di Luisa Ribolzi, Il Sole 24 Ore, 5.10.2018
– Finalmente! La aspettavamo con ansia, ed è arrivata oggi: la circolare che riforma l’esame di maturità, o che tutti continuano a chiamare così anche se dal 1998 si chiama «Esame di stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado». Ho perso il conto, ma mi pare che quella attuale sia l’undicesima tra riforme e riformine, che hanno cambiato, oltre al nome, il punteggio (decimi, centesimi, sessantesimi), il tipo e il numero delle prove, le materie e i programmi, le condizioni per l’ammissione, la ripartizione dei punti e dei crediti, i bonus, la composizione della commissione.
Già oggi le edizioni on line dei quotidiani si sono impegnate a fornire indicazioni sui cambiamenti, e su come affrontarli: io vorrei invece, sommessamente, suggerire alcune considerazioni forse esageratamente negative.
La prima: non è che si modifica la maturità perché fa molto rumore e richiede molto meno impegno che risolvere, che so, il problema del reclutamento degli insegnanti o formulare un chiaro progetto educativo anziché partire dalla coda?
La seconda: non è che si modificano le regole nella consapevolezza che si tratta, in fondo, di un inutile e costoso momento conclusivo che non seleziona quasi nessuno (i promossi si aggirano oltre il 99%, se mai una quota un po’ maggiore non viene ammessa), e richiede di reclutare oves et boves perché molti docenti si dichiarano indisponibili?
La terza: non è che la continua riforma dell’esame è un modo per eludere il problema di come valutare seriamente la qualità del servizio educativo e gli apprendimenti dei ragazzi dopo tredici (tredici!) anni di scuola? Per gli apprendimenti cognitivi, i test Invalsi funzionano, e quindi sono stati eliminati, così come l’alternanza, timido tentativo di spezzare l’autoreferenzialità del sistema.
Non voglio essere inutilmente polemica, ma mi pare chiaro che il mio parere è che oggi la maturità è del tutto inutile, e forse dannosa, perché su di essa finisce per concentrarsi l’impegno dei ragazzi dell’ultimo anno, trascurando tutto il resto. La scuola può e deve dare una valutazione complessiva del rendimento e forse anche dell’impegno dei ragazzi durante il triennio, con gli strumenti che ritiene più opportuni, ma gli esami veri e propri andrebbero spostati all’inizio dei nuovi cicli di studio, su materie coerenti con l’asse disciplinare del corso scelto, come accade in altri paesi, eliminando così i test in entrata. Per chi non continua, sarà il mondo del lavoro a valutare le competenze attuali e potenziali dei ragazzi, e già adesso la fa, perché l’informazione fornita dal voto di maturità è del tutto inadeguata.
Dice: ma la prova epocale, il rito di passaggio, la notte prima degli esami e l’appartamento spagnolo? Pagine e pagine in cui insigni studiosi commentano le traduzioni e i problemi, evidenziando l’immancabile cantonata? Ma per carità! I registi e i giornalisti se ne faranno una ragione, e gli educatori continueranno nel loro poco gratificante lavoro di condurre in porto la sconquassata
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Così non si valuta la qualità del servizio educativo ultima modifica: 2018-10-05T06:12:02+02:00 da