Docenti al tempo del coronavirus, tra senso del dovere e panopticon elettronico

di Alvaro Belardinelli, La Tecnica della scuola, 21.3.2020

– In tutto lo Stivale da settimane i docenti s’attivano con ogni mezzo per star vicini agli alunni. Il Ministero chiama tutto ciò “DaD” (“Didattica a Distanza”), normandolo e ingessandolo. Ben pochi docenti son formati all’uopo. Gli altri han sopperito col proprio senso di responsabilità, dapprima assegnando compiti, poi con mezzi più sofisticati.

Invocando l’etica, media e MIUR si sono affrettati a forzare i docenti al lavoro da casa; ignorando che simili esortazioni son superflue: una professione così impegnativa, coinvolgente e sottopagata non si esercita se non per impegno morale. Altro che “ripiego”!

È etico obbligare a una scelta mediante l’etica?

Non si può indurre nessuno a lavorare in condizioni più difficili col ricatto dell’etica (cioè scaricandogli addosso la responsabilità dell’inadeguatezza generale). Siamo già così americanizzati da condividere con la terra di Donald Trump la mentalità calvinista (oltre agli anglismi come smart working)? Non basta l’italica morale cattolica a far leva sul senso di colpa? Non è sufficiente la cultura dello stacanovismo stalinista (che con certo cattolicesimo celebra ormai nozze di platino)? Già i docenti si sentivano “missionari”(senza ricordarsi, spesso, della propria identità di professionisti): l’etica anglosassone conclude l’opera.

E così, testa bassa e lavorare! Senza posa. Persino l’orario di servizio è un ricordo. Si lavora incessantemente da mane a sera, industriandosi come meglio si crede e si può. Chi fa videolezioni, chi realizza audioguide e molto altro; pur sapendo che tutto ciò non è docenza. Insegnare è tirar fuori dai ragazzi le loro potenzialità, trattandoli — scrive Plutarco — come fuochi da accendere, non come vasi da riempire. I computer non possono farlo. Da decenni si vietano ai docenti le lezioni “frontali” (ma sarebbe meglio dire “cattedratiche”): ora si vorrebbe tutti, bimbi e ragazzi, fissi su uno schermo — smarrita ogni autonomia — a seguire istruzioni.

I docenti non sono medici

La grancassa mediatico-governativa ha obbligato de facto i docenti a questa prassi,(che essi, in libertà, avrebbero praticato al meglio). De iure non li si può obbligare: la Legge li tutela. Li si è condizionati e coartati tramite il vituperio generale, coi richiami alla coscienza, mettendo sullo stesso piano medici e docenti! Eppure i medici non sono paragonabili ai docenti: né per mansioni, né per stipendio, né per principi deontologici (i docenti non pronunciano il “giuramento di Ippocrate”!), né per obbligo contrattuale di reperibilità e di servizio straordinario (ben pagato anch’esso, e non richiesto ai docenti nemmeno in casi d’emergenza, perché di scuola chiusa nessuno muore!).

Costringerli (finalmente!) all’obbedienza?

Che sia questa la resa dei conti definitiva tra questo strano Paese e i suoi docenti? l’occasione per incatenarli definitivamente, senza che possano rivendicare il proprio diritto a riservatezza, riposo, serenità interiore in un momento difficile per tutti?

Molti insegnanti ostentano più realismo del re: organizzano Collegi e Consigli di Classe privi di validità giuridica (perché organi collegiali, valutazioni e verifiche a distanza nella legge italiana non esistono!), semplicemente perché zelanti Dirigenti fanno loro credere che siano obbligatori (rischiando persino problemi legali!).

È strano che il Sindacato faccia il Sindacato?

È dunque strano che un Sindacato difenda le norme legislative e contrattuali? Lo fa forse per polemica fine a se stessa? o per tutelare — in uno Stato di diritto! — ciò che resta della Scuola come istituzione democratica e organo costituzionale (per dirla con un certo Piero Calamandrei)? È perciò del tutto scorretto dire che chi protesta non vuole lavorare.

Perché la Scuola non diventi (per sempre) telelavoro e panopticon elettronico

Chi protesta, lo fa per impedire scenari rovinosi. L’emergenza finirà, ma bisogna evitare che prima il virus distrugga anche la Scuola. Evitare che qualcuno domani punti sul telelavoro per limitare l’occupazione dei docenti affidando a ogni insegnante 120 alunni da seguire in remoto. Impedire che la Scuola regali titoli di studio senza valore, conseguiti con lo smartphone. Scongiurare il rischio che gli 85 milioni stanziati (incredibile auditu) per la Scuola, servano a tramutarla in qualcosa che Scuola non è più.

Chi addita i Sindacati come causa di tutti i mali, ricordi che — specie nei sindacati di base, senza distacchi né prebende — i “feroci” sindacalisti sono i docenti stessi, che in solitudine, senza aiuti, si sobbarcano lavoro e lotta sindacale. Essi, pur praticando comunque la “DaD”, fanno notare le contraddizioni cui si va incontro, subendo per di più l’accusa di fancazzismo (mentre tentano solo di riportare il tutto entro i limiti della legittimità).

È forse giusto inchiodare docenti (e studenti) tutto il dì allo schermo, pressati da email, chat, videoconferenze, mentre docenti (e studenti!) dovrebbero aver tempo per leggere, studiare, riflettere? La distinzione tra vita e lavoro dei docenti (anch’essi prigionieri in casa in questo momento) è definitivamente compromessa. La giornata di lavoro non ha inizio né fine. Famiglia, casa e affetti non hanno più, per i docenti, un tempo proprio.

Siamo certi che, uccidendo così la sanità mentale dei docenti, i nostri ragazzi usciranno dalla Scuola più preparati e pronti per la vita?

 

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Docenti al tempo del coronavirus, tra senso del dovere e panopticon elettronico ultima modifica: 2020-03-22T05:19:55+01:00 da
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