Abolire il voto, ovvero come fabbricare (in serie) fantasmi senza “io”

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di Vincenzo Rizzo, il Sussidiario, 9.5.2023.

Per non stressare studenti in crisi di identità c’è chi pensa a una scuola senza voti. Una trovata post-sessantottina che confonde il rimedio con la causa.

Gilda Venezia

Il mondo della scuola sta cambiando, in modo vertiginoso. È sorprendente per un insegnante boomer guardare la realtà attuale in movimento e in fibrillazione. Siamo di fronte a una generazione diversa e speciale allo stesso tempo. Un tempo le scuole venivano occupate per portare avanti la rivoluzione sociale. Manifestazioni, bombe molotov, sit-in e scontri con la polizia. Andava in piazza la generazione di chi aveva preso qualche sberla a casa da genitori che avevano conosciuto la fame e le pallottole. Oggi, invece, gli studenti protestano per diminuire lo stress e l’ansia da prestazione. Figli unici di coppie di “adultescenti” (Marescotti) e “sindacalisti” (Crepet), venuti su in un mondo che organizza tutto per bene, desiderano nella scuola un clima tranquillo e senza imprevisti, senza bullismo (giustamente) e senza severità eccessiva.

Non hanno conosciuto il classico sgomitare o la difficoltà di farsi avanti con durezza per giocare a pallone in un campo da calcio di periferia. Hanno tirato quattro calci in situazioni protette sotto lo sguardo vigile e inclusivo di tutti. Eppure, nonostante docenti attenti e dirigenti sempre più presenti, preoccupa l’effettivo aumento del malessere giovanile (casi di depressione, situazioni di isolamento sociale, sfiducia in sé e abbandono scolastico).

C’è chi pensa, perciò, a una scuola senza voti. Accade in varie scuole italiane, da Milano a Mestre, da Pesaro a Roma, a Palermo. L’abolizione del voto, antistorico e stressante, darebbe spazio a una scuola veramente democratica ed egualitaria. Si sperimenta perciò di tutto per togliere le difficoltà agli adolescenti. Si arriverà anche a togliere lo studio dei classici per evitare la difficile comprensione del testo?

In realtà si rischia di non vedere che la questione è più profonda. Cosa sono un voto negativo o una ripetenza, un fallimento, un insuccesso? Che cosa ci mette di fronte la vita, spesso? Insuccessi e fallimenti. A livello scolastico, affettivo-relazionale, lavorativo. Se ognuno guarda a sé e alla propria storia non può che trovare anche erbacce ed errori propri o altrui, non solo gioie e successi. Qualche batosta ha fatto anche bene, perché ha arginato la nostra pretesa infondata. Allora, che fare?

Visto che il nichilismo gaio segna il passo per le ultime sonore sconfitte (pandemia, guerra, cambiamenti epocali, crisi a ogni livello) del soggetto intento al proprio piacere (sono, consumo, godo), bisogna almeno arrivare a evitare fallimenti, insuccessi e giudizi diversi dal proprio. Niente voti. Niente rifiuti nelle relazioni o rotture nei rapporti. Niente malattie e nessuno che ci voglia fare del male. Insomma, un mondo asettico e irrealistico in cui nessuno debba più rimproverarsi per non aver fatto il proprio dovere o per una scelta errata o per non essersi pre-parato (nel significato etimologico del termine). Niente benedizioni o espressioni colorate per un voto ricevuto: un mondo di plastica per persone di cera. L’abolizione del voto è, insomma, la data di nascita del nichilismo involutivo. Una nuova forma ideologica attenta a non contrariare i borborigmi del triste io narciso.

E allora come porsi di fronte a questa deriva sostenuta da diversi illusionisti dell’educazione? Si tratta di tornare al centro della questione e del lavoro. Ciò che avvicina generazioni distanti è la comune necessità di un’indagine esistenziale. Un docente, un collaboratore scolastico e uno studente hanno le stesse esigenze di bene, di giustizia e di verità. C’è una crosta, però, che non le fa emergere. Dunque si cercano scorciatoie e fughe nel sogno per non fare i conti con la propria vita. Gli Oblomov di Gončarov e i Čulkaturin di Turgenev, chiusi nel torpore interiore o nella vita superflua, sono una possibile triste realtà.

Un lavoro educativo serio implica, perciò, un percorso in cui il negativo non venga anestetizzato o illusoriamente nascosto, ma guardato. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci tolga le difficoltà (un brutto voto o una fatica), ma di persone che ce le facciano affrontare con un metodo e con una possibilità di cammino. E questo vale per tutti, anche per i nostri adolescenti e per i nostri giovani.

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Abolire il voto, ovvero come fabbricare (in serie) fantasmi senza “io” ultima modifica: 2023-05-09T06:57:10+02:00 da
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