Andrea Giardina: “Imparare la Storia è un diritto”

– Dopo la campagna di Repubblica, la ministra Azzolina annuncia al Quirinale una commissione che risponda “al riaffacciarsi dell’odio”. Parla il presidente e primo firmatario del manifesto

Ieri mattina, al Quirinale, alla presenza del presidente Mattarella, la neoministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha annunciato la nascita di una commissione di studiosi «che faccia proposte per dare importanza alla storia come bene comune». La notizia potrebbe risolversi in poche righe se non contenesse in sé un elemento drammatico che non sfugge allo storico Andrea Giardina, autore per Repubblica del celebre Manifesto fondato proprio sul principio della storia come bene comune: non più solo un dovere per gli studenti, ma un diritto per una cittadinanza consapevole.

«Dalla nascita della Repubblica italiana fino a oggi, non era mai accaduto che la questione dell’insegnamento della storia fosse legata a un’emergenza civile», dice lo studioso. «Questo ci fa capire la condizione preoccupante in cui viviamo». Un atto nobile, lo definisce, maturato in un paese che corre verso l’abisso di ignoranza e inversione morale del passato.

Non è casuale che l’annuncio di Lucia Azzolina — sensibile al tema anche per la sua veste di docente di storia nella scuola superiore — abbia coinciso con la Giornata della Memoria: non basta l’emozione retorica concentrata in 24 ore, ma serve la conoscenza coltivata ogni giorno dell’anno, «come risposta al riaffacciarsi dell’odio, del negazionismo e dell’indifferenza», dice la ministra. Dell’Osservatorio fanno parte docenti universitari che lavoreranno a stretto contatto con il mondo della scuola.

La lista dei nomi include Alberto Melloni, Leila El Houssi, Patrizia Gabrielli, Silvia Calandrelli, Maria Grazia Riva, Simon Levis Sullam, Andrea Zannini, ma è ancora incompleta. La commissione dovrà occuparsi della formazione dei docenti e dei metodi di insegnamento, «in relazione alla mutata platea dei discenti e alle esigenze legate alla diversità di genere, di cultura e di appartenenza». E il presidente sarà il professor Giardina, antichista apprezzato negli ambienti storici internazionali e promotore della fortunata campagna su Repubblica.

Professor Giardina, dopo il reinserimento della storia alla maturità grazie all’allora ministro Fioramonti ora il nuovo Osservatorio creato dalla ministra Azzolina.
«È un atto importante che cade in una fase molto delicata del nostro paese. È inammissibile che una sopravvissuta di Auschwitz sia costretta a vivere sotto scorta. E mi sembra sempre più diffusa la volontà di cancellare dal calendario civile italiano la lotta al fascismo. Come è possibile che alcuni comuni considerino le “pietre di inciampo” un argomento divisivo? E come è possibile che il comune di Verona renda omaggio a Liliana Segre, vittima della persecuzione, e contemporaneamente a Giorgio Almirante, complice morale dei suoi aguzzini?».

L’attuale clima politico ha come legittimato rigurgiti neofascisti.
«L’Italia sta vivendo un’emergenza civile che è sbagliato sottovalutare. Ora che questo allarme sia negato dai gruppi della destra estrema e dai loro fiancheggiatori politici è comprensibile. Quello che invece non finisce di stupirmi è che la nuova ondata neofascista e razzista venga minimizzata da persone di sinistra o di area politica moderata. Per questo acquista ancora più importanza il gesto della ministra Azzolina: è il riconoscimento dell’emergenza da parte di un’alta autorità politica».

L’istituzione dell’Osservatorio significa anche che la memoria da sola non può bastare.
«L’abuso della memoria non è meno dannoso di un cattivo uso della storia, come dice Walter Barberis nel suo ultimo saggio. Atti estremi di antisemitismo s’intensificano in prossimità della Giornata della Memoria. Questo significa che bisogna ripensare certe modalità, eliminando ogni forma di spettacolarizzazione: l’eccesso di luce — dice perfettamente Barberis — abbaglia e riduce gli occhi a una fessura».

Per spalancare gli occhi serve conoscenza storica. Come pensa di diffonderla la nuova commissione?
«Il progetto si affiderà a un lavoro collettivo nel quale conteranno le diverse competenze: resta fondamentale il contributo dei professori di scuola, che vantano l’esperienza sul campo. Noi assistiamo a una frattura paradossale: da una parte una grave degenerazione del tessuto civile nazionale, dall’altra una delle migliori storiografie che esistano al mondo e una buona qualità degli insegnanti. Bisogna interrompere quella sorta di incantesimo che impedisce a tutte queste risorse di esprimersi, traducendosi in conoscenza diffusa».

In quale direzione pensate di muovervi?
«Bisogna avvicinare la storia ai ragazzi. E lo si può fare solo rispondendo alle domande di una società multiculturale. Mi piace che questo elemento del pluralismo sia sottolineato dalla ministra. Sostiene il sociologo tedesco Ulrich Beck che il problema è nel divorzio tra la dimensione cosmopolitica in cui viviamo e la nostra reale consapevolezza di questo respiro internazionale. Non c’è aspetto della nostra vita quotidiana che non dipenda da dinamiche mondiali — economiche, politiche, culturali, sanitarie (lo vediamo oggi con la Cina!) — ma il nostro sguardo è intimidito dalle fragilità materiali e di questa rete che ci avvolge non vediamo nulla. È proprio la scissione tra realtà e consapevolezza ad agire come moltiplicatore di angosce collettive e a dare campo libero ai nuovi cultori dell’odio».

Quindi anche nella storia bisogna spalancare le finestre sul mondo?
«Senza disconoscere l’importanza della vicenda nazionale, bisogna aprire i programmi alla storia del mondo: operazione impegnativa che implica nuovi strumenti pedagogici e tecnologie adatte. Ma questo servirebbe non solo agli studenti nati nel nostro paese, ma anche ai ragazzi che arrivano da altri continenti. Un indottrinamento italocentrico farebbe di questa parte consistente della popolazione una massa di alienati».

Per fare questo occorre intervenire nella formazione degli insegnanti.
«Sarà un’altra funzione essenziale della commissione. Potremo fare proposte in merito alla formazione in ingresso e anche dopo l’assunzione dei docenti».

E occorrerà anche ripensare i contenuti dell’insegnamento storico.
«Forse la definizione dei programmi esula dalle competenze dell’Osservatorio, ma un problema deve essere risolto: il rapporto insostenibile tra la lunghezza della nostra storia — motivo di orgoglio! — e le insufficienti ore di lezione a disposizione. Altra questione riguarda la storia contemporanea: credo sia necessario ridurre l’arco cronologico nell’ultimo anno. Un ottimo correttivo potrebbe essere far partire il Novecento dalla Grande Guerra in modo da arrivare ai nostri giorni».

Quello che lei prospetta è un importante cambiamento culturale.
«Sì, una rifondazione basata sul dialogo, ma con dei limiti. Ci sono diritti e valori su cui non si può discutere. L’antifascismo è uno di questi».

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Andrea Giardina: “Imparare la Storia è un diritto” ultima modifica: 2020-01-30T20:26:05+01:00 da
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