di Viola Giannoli, la Repubblica, 30.3.2023.
I ragazzi dicono di soffrire come mai prima ansia, stress, pressione dei docenti, angoscia per i compiti. Pellai, che succede nelle scuole?
“Se lo chiede ai ragazzi, hanno la percezione che il mondo adulto gli stia chiedendo moltissimo. Se si domanda agli adulti, dicono che i ragazzi sono più fragili davanti alle loro richieste. Questo è l’anno della vera ripartenza post Covid, soprattutto per gli studenti del primo e del secondo anno che pagano un salto più impegnativo tra le medie e le superiori, da una scuola che li ha resi meno abili a un’altra che non ha abbassato l’asticella”.
Così tanti cambi di scuola come si spiegano?
“Davanti a performance che non gratificano, al mancato riconoscimento immediato della fatica ci si ritira, si abbandona. E attorno forse manca la capacità di instaurare una relazione educativa che sostiene anche nell’insuccesso”.
Di fronte a quest’emorragia la scuola non deve interrogarsi su sé stessa?
“Sì, la scuola deve chiedersi sia cosa accade quest’anno agli studenti sia cosa accade alla scuola stessa. Chiedersi se ha un approccio sadico o sano nei confronti dei ragazzi. Se aiuta gli studenti davanti all’errore o li mortifica. Se è in grado di riorientarli o li lascia evaporare senza sapere che fine fanno”.
Gli studenti chiedono psicologi in ogni scuola. Servono?
“Sono senz’altro un fattore di protezione per ridurre il rischio di sentirsi in balia degli eventi. Per avere successo ci sono abilità cognitive ma è necessaria anche la motivazione, la tolleranza alla frustrazione per far sì che chi è fragile diventi resistente. L’intera comunità scolastica deve essere più ricettiva verso la fatica dei ragazzi”.
Cosa possono fare gli adulti?
“Né iperproteggere né ipersfidare i ragazzi. E creare un’alleanza con la scuola: oggi assistiamo purtroppo a famiglie che davanti a un profitto scolastico più carente aprono scontri profondi con la scuola. Anche mia figlia è entrata in primo liceo e ha collezionato una serie di 4 mai vista nel suo curriculum né in quello dei suoi fratelli. Ci siamo guardati, interrogati su come fosse possibile e immaginato un percorso graduale per portare quel 4 al 6. Siamo davanti a studenti che sono stati, per fortuna metaforicamente, intubati: li metti in piedi e cascano. Ma la riabilitazione si può fare, insieme”.