di Filippo Tosatto, il Mattino di Padova, 18.7.2019
– L’audizione alla Commissione parlamentare sul federalismo: i magistrati chiedono un’analisi preventiva del rapporto costi-benefici e il fondo perequativo per il Sud.
VENEZIA. Piovono pietre sul sentiero dell’autonomia. Comparsi in audizione alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, i rappresentanti della Corte dei Conti hanno gelato le aspettative di quanti, in primis i governatori Zaia e Fontana, confidavano in un percorso celere e indolore.
In prospettiva, Secondo i magistrati, l’attuazione del regionalismo differenziato «non sembra consentire una diversa modalità di finanziamento delle materie aggiuntive né la loro sottrazione al meccanismo di perequazione interregionale previsto dalla legge»: decriptata dal lessico giuridico, l’allusione corre all’istituzione del fatidico fondo perequativo a beneficio del Mezzogiorno, sollecitato dalla politica meridionali e fin qui escluso dai nordisti.
La riforma e le risorse
Non è tutto. Secondo gli esperti della Sezione autonomie della Corte, i prevedibili effetti della riforma sull’impianto e le risorse dello Stato non consentono scorciatoie: «Al di là della formula di stile dell’invarianza della spesa, è di tutta evidenza che si tratta di una ristrutturazione organizzativa ad ampio raggio che, per avere il successo sperato, comporterà una re-ingegnerizzazione amministrativa di non poco momento».
Circostanza che «richiede un notevole impegno anche sul versante della spesa, pur se non di immediata percezione sotto il profilo finanziari, e dovrebbe essere oggetto di una preventiva analisi costi-benefici».
Fico-Casellati concordi
Un’espressione, verrebbe da dire, che suonerà musica per le orecchie (a 5 Stelle) del ministro Toninelli. «In ogni caso», a parere della giustizia contabile «è necessario sia previsto un adeguato sistema di monitoraggio/rendicontazione che garantisca in modo oggettivo la trasparenza delle attività svolte e dei risultati conseguiti».
Certo, la Corte apre uno spiraglio alla triade virtuosa Veneto-Lombardia-Emilia allorché osserva che «l’attribuzione di ulteriori funzioni e competenze dovrebbe essere riconosciuta alle Regioni che si dimostrino in grado di esercitarle con un grado di efficienza operativa superiore rispetto alla gestione accentrata. Questa prospettiva, muovendo dall’interesse dei cittadini a veder meglio soddisfatte le proprie esigenze e trovando presidio a livello costituzionale, appare condivisibile nelle linee generali»; salvo rimarcarcare che «dall’esame dei testi disponibili emerge che le questioni si presentano più complesse rispetto ad una mera elencazione di materie».
Tant’è. Se Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, i presidenti di Canera e Senato, convergono nell’assegnare al Parlamento l’ultima parola sull’intesa Stato-Regioni (se e quando sarà licenziata dal Consiglio dei ministri. . .) , a riguardo la tensione nella maggioranza gialloverde va assumendo livelli di guardia.
Bordate contro Lezzi
«L’autonomia è nel contratto e se viene meno non c’è più governo. Non è un traguardo della Lega, è la volontà referendaria di milioni di cittadini», l’avvertimento che a Montecitorio il capogruppo Riccardo Molinari rivolge a Barbara Lezzi, il ministro del Sud.
Rea di definire «impraticabili» le proposte dell’alleato e di avanzare dubbi circa i reali disegni di Matteo Salvini, la grillina è presa di mira anche da Luca Zaia: «Non so se un perito aziendale ne sappia più dei costituzionalisti che hanno scritto il mio provvedimento», graffia il governatore che, a dispetto degli ostacoli, appare fiducioso nell’operato del premier Conte: «Sono partito da un referendum che sembrava un’utopia, prendo atto che oggi l’autonomia figura nell’agenda di questo Paese e che il presidente del Consiglio, per fortuna, ha avocato a sè la pratica. Le difficoltà? È il travaglio prevedibile di un Paese che sta uscendo da medioevo e va verso la modernità».
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