di Gianna Fregonara e Orsola Riva, Il Corriere della sera, 21.11.2018
– La competenza per organizzare gli stage passa al Ministero dello Sviluppo, diminuite le ore, la relazione non sarà più il centro della maturità anche se ne farà parte.
Lo scorso luglio era stata presentata dal ministro Marco Bussetti come una modifica in corsa della contestata legge 107 della Buona Scuola, un passaggio tecnico per venire incontro alle perplessità degli esperti sul fatto che l’esperienza dello scuola-lavoro diventasse addirittura il fulcro delle nuova maturità (dal 2019) prima che il progetto fosse andato a regime. Troppe scuole in questi primi anni di sperimentazione hanno avuto difficoltà a trovare progetti davvero buoni e a volte, pur di riempire il monte ore fissato per legge, sono state costrette ad accontentarsi di esperienze un po’ raffazzonate. Meglio fare pochi stage ma buoni – era l’argomento – che annacquare l’alternanza in percorsi di scarsa qualità.
Logica didattica o contabile?
Ma nella legge di bilancio la riforma ragionata dell’alternanza scuola-lavoro è diventata solo una posta contabile da tagliare per fare cassa. Dimezzate le ore nei licei dove più si era fatta sentire la contestazione di studenti e prof, ridotte anche negli istituti tecnici e nei professionali, ovvero proprio in quei percorsi che invece più avrebbero avuto guadagnare da un vero sistema duale di tipo tedesco (metà lezioni in classe, metà in azienda). D’ora in poi nei licei ci saranno massimo 90 ore nel triennio (contro le 200 previste dalla riforma Giannini-Renzi). E nei tecnici andrà anche peggio: si passa da 400 ore a 150. In questo modo serviranno meno fondi perché ci sono meno progetti, meno assicurazioni da coprire, meno personale da dedicare. Ed è vero che si tratta solo della «soglia minima» e che le singole scuole potranno decidere di fare anche più ore, ma con quali soldi se i risparmi sono già stati contabilizzati nel Def?
Scuola lavoro alla Maturità: sì, no, forse
«I ragazzi devono essere giudicati alla maturità sull’intero curriculum, non su un’esperienza che per molti è laterale», aveva detto subito dopo il suo insediamento il neo ministro dell’Istruzione tra gli applausi di quanti fin da subito hanno avuto dei dubbi sullo scuola-lavoro e di quanti hanno avuto problemi a organizzare lezioni e lavoro nelle loro classi. Ma c’era davvero bisogno di passare al napalm l’alternanza se si voleva solo ridurne l’impatto alla Maturità? Tanto più visto che poi – stando alle ultime indicazioni dello stesso Bussetti – l’alternanza atterrerà comunque all’esame prendendo il posto della tesina all’orale. In questi anni, nonostante le proteste contro le grandi multinazionali accusate dagli studenti di offrire stage per coprire in realtà posti di lavoro a rotazione, pian piano l’alternanza aveva iniziato a funzionare. Soprattutto negli istituti tecnici del Nord e del Centro che potevano contare su una rete di ottime relazioni con il tessuto locale di piccole e medie imprese. Che ne sarà ora di quel capitale di esperienze accumulate?
Se il Miur passa la mano al Mise
Che sia prevalsa una logica contabile lo dimostra anche il fatto che il risparmio inserito in legge di Bilancio – 56,52 milioni già dal 2019 – non è compensato da dettagli su come il ministro e il governo si immaginano il futuro delle ore rimaste. Sui nuovi «Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento» – come è stata ribattezzata l’alternanza scuola-lavoro – il Miur ha deciso di passare la mano al ministero dello Sviluppo Economico o almeno così hanno ritenuto di fare Salvatore Giuliano, sottosegretario M5S, e il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio firmando il protocollo di Pomigliano lunedì. Ecco che cosa prevede: la collaborazione tra le scuole e le unità operative del MiSE, che potranno stipulare convenzioni per la realizzazione di iniziative educative e formative di qualità rivolte alle studentesse e agli studenti, sui temi della politica industriale, del commercio internazionale, delle comunicazioni e dell’energia; attiveranno iniziative per rendere i percorsi formativi quanto più connessi alle esigenze del mercato del lavoro; promuoveranno attività di orientamento a livello territoriale per i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado, tenendo conto delle prospettive di studio universitario e non e occupazionali offerte dal territorio; favoriranno l’inclusione di ragazzi con disabilità nel percorso di studi successivo e nell’inserimento nel mondo del lavoro.
Finale a ruoli invertiti
E così, nella dialettica di governo Lega-Cinquestelle, si consuma il paradosso di un finale a ruoli invertiti. Con l’ex provveditore agli studi di Milano Bussetti, espressione del pragmatismo lombardo-leghista, che anziché «promuovere l’alternanza scuola-lavoro sul modello tedesco soprattutto per gli istituti tecnici e professionali» e «individuare percorsi che garantiscano qualità» per tutti gli altri come era scritto nel programma elettorale Lega-Salvini premier, ha preferito renderla «inoffensiva» tagliando ore e fondi. E i Cinquestelle (Di Maio e il sottosegretario Giuliano, già paladino della Buona Scuola renziana), che invece di eliminare del tutto l’obbligo dell’alternanza in nome di una scuola non asservita alle «aziende che vorranno, invece, solo assicurarsi manodopera a basso costo» come promesso in campagna elettorale, si fanno garanti di nuovi accordi fra scuola e imprese.
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