Venerdì 6 agosto 2021. Esordisce la certificazione verde

Gilda Venezia

di Nello Rossi, Questione Giustizia, 5.8.2021.
Gilda Venezia

Come è già avvenuto per la vaccinazione anticovid, anche la “certificazione verde” divide la nostra come altre società avanzate. Non scandalizzarsi di questa nuova, ennesima, divisione e consentirle di esprimersi ha, al fondo, una idea antica: che il confronto e l’urto di pensieri diversi sia ancora, se non l’unico, il miglior metodo a disposizione per trovare le soluzioni più ragionevoli ed accettabili ai problemi della convivenza collettiva. Per parte nostra restiamo convinti che la campagna di vaccinazione sia uno strumento di liberazione dai più gravi timori per la salute individuale e collettiva e che la vaccinazione sia al tempo stesso un diritto ed un onere, il cui mancato adempimento può giustificare una serie di calcolate restrizioni e limitazioni, adottate nell’interesse collettivo, in vari ambiti della vita sociale.

1. Non scandalizzarsi delle divisioni

Venerdì 6 agosto 2021, la “certificazione verde” diventa nel Paese il documento necessario per accedere “liberamente” ad una pluralità di luoghi frequentati dal pubblico.

Come è già avvenuto per la vaccinazione anticovid, anche il c.d. green pass divide la nostra come altre società avanzate.

Tra un’amplissima maggioranza di persone che considera questo (modesto) adempimento uno strumento utile e doveroso per meglio tutelare, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche sul virus Covid-19, la salute individuale e collettiva e chi rivendica la libertà di dissentire e, con essa, il diritto di sottrarsi a quella che viene percepita come una limitazione di libertà e di diritti.

Non scandalizzarsi di questa nuova, ennesima, divisione e consentirle di esprimersi ha, al fondo, una idea antica: che il confronto e l’urto di pensieri diversi sia ancora, se non l’unico, il miglior metodo a disposizione per trovare le soluzioni più ragionevoli ed accettabili ai problemi della convivenza collettiva.

La ricerca, sempre faticosa, della razionalità sociale deve perciò accettare di svolgersi lungo i percorsi accidentati dei consensi e dei dissensi, degli scetticismi e delle aperture di credito, delle ansie e dei meditati affidamenti.

Fino a consolidarsi, magari temporaneamente e per tappe, in regola giuridica, comune alla generalità dei consociati alla quale si chiede, e all’occorrenza si impone, di rispettarla.

2. “A volte mi vengono idee che non condivido…” 

Mai come in questi anni, sorprendenti, travagliati, dolorosi ma anche fecondi, la lieve forma di schizofrenia evocata da Altan è stata l’unica spiegazione possibile di molti dei nostri pensieri individuali.

Per un luogo di intelligenza collettiva come la nostra piccola Rivista non c’è però bisogno di scomodare la psicanalisi, l’io diviso, l’antitesi tra pensiero notturno e pensiero diurno e tutto il vasto armamentario dispiegato per rappresentare la contraddittorietà del mondo intellettuale.

Basta ancorarsi alle regole auree della libertà del pensiero, all’accettazione delle diversità del paesaggio mentale, all’apertura dello sguardo rivolto alla folla di pensieri sensati, giusti, salvifici e di stravaganze e bizzarrie che occupano la scena del dibattito pubblico per sostenere che “A volte pubblichiamo idee che non condividiamo”.

Del resto, proprio il complesso di reazioni sociali, culturali, istituzionali di fronte alla pandemia è stato uno dei banchi di prova su cui la scelta di apertura intellettuale della Rivista è stata in questi anni messa maggiormente alla prova.

3. Il drammatico stress test istituzionale dell’epidemia

Ammettiamolo: sul drammatico fronte della risposta alla malattia, alle morti, al distanziamento sociale, alle chiusure, tutti hanno ondeggiato: i governi, spesso promotori di politiche contradditorie; le organizzazioni sociali, costantemente in bilico tra istanze particolari e interesse collettivo; gli individui, stretti tra la paura del contagio e della malattia e il desiderio di libertà, di normalità, di cessazione dello stato di emergenza.

E’ stato un dovere documentare, criticare, ma a volte anche semplicemente rispecchiare questi turbamenti, gli errori che li hanno accompagnati, e l’impatto che essi hanno avuto sul diritto, vitale tecnica di regolazione delle società .

Crediamo di avere assolto questo compito, naturalmente nei limiti delle nostre possibilità, dedicando all’eccezionale situazione sociale e giuridica generata dall’epidemia una lunga serie di scritti, di analisi, di riflessioni[1].

Denunciando l’incredibile anomia legislativa nella quale si è svolta la campagna di vaccinazione, frutto di una preoccupante latitanza del Parlamento su questioni cruciali della vita del Paese.

Evidenziando le tensioni del rapporto tra Stato e Regioni, nel quale, a dispetto della evidente necessità dell’intervento unitario dello Stato (sulla base di un competenza chiaramente ribadita dalla Corte costituzionale) non sono mancati strappi, per lo più velleitari e folcloristici ma non per questo meno dannosi, di numerose autorità locali.

Ragionando della tutela dei diritti individuali – di libertà, sociali, economici – nella lunga sospensione della normalità causata dal virus e dalle molteplici misure adottate per il suo contenimento.

4. Un divario crescente

E’ stato proprio nel corso di questa lunga riflessione a più voci, ricca di sfumature e di diversità, che è divenuta più chiara e si è rinsaldata una convinzione risalente.

E cioè che i più recenti sviluppi della situazione – la rapida scoperta di vaccini, il lancio di campagne di immunizzazione di massa e le resistenze, minoritarie ma numericamente non insignificanti, che hanno accompagnato questi eventi – siano stati l’ennesima dimostrazione di un divario crescente ed inquietante.

Parliamo della distanza tra le capacità scientifiche e tecnologiche degli esseri umani che si sono enormemente accresciute in tutti i campi del sapere e l’identità piscologica e morale degli individui, spesso rimasta alla prese con gli stessi problemi, gli stessi dilemmi, le stesse ansie e le stesse pulsioni di epoche lontane nel tempo.

E’ da questo iato che scaturiscono le eclatanti manifestazioni di rifiuto della razionalità scientifica e le ribellioni a misure sanitarie indispensabili e doverose, che percorrono le nostre società.

Ed è su questo terreno che pretende di insediarsi una idea di libertà individuale – arcaica e presociale –  disgiunta dalla responsabilità verso la collettività .

Una concezione talora cinicamente sfruttata dalla parte più retriva della politica che si è scoperta alfiere e paladino delle manifestazioni più povere, banali, irrilevanti di una libertà che nel corso della sua storia ha non di rado negato o ignorato .

5. La vaccinazione anticovid: non un obbligo ma un onere

In un tale contesto non abbiamo esitato a offrire documenti e testimonianze anche di pensieri da noi non condivisi, convinti come siamo che un organo di informazione non è una falange macedone, non è un partito, non è una scuola di pensiero unico e che svolge un servizio utile anche ospitando e rappresentando punti di vista diversi e confliggenti.

Per parte nostra restiamo fermi nella convinzione che la campagna di vaccinazione sia uno strumento di liberazione dai più gravi timori per la salute individuale e collettiva.

Così che, se non ricorrono oggi gli estremi per configurare la vaccinazione anticovid come un “obbligo”, essa è da considerare a tutti gli effetti un “onere”, il cui mancato adempimento può giustificare una serie di calcolate restrizioni e limitazioni, adottate nell’interesse collettivo in vari ambiti della vita sociale (mobilità, accesso a luoghi pubblici, lavoro).

L’onere: figura antica quanto il diritto, incomprensibilmente relegata sullo sfondo del discorso pubblico sulle vaccinazioni focalizzato sulla dicotomia tra diritti e obblighi[2], mentre è l’unica in grado di spiegare come e perché chi pretende di astrarsi dalla dimensione collettiva di una epidemia fortemente contagiosa, rifiutando la vaccinazione, non possa poi legittimamente aspirare ad essere ammesso alle forme della vita sociale nelle quali il pericolo di contagio si manifesta.

All’onere di vaccinarsi si accompagna, come naturale corollario, il dovere, oggi introdotto nel nostro Paese, di attestarne l’adempimento – con una certificazione pubblica, un pass, o un altro chiaro segno di riconoscimento – per reintrodurre nella esperienza sociale le condizioni di almeno relativa sicurezza e di tranquillità compromesse dalla prosecuzione dei contagi.

Come abbiamo già ricordato in passato “Don Ferrante non abita qui”, sulle pagine di questa Rivista.

Se c’è chi vuole teorizzare che il Covid “non essendo sostanza e non essendo accidente” non esiste o almeno non è evento tale da giustificare misure di efficace contrasto al contagio non saremo noi a negargli il diritto di rappresentare le sue ragioni. Senza però privarci del diritto di ribadire le nostre, di segno opposto.

[1] Basti ricordare qui il numero 2/ 2020 della Rivista Trimestrale intitolato “ Il diritto dell’emergenza” e la lunga sequenza di articoli della Rivista on line, dedicati ai temi sociali e giuridici della pandemia.

[2] Figura giustamente richiamata nello stimolante articolo di Ilena Massa Pinto, Volete la libertà? Eccola, pubblicato il 3 agosto 2021 sulla Rivista on line.

di Nello Rossi, direttore di Questione Giustizia
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Venerdì 6 agosto 2021. Esordisce la certificazione verde ultima modifica: 2021-08-06T11:45:11+02:00 da
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