risolve il problema principale, ma non i tanti, secondari. Così è sufficiente che i docenti di due classi vengano messi in quarantena per creare un mezzo disastro a cui risulta particolarmente difficoltoso porre rimedio, nonostante le migliori intenzioni di tanti vicepresidi e collaboratori del preside. Insomma, figure che generalmente si occupano di organizzare le sostituzioni degli assenti.

Ragazzi e insegnanti sono immersi in una follia nella quale rischia di perdersi ogni sforzo. Le scuole sono come porti di mare nelle quali la didattica è evidentemente l’ultima delle preoccupazioni. Circostanza che non può meravigliare: era preventivabile. Quel che appare meno giustificabile è che stia progressivamente scemando, in troppi casi, anche l’altra funzione della scuola, quella che è terribilmente mancata durante la chiusura dello scorso anno: insomma, quella di promozione del processo di socializzazione.

Psicologi e psicoterapeuti, quindi non solo insegnanti e genitori, durante il lockdown hanno sottolineato come la sofferenza dei ragazzi in età scolare fosse provocata anche dall’impossibilità di stare insieme. Di condividere esperienze. Di crescere imparando, insieme. Per questo le scuole avrebbero dovuto riaprire. E così è stato, per fortuna. Hanno riaperto tutte, anche se con sostanziali differenze tra scuole primarie e secondarie di primo grado da un lato e secondarie dall’altro.

Giustamente si è pensato che i più grandi potessero sopportare l’alternanza. Una settimana didattica a distanza, un’altra in presenza. Ma ora, in queste condizioni, costretti da tante prescrizioni, è cosi sicuro che stiano meglio, almeno i ragazzi delle elementari e delle medie? A guardarli, qualche dubbio viene. A vederli, sempre seduti al banco fatta eccezione per la passeggiata in bagno, il timore che non sia propriamente così dovrebbe farsi strada.

In molti istituti superiori i ragazzi chiedono che le lezioni possano avvenire esclusivamente a distanza. In questo modo si alleggerirebbe anche il carico dei trasporti pubblici, che in troppe occasioni è senza ombra di dubbio fuori controllo. La richiesta, caldeggiata da molte Regioni, non piace ai presidi. Che è più che probabile non possano fare diversamente, considerate le indicazioni ministeriali.

Intanto nelle scuole elementari e medie si va avanti, come se niente fosse. “I ragazzi sono felici di essere tornati a scuola: e ci devono rimanere”, sostiene la ministra Lucia Azzolina. Lei non ha dubbi. Non ne ha mai. Eppure ritornare sulle proprie decisioni, qualche volta, non è una sconfitta. Ma un atto di umiltà, un adeguamento alle mutate condizioni.

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Scuole nel caos tra contagi, graduatorie e didattica in presenza: una follia senza ‘senno’ ultima modifica: 2020-10-14T17:09:13+02:00 da
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