– La regionalizzazione del sistema scolastico? “Un grave attentato al sistema di istruzione nazionale”.
Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, bolla il disegno di legge di attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione che prevede tutto il settore scolastico tra le materie da devolvere alla Regione Veneto.La proposta, contestata da più parti, comporterebbe secondo Di Meglio “una brutale demolizione del sistema nazionale di istruzione. Basta leggere l’articolo 6 del disegno di legge nei punti in cui stabilisce la regionalizzazione dei fondi statali per il sostegno del diritto allo studio e la regionalizzazione del personale della scuola, compreso quello dell’Ufficio scolastico regionale e delle sue articolazioni a livello provinciale”.
Rino Di Meglio, si parla oggi di autonomia scolastica regionale, ma lei intanto contesta l’autonomia scolastica in quanto tale, attuata ormai da molti anni nella scuola italiana. Dice addirittura che è stato un fallimento di cui dover prendere atto.
“Io sono un pragmatico. I fatti dimostrano che con l’autonomia scolastica non c’è stato un miglioramento della qualità dell’istruzione. Anzi, assistiamo a un preoccupante peggioramento. Gli insegnanti stanno peggio perché sono oberati da mansioni e compiti che non attengono alla didattica. La scuola autonoma è diventata complicata, con un’infinità di progetti e con capi di istituto che affidano agli insegnanti progetti, carte e compiti amministrativi. E invece di concentrarsi sulla didattica devono magari redigere l’orario degli insegnanti”.
L’orario non è sempre stato redatto dagli stessi docenti incaricati?
“Quando le scuole erano più piccole lo faceva il preside. Ma i problemi sono altri. È diventata difficile la gestione del collegio docenti, nelle scuole autonome, diventate grandi, con duecento persone che in due tre ore dovrebbero concentrarsi su argomenti importanti della programmazione didattica, che è quella che conta in una scuola e che è diventata impossibile. Il collegio si è trasformato in una conferenza di servizio. Se ho cinquanta persone è un conto, se ne ho duecento e si prevedono interventi di cinque minuti è chiaro che la maggioranza sta zitta, altrimenti devi protrarlo per una settimana. Prima le scuole erano più piccole. Le uniche grandi erano gli istituti tecnici. Poi ci sono state le verticalizzazioni, i comprensivi, gli accorpamenti tra istituti tecnici e professionali”.
Lei contesta anche il ruolo attuale dei dirigenti scolastici.
“Le pare possibile che uno che ha fatto il maestro possa dirigere un istituto tecnico e che un ingegnere possa dirigere una scuola primaria? Le sembra logico? In un paese normale uno fa le cose dove ha più esperienza. In nessun paese al mondo succede questo, solo in Italia”.
Perché succede questo?
“Perché si è voluto dare il ruolo unico al dirigente e chiunque può andare in qualsiasi scuola. Ma occorrerebbe chiederlo al legislatore e ai sindacati che si occupano di dirigenza scolastica. Io mi occupo di docenti”.
Il malumore dei docenti passa per l’esiguità degli stipendi, la lamentela è che si chieda sempre di più con compiti sempre nuovi e si dia in cambio sempre meno. Di nuovo il ritornello delle nozze con i fichi secchi?
“Proprio così. Io penso che il primo obiettivo debba essere quello di rivalutare gli stipendi. Il comparto istruzione ora accorpa anche Afam, amministrativi, università, ricercatori. Ma questo accorpamento è stato fatto per finta”.
Per finta?
“In realtà i contratti continuano a essere quattro. Si sono inventati i settori. Basta andare a vedere le tabelle stipendiali: gridano vendetta. Il bidello della scuola prende il 20 percento in meno del suo collega dell’Università. Quanto ai docenti, gli stipendi sono molto più bassi. Da tutto questo emerge che la scuola è rimasta come fanalino di coda del pubblico impiego, a ogni contratto c’è un peggioramento, la forbice tra le retribuzioni si allarga sempre di più perché se la percentuale unica di aumento si applica in maniera uguale su stipendi di entità diverse, gli stipendi della scuola, che sono bassi, aumentano molto meno rispetto a quelli degli altri settori. Nell’ultimo contratto è stato previsto un aumento del 3,48 ma per i docenti l’aumento è stato di 85 euro, per i dirigenti è stato il doppio. La prima operazione da fare dunque è riallineare gli stipendi dei docenti e poi parlare di stipendi europei. Sistematicamente tutti i partiti parlano di stipendi europei per i docenti, mentre noi non abbiamo neppure quelli italiani”.
E quali sono le prospettive? Gli insegnanti rivendicano sempre più il riconoscimento di una maggiore dignità alla loro professione. Imputano proprio alla scarsa considerazione economica anche la violenza rivolta nei loro confronti da studenti e famiglie.
“Siamo in alto mare. Per aprire un contratto occorre un atto di indirizzo, che non c’è. Le risorse in Finanziaria sono scarse, sono stati stanziati per ora solo dei soldi per la vacanza contrattuale altrimenti gli stipendi sarebbero andati indietro, per motivi legati al contratto precedente. Ma si può fare molto, purché dal Miur ci sia una indicazione di tipo morale. I dirigenti devono schierarsi con i docenti, non contro i docenti. Si è sparsa negli ultimi tempi una mentalità per cui gli studenti e le loro famiglie sono diventati dei clienti che hanno sempre ragione. Per cui alle aggressioni seguivano anche le critiche da parte dei dirigenti per compiacere le famiglie. Questo è stato l’humus per gli episodi di violenza. Occorre cambiare rotta e dare un diverso impulso morale. Ed è chiaro che se abbassi i loro stipendi, abbassi la loro considerazione sociale”.
L’attualità riporta in prima pagina gli episodi di impazzimento di maestre che maltrattano i propri piccoli alunni. Come giudica l’idea governativa di installare le telecamere in classe?
“Sono contrario. Premesso che chi sbaglia deve pagare e che chi si maltratta gli alunni vada punito e magari curato, le telecamere incidono negativamente sul rapporto educativo. Esprimeremo un parere contrario, si tratta peraltro di una spesa notevole. Si pensi che abbiamo in Italia trentamila plessi, per centinaia di migliaia di aule. In ogni caso sarebbero un condizionamento pesante. Peraltro, ci sono stati dei mostri creati dalle telecamere, poi si è visto che le telecamere distorcevano la realtà”.
Sì, però alcune situazioni sono oggettive.
“Ci sono situazioni oggettive, certo, ma impressiona il fatto che spesso siano insegnanti anziani. Questo vuol dir che qui a essere carente è la scuola, che è carente nell’accertamento delle condizioni di salute degli insegnanti. Ci sono norme che impongono la verifica delle condizioni di salute e il livello di stress da lavoro correlato, messo in luce più volte dal professor Vittorio Lodolo D’Oria. È aumentato il livello di angoscia. Gli insegnanti non hanno più un minimo di tempo libero, complice anche la tecnologia”.
I docenti sono ormai gravemente intrappolati nella gabbia delle chat, delle email, dei messaggi vocali che arrivano fino a tarda notte dalla scuola o da altri insegnanti responsabili di progetti, di commissioni, di pratiche burocratiche di vario genere. Il nuovo contratto però prevede il diritto alla disconnessione. È sufficiente questo per la salvaguardia della salute dei prof?
“Il diritto alla disconnessione è una buona cosa. Speriamo che funzioni. Noi viviamo nel bel mezzo della rivoluzione digitale. Siamo in un momento di passaggio. C’è bisogno di nuove regole e di una nuova educazione per la gestione di questi mezzi”.
Un altro motivo di conflitto tra docenti è rappresentato dalla questione delle competenze che prevalgono sempre più sulle conoscenze. Molti docenti non non sono d’accordo con questo presunto primato pedagogico, lei come la vede?
“Penso che sia un errore drammatico non ci possono essere competenze senza conoscenze. Altrimenti si diffonde l’ignoranza, il pericolo è dappertutto. Non si possono perdere i fondamentali della nostra cultura. Dagli Usa i risultati non sono buoni e stanno tornando sui propri passi”.
Si parla sempre più, nei piani triennali dell’offerta formativa, specie nelle medie di primo grado, di essenzializzazione del sapere e di settimana corta. Perché si vuol rendere tutto più facilitato?
“Tutto è partito dalla scuola di massa, è un problema che riguarda l’Occidente, se parla con insegnanti di altri Stati e anche d’oltreoceano, molti denunciano questo fenomeno”.
Ma dietro a questo fenomeno c’è dietro un progetto preciso?
“Il progetto dovrebbe avere dietro una intelligenza. È una deriva e spero che cambi il vento. Quanto alla settimana corta, guardando la cosa dal punto di vista di un vecchio maestro elementare quale sono stato, il bambino ha bisogno di tempo disteso per imparare. La settimana corta è comoda per tanti aspetti ma comporta che si debba fare molto di più durante la settimana e concentrare l’insegnamento”
Alternanza scuola lavoro. Qual è il suo bilancio e quale il suo giudizio sulla riduzione delle ore decisa da questo governo?
“È un bene che sia stato ridotto il monte ore. Erano eccessive. Il governo attuale ha fatto bene a diminuirle”.
Dove le cose funzionano, però, i riscontri da parte degli studenti sono molto spesso positivi. E mentre al Sud mancano le imprese, per i liceali, che andranno a lavorare solo dopo la laurea, l’approccio anticipato con il mondo del lavoro potrebbe essere una buona occasione di crescita.
“Io sono per un minimo e un massimo, poi le scuole hanno libertà di scegliere, ma se non ci sono imprese come si fa a fare alternanza scuola e lavoro? Quanto ai licei, perché no? Tuttavia è stata un’esagerazione. Io sono per la libertà, ma arrivare a imporre quattrocento ore è esagerato”.
Torniamo alle urgenze. Il primo settembre prossimo, come sempre, riprenderà il balletto dei supplenti e delle cattedre scoperte. O è la volta buona per risolvere il problema visto che si parla di concorsi?
“Bisogna bandire i concorsi ordinari con scadenze finalmente rispettate ma nel contempo stabilizzare subito i precari attuali con concorsi riservati e provvedimenti per chi insegna da oltre tre anni. Inoltre, quanto ai concorsi ordinari, non è sufficiente la riserva del 10 per cento in favore degli iscritti nelle graduatorie d’istituto con più di 36 mesi di servizio, condivido il loro comprensibile malumore. Ma insisto, occorre partire in parallelo con concorsi riservati a loro altrimenti non ne usciremo mai”.
Ci sono migliaia di cattedre scoperte e tanta gente andrà come al solito in pensione. La quota 100 aggraverà il problema?
“La quota cento potrebbe aggravare il problema perché si teme un grande esodo di insegnanti”.
Veniamo da un piano straordinario di centomila assunzioni attuato dal Governo Renzi. Cosa non ha funzionato?
“È stato il più grosso flop nella scuola. Renzi è riuscito a far arrabbiare tutti. Hanno messo insegnanti sbagliati al posto sbagliato. Non hanno dato alle scuole insegnanti che servivano, ma quelli che avanzavano, servivano insegnanti di matematica e invece sono arrivati insegnanti di altre discipline”.
Si è saputo di insegnanti di storia dell’arte immessi in ruolo in istituti dove non c’è questa disciplina invece di insegnanti di Italiano. Che però mancano sebbene, anni orsono, la scelta di indirizzi umanistici finalizzati all’insegnamento della lingua italiana sia stata disincentivata, sembrava ce ne fossero addirittura troppi, e invece oggi non ne abbiamo.
“È successo perché in questo Paese non si fa programmazione. La colpa è dell’Università”.
Si spieghi meglio.
“Le università svolgono la più importante funzione di programmazione in questo settore. Faccio un esempio. A Trieste, che è la mia città, non si trovano più insegnanti di scuola primaria, ma qualche anno fa ha chiuso la facoltà di Scienze della formazione primaria”.
Intanto si mira a premiare gli insegnanti migliori. Che idea si è fatta del bonus merito?
“Che non è un sistema che consente di premiare un bravo insegnante. È un incremento del fondo di istituto con soldi messi a disposizione del dirigente per premiare chi fa progetti. Noi abbiamo proposto che le somme stanziate con la legge 107 per il bonus merito vengano utilizzate per dare un minimo di incremento di stipendio agli insegnanti. Se ci sono soldi, che non vengano sprecati. Se ci fosse un sistema che consente di valutare davvero il merito potrebbe anche andare bene. Ma non c’è”.
In attesa di interventi governativi su problemi più urgenti, il governo pensa intanto a “regionalizzare” l’istruzione.
“L’istruzione è un bene comune che, in quanto tale, appartiene a tutti i cittadini. È sbagliato, dunque, considerarla e trattarla come se fosse territorio esclusivo di una parte politica. Occorre, invece, muoversi con cautela e aprire un ampio dialogo in cui siano coinvolti tutti i partiti presenti in Parlamento. Raccomandiamo, dunque, di evitare pericolose fughe in avanti che rischiano di creare soltanto danni. In un’epoca politica in cui lo studio della Storia perde sempre più peso, è importante ricordare che la cultura italiana è nata ben prima della formazione dello Stato nazionale e che, quindi, rappresenta un patrimonio da tutelare nella sua unitarietà”.
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Di Meglio (Gilda): telecamere in classe? Affrontare questione stress. Diritto disconnessione e aumento stipendi ultima modifica: 2019-01-16T05:18:12+01:00 da