Francesca Puglisi e il “valente professore di Yale”

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Giuseppe De Nicolao  Roars, 26.6.2015

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1. Non hai le fonti? Inventa un “giudizio unanime”

Italia Oggi ritorna sui “professori che minacciano di andare sulla barricate” per opporsi al progetto della Buona Università. Un articolo che riprende notizie già pubblicate da Italia Oggi e dall’edizione bolognese di Repubblica, non senza incorrere in inesattezze e affermazioni prive di riscontro. Per fare un esempio, l’aver fatto dipendere un quinto della quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario dalla velocità con cui gli studenti progrediscono negli studi, non dipende da meccanismi valutativi introdotti da Mariastella Gelmini, ma è una decisione ministeriale recente. L’autore ricorre anche ad espedienti a buon mercato come quello di surrogare le fonti documentali con un presunto “giudizio unanime”:

il giudizio unanime è che al sistema universitario italiano bisogna pur mettere mano perché così com’è i costi (per i contribuenti) superano i benefici (per il Paese).

Basterebbe consultare qualche rapporto Almalaurea per rendersi conto che in Italia la spesa per ottenere un laureato è la metà che in Germania, mentre la spesa in Spagna e Francia è pari al 171% di quella italiana.

Almalaurea2015CostoLaureati

I ritorni pubblici e privati di un laureato sono quantificati anche dall’OCSE e, di nuovo, non c’è traccia di costi che superino i benefici per il paese.

Apparentemente, quel giudizio sul bilancio costi-benefici non è così unanime come ci vorrebbe far credere Italia Oggi. A meno che non si prendano come fonti quel profluvio di articoli con cui da anni la stampa italiana, a dispetto di ogni statistica, cerca di convincere l’opinione pubblica che “meno studi più trovi lavoro”.

CollageMenoStudi

Un circolo autoreferenziale in cui si ripete ossessivamente un pregiudizio, convalidandolo con le affermazioni di chi lo ha ripetuto prima di noi, fino a quando si raggiunge un “giudizio unanime”.

Se però si guardano i dati, si vede che, in una congiuntura difficile per tutti, aumenta la forbice tra le prospettive occupazionali tra chi è laureato e chi non lo è.

Almalaurea2015TassoDisoccupazione

Anche il sottotitolo è, a suo modo, degno di nota:

Tutti dicono: l’università va male. Ma guai a riformarla

Sottotitolo contraddetto dallo stesso articolo, che riferisce le proposte di riforma – del tutto sensate – del coordinatore dell’Unione degli Studenti, Gianluca Scuccimarra:

È ormai indispensabile affrontare le vere priorità dell’università, a partire dalle condizioni degli studenti: finanziamento reale del diritto allo studio da portare a livelli europei, riforma della tasse universitarie per ridurle e introdurre criteri uniformi di progressività ed equità a livello nazionale, eliminazione dei numeri programmati per favorire l’iscrizione.

2. Francesca Puglisi e il suo “valente professore di Yale”

L’articolo non manca di riportare la posizione di Francesca Puglisi, responsabile scuola del PD. Ritroviamo quanto già scritto da Repubblica, ovvero la recriminazione per la bozza della Buona Università “trafugata da alcuni gruppi sui social network”. A essere precisi, la Senatrice Puglisi aveva imputato la responsabilità del trafugamento alla Redazione di Roars:

Gianclaudio Bressa è il mio compagno. Il suo nome appare semplicemente perché mi hanno rubato l’Ipad e lui mi ha regalato il suo pc portatile personale (comprato regolarmente con soldi suoi…eh) con cui ho scritto insieme ad altri la bozza di documento che voi avete trafugato.

Un accusa senza fondamento dal momento che era fin troppo facile mostrare che la bozza era già disponibile su Twitter prima di esssere pubblicata anche su Roars.

In attesa di ricevere le dovute scuse, non possamo fare a meno di notare la domanda retorica della Senatrici Puglisi che suggella l’articolo:

Com’è strutturata oggi l’università, un valente professore di Yale non potrebbe venire a insegnare qui. Non dice niente questo?

Ma perchè un “valente professore di Yale” non potrebbe venire a insegnare da noi se solo ne avesse voglia?

Voglia?

Ma ne avrebbe voglia?

3. Ma quanto guadagna un valente professore di Yale?

Per rispondere a questa domanda consultiamo un rapporto della American Association of University Professors nelle cui appendici è riportato il salario medio nei diversi atenei statunitensi. A questo studio fa riferimento un articolo di INSIDE HIGHER ED, di cui riportiamo la seguente tabella relativa ai Full Professors (beh, se è “valente”, il professore sarà almeno al livello di Professore Ordinario).

Yale_Salary

Al cambio attuale, sono più di 164.000 Euro annui.

Ma cosa guadagna mediamente in Italia un Professore Ordinario ? per scoprirlo, basta consultare la Banca Dati Economica del MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca), liberamente consultabile al seguente indirizzo:

https://dalia.cineca.it/php4/inizio_access_cnvsu.php

StipendioPO

Si tratta pertanto di 88.280 Euro annui, circa la metà di quanto prende il “valente professore di Yale”, che forse non è particolarmente incentivato a dimezzare il suo reddito. A maggior ragione se consideriamo che da neoassunto guadagnerebbe sensibilmente meno della media degli ordinari italiani, che anche a causa delle limitazioni poste al turn-over sono alquanto attempati (età media pari a 59 anni).

La Senatrice Puglisi si domandava:

Non dice niente questo?

Che intendesse dire che sarebbe urgente quanto meno sbloccare gli scatti stipendiali della docenza universitaria (fermi al 21.12.2010)? È lecito dubitare che basterebbe per attirare il “valente professore di Yale”, il quale nel frattempo potrebbe aver scoperto che da un paio di anni il finanziamento della ricerca di base in Italia (il cosiddetto PRIN) è stato azzerato e che il numero di corsi di laurea e di dottorato si sta contraendo, per non dire dei tagli all’FFO, rivelatori di una chiara strategia di disinvestimento rispetto al settore dell’istruzione terziaria.

Ma a ripensarci, non siamo nemmeno sicuri che la Senatrice Puglisi volesse segnalare come prioritario il problema di stipendi non competitivi per attirare le superstar accademiche internazionali. In effetti, basta una piccola indagine per scoprire che non è la prima volta che porta ad esempio il “valente professore di Yale” e che il motivo di questo chiodo fisso è un altro.

3. Troppo macchinoso chiamare il valente Professore di Yale?

In effetti, nella famosa bozza della Buona Università, “trafugata da alcuni gruppi sui social network”, il nostro professore di Yale era già menzionato:

Ma il Professore di Yale, potrebbe mai concorrere ad una cattedra in un Ateneo Italiano? Solo in caso di chiamata diretta e forse nemmeno così, visto che non basta la decisione dell’Ateneo ma ci deve essere un’approvazione lunga dal Ministero che coinvolge troppi soggetti.

E non era neppure la prima volta, dato che – per quanto ci è noto – la Senatrice Puglisi lo aveva evocato per la prima volta in un articolo apparso su Europa Quotidiano

Ma il Professore di Yale, potrebbe mai concorrere ad una cattedra in un Ateneo Italiano? Solo in caso di chiamata diretta. Abbiamo costruito negli anni un sistema gerontocratico e ingessato, che difficilmente dà libertà di movimento e di circolazione delle idee È come se sull’Agorà della conoscenza avessimo costruito un tetto di cemento armato in un meccanismo perverso di blocco del turn over e punti organico. Potremmo pensare di liberare gli Atenei da questi vincoli consentendo il reclutamento con la sola dirett responsabilità del pareggio di bilancio.

Più che un professore, il nostro “valente professore di Yale” comincia ad assomigliare ad un Jolly. C’è bisogno di invocare l’allentamento dei vincoli imposti dai limiti di turn-over e punti organico? Allora la Senatrice sfodera l’esempio del Professore di Yale.

Nella Buona Università,  la sfortunata vicenda del Professore di Yale viene giocata in chiave antiburocratica, con due affermazioni:

  1. non potrebbe ottenere una cattedra se non attraverso una chiamata diretta
  2. anche in tal caso, la procedura richiederebbe “un’approvazione lunga dal Ministero che coinvolge troppi soggetti”.

Ma quanto c’è di vero in tutto ciò?

3.1 Solo chiamata diretta per il valente professore di Yale?

Chi conosce la l. 240/2010 sa bene che le procedure di reclutamento di prima fascia sono regolate dall’articolo 18.

Ai procedimenti per la chiamata di professori di prima e di seconda fascia possono partecipare altresì i professori, rispettivamente, di prima e di seconda fascia già in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché gli studiosi stabilmente impegnati all’estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza, aggiornate ogni tre anni, definite dal Ministro, sentito il CUN.

Le tabelle  sono consultabili qui e riportano chiaramente che per gli Stati Uniti la posizione di Full Professor è ritenuta pari a quella del nostro professore ordinario. Pertanto, il nostro “valente professore” può tranquillamente presentarsi ad ogni concorso per posizioni di prima fascia bandito da qualsivoglia ateneo italiano. Non occorre alcuna approvazione ministeriale.

Piuttosto, se fosse cittadino statunitense, il vero problema sarebbe quello dei visti per lui e per la sua famiglia, dato che, a tutti gli effetti è un extracomunitario. Un genere di problema ben identificato dal CUN nella terza parte del suo documento “Semplifica Università”, intitolato non a caso:

Un fast track per un «visto di ricerca»

Se si fosse trattato di denunciare questo tipo di difficoltà burocratiche, il valente professore di Yale, a cui ormai fischiano le orecchie, non sarebbe stato invocato invano.

Francesca Puglisi e il “valente professore di Yale” ultima modifica: 2015-06-26T13:47:31+02:00 da

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