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18.4.2024.La nuova modalità di abilitazione dei docenti introdotta da Valditara sta seminando lo scontento tra i giovani prof della scuola
Un editoriale del Domani del 17 aprile ha iniziato a mettere luce sulla situazione, un po’ paradossale e poco dignitosa, di tanti insegnanti in attesa di abilitazione. La questione, a mio modo di vedere, meriterebbe ben più rilievo di quanta ne sta ricevendo, se è vero che il futuro di un Paese passa dalla formazione delle nuove generazioni e, quindi, dalla considerazione di chi quelle generazioni dovrebbe formarle.
Provo a descrivere sommariamente la situazione di molte persone che, oggi, stanno insegnando nella scuola italiana, statale o paritaria che sia. L’ultima modalità per ottenere l’abilitazione all’insegnamento risale al 2014 (10 anni fa), anno dell’ultimo TFA (Tirocinio formativo attivo). Chi ha iniziato a insegnare da settembre di quell’anno non ha più avuto modo di abilitarsi e poter avere un posto di ruolo (in una scuola statale o paritaria), eccetto il concorso bandito nel 2020 dal ministro Azzolina, che permetteva di ottenere allo stesso tempo l’abilitazione e l’immissione in ruolo. Con due particolari: per accedere al concorso era necessario avere 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche (spesso ottenuti in università telematiche al costo, stabilito dal ministero, di 500 euro); il concorso, a causa delle bislacche modalità di svolgimento, è stato superato da circa il 10% dei candidati.
Conseguenza: migliaia di insegnanti continuano a insegnare, in scuole statali o paritarie, in maniera precaria e senza sapere con certezza in che modo potersi stabilizzare, con grave danno alla continuità didattica, ma anche alla dignità di queste persone.
A questa situazione il ministro Valditara ha detto di aver posto rimedio, bandendo “finalmente” una nuova modalità di abilitazione. Chi ha già almeno tre anni di servizio in una scuola (paritaria o statale) dovrà accedere a un percorso di 30 CFU (su metodologie didattiche e didattica della disciplina) erogato dalle università (ancora prevalentemente telematiche), alla fine del quale svolgerà un esame che gli rilascerà l’abilitazione. Costo: 2mila euro. A cui aggiungere i 500 euro già pagati da gran parte degli interessati per i precedenti 24 CFU che nel frattempo non servono più. Chi invece non dovesse avere gli anni di servizio e i 24 CFU dovrà accedere a un percorso di 60 CFU, al costo di 2.500 euro.
Possono esserci, poi, persone che sono abilitate a una classe di concorso e vorrebbero abilitarsi anche in un’altra: anche costoro devono accedere al percorso dei 30 CFU, pagare i 2mila euro e ottenere la nuova abilitazione.
Giunti a questo punto, però, la domanda urgente è: perché? Perché una persona che lavora a tempo pieno da dieci, cinque, o che ha appena iniziato a lavorare dopo aver svolto un percorso universitario, dopo aver pagato 500 euro per “ottenere” nuove competenze psico-pedagogiche (con 24 CFU in un’università telematica?) ora deve pagare altri 2mila euro (sempre a un’università telematica) e seguire obbligatoriamente tutti i pomeriggi sei ore di lezione di corsi tenuti da persone che non sono mai entrate in un’aula scolastica?