Funzione docente e personalità

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di Raimondo Giunta, Fuoriregistro  22.2.2016

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 –  Il destino dell’insegnante va di pari passo con quello del sistema scolastico e l’esercizio del suo mestiere deve fare i conti con i cambiamenti della società, con le modifiche istituzionali, con i compiti sempre diversi che vengono assegnati al sistema di istruzione; il suo ruolo si modifica secondo i tempi e non sempre è facile arrivare ad una proposta condivisa della sua definizione. Si procede per accomodamenti e il dibattito pubblico non lievita mai alle altezze che un problema del genere meriterebbe.
Negli ultimi tempi si è voluto intervenire sullo stato giuridico dell’insegnante, ma non mi pare che ci sia curati di vedere se e come questa operazione abbia inciso sui tratti costitutivi della funzione docente nel sistema scolastico italiano.
I compiti della funzione docente si desumono dal ruolo che svolge e deve svolgere il sistema di istruzione nella società e dai fini che esso deve realizzare; la loro formulazione non compete solo alla pedagogia o alle scienze dell’educazione, ma anche e soprattutto alle decisioni del parlamento e del governo. C’è da chiedersi allora se le innovazioni della cosiddetta BUONA SCUOLA(L.107/2015) consentano un sereno e adeguato svolgimento dei compiti della funzione docente statuiti nel DPR 417 /74 (“La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”), e ulteriormente specificati nell’art.1 del D.Lvo n.297/94 (“Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente Testo Unico, ai docenti è garantita la libertà d’insegnamento, intesa come autonomia didattica e come espressione culturale del docente. L’esercizio di tale libertà è diretta a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni”).
Sono disposizioni che, delineando il ruolo pubblico dell’insegnante, indicano come suoi fondamenti l’autonomia intellettuale, la passione civica e la cultura, perché solo così può essere funzionale allo sviluppo umano e professionale delle nuove generazioni .
Le pratiche didattico-metodologiche e le loro innovazioni, che caratterizzano la professionalità dell’insegnante, il suo sapere fare ed agire, sono strumenti e sussidi per i compiti che sostanziano la funzione docente ed espressione della libertà con la quale deve essere svolta .”La definizione del bravo insegnante (…) ha senso in sé, ma in relazione a come è fatta e come funziona la scuola nella quale è chiamato a svolgere un ruolo non generico, mirato”(P.Romei). La professionalità del docente deve essere definita in funzione del suo mandato: quello definito dalla legge fondamentale dello Stato.
L’amministrazione ha fatto tre scelte che incidono sulla professionalità dei docenti che possono condizionare lo svolgimento della funzione docente: la selezione per concorso, la chiamata diretta degli insegnanti da parte del dirigenti scolastici e la valutazione del servizio. Che ci sia attinenza tra questi provvedimenti e l’esercizio in senso professionistico della funzione docente e la sua valorizzazione è tutto da vedere e da dimostrare.
Tutti convengono sul fatto che gli insegnanti preparati e di qualità non debbano essere un’eccezione, ma l’esito previsto, programmato e regolare delle modalità del loro reclutamento. Le riforme piccole e grandi possono mettere piede, consolidarsi e dare frutto, se la scuola dispone di insegnanti competenti; ma non solo per questo. Le riforme possono funzionare se gli insegnanti, che sono stati scelti e nominati, sono messi in condizione di svolgere il proprio lavoro senza imbarazzi, senza intimidazioni, senza umiliazioni.
Se l’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di disporre di docenti colti, autonomi e professionalmente attrezzati, non mi pare che gli strumenti scelti e le condizioni della vita interna di ogni istituto, determinate con le nuove norme di gestione dell’autonomia e con i poteri assegnati al dirigente scolastico, lo possano consentire.
Ma in che cosa consiste questa benedetta professionalità? Che cosa si chiede oggi che debba saper fare un insegnante? Ci si potrebbe riferire a quelle che potrebbero essere le “avvertenze generali” dei programmi del concorso, che dovrà essere bandito dal Ministero, ma al momento sembra opportuno rifarsi alle indicazioni di un autore che su questo argomento ha scritto pagine persuasive e a quanto pare molto utilizzate. Philippe Perrenoud indica dieci domini di competenza ritenuti prioritari nella formazione continua dei docenti e quindi della loro professionalità:
1) organizzare e animare situazioni di apprendimento;
2) gestire la progressione degli apprendimenti;
3) concepire e fare evolvere dispositivi di differenziazione;
4) coinvolgere gli alunni nel loro apprendimento e nel lavoro;
5) lavorare in équipe;
6) partecipare alla gestione della scuola;
7)informare e coinvolgere i genitori;
8) servirsi delle nuove tecnologie;
9) affrontare i doveri e i dilemmi etici della professione;
10 )gestire la propria formazione professionale.
Non solo questo. L’insegnante deve sapere cosa insegna e come, ma anche chi sono i suoi alunni, di che cosa hanno bisogno, come aiutarli se incontrano difficoltà, in che genere di famiglia e di ambiente vivono, in che genere di società crescono. La cura degli alunni, l’attenzione ai loro problemi, l’accompagnamento nei loro processi di crescita non sono azioni possibili “del” e “nel” rapporto educativo, ma atti dovuti perchè senza di essi non si genera formazione, non si sviluppa crescita umana.
LA VALUTAZIONE
Quando si parla di valutazione degli insegnanti, per eludere le asperità del problema, si proclama che non c’è nessuna intenzione vessatoria da parte dell’amministrazione e che anzi l’unica preoccupazione sia quella di valorizzare il merito, mortificato da politiche salariali egualitaristiche, come se gli insegnanti migliori fossero angustiati solo da questo problema e non da preoccupazioni più serie sulla deriva morale e pedagogica che ha preso il sistema scolastico.
Ammesso, ma non concesso, che queste siano le uniche e vere intenzioni, è noto a tanti, se non a tutti, che ogni sistema di valutazione innesca logiche gestionali di controllo , che possono modificare la natura e il senso delle relazioni di qualsiasi comunità professionale, e in modo particolare di quella scolastica. Nè si puo’ dimenticare nel riflettere su questo tema che sul mondo della scuola e sul lavoro degli insegnanti convergono da molto tempo pressioni costanti da parte degli organismi internazionali in favore di un modello unico di istruzione e formazione, più o meno come si sta facendo per gli assetti economico-sociali e che la valutazione del servizio scolastico e degli insegnanti viene evocata e utilizzata principalmente per conseguire questo obiettivo.
Più che premiare per rendere attrattiva(??) la professione, come si proclama, la vera volontà è quella di regolamentare ogni aspetto dell’attività dei docenti per inseguire l’obiettivo di armonizzazione dei sistemi scolastici e dei programmi di insegnamento a livello europeo. Il pilotaggio del sistema scolastico per risultati è l’unico strumento possibile per questo scopo e la valutazione del servizio scolastico e del lavoro degli insegnanti l’unico modo per poterlo condurre.
Ad ogni buon conto valutare l’insegnamento, quali che siano gli scopi che ci si ripromette di raggiungere, è operazione difficile, complessa, particolarmente insidiosa(Castoldi) e che non può essere fatta senza mille precauzioni. Insegnare non è un mestiere tranquillo. Deve confrontarsi con l’altro, alle sue resistenze,alla sua opacità, alle sue ambivalenze. Insegnare è un lavoro pieno di contraddizioni: formare tutti/selezionare; prevenire le difficoltà /sanzionare il disimpegno; suscitare la partecipazione/imporre la propria autorità; trasmettere saperi strumentali/valorizzare la cultura generale e umanistica; sviluppare l’altruismo/coltivare la competizione/adottare le pratiche correnti /difendere la libertà pedagogica. Su quali di queste scelte l’insegnante dovrebbe essere valutato?
I sistemi di valutazione preferiscono obiettivi univoci e osservabili, ma quelli scolastici non corrispondono a queste caratteristiche. E’ convinzione molto diffusa, ma non presa in considerazione, che gli aspetti più esigenti e importanti del servizio scolastico non siano facilmente misurabili e che le misure che si prendono trascurano le emergenze educative in cui si dibattono le singole scuole.
Nessuno vuol discutere il fatto che con l’autonomia le scuole abbiano la responsabilità di rendere conto del proprio operato, che debba essere messo in atto un sistema permanente di riflessione sull’efficacia delle pratiche didattiche in uso, sulle modalità del lavoro collegiale, sui risultati ottenuti, sul modo stesso di regolare l’insieme delle attività, sulle stesse finalità. Bisogna togliere, però, dal campo ogni illusione tecnocratica, perché è impossibile il controllo totale di ogni azione e l’eliminazione di ogni imprevisto e perché non è realistico e scientifico ridurre la realtà complessa dell’attività didattica a ciò che è misurabile. Nell’insegnamento è impraticabile un rigoroso e stretto obbligo di risultato.”Non si può attendere che un insegnante istruisca un numero prescritto di alunni in tempi dati”. (PH. Perrenoud).
Fuori dai denti la verità è che la valutazione di norma non è al servizio dello sviluppo professionale, ma all’intenzione di controllo e di normalizzazione della categoria sulla quale si esercita e che gli eventuali premi, se ci sono, come le eventuali punizioni sono funzionali alla disintegrazione della solidarietà di un gruppo di lavoro, per lanciare gli uni nella lotta ( o competizione..) contro gli altri. E questo vale in modo particolare per gli insegnanti in Italia, dove da almeno un quarantennio per cultura, per tradizione, per scelte professionali, per sensibilità sociale sono stati all’opposizione di qualsiasi tentativo di omologazione politica, messo in atto dall’amministrazione.
Il rapporto che si viene a istituire nella valutazione è un rapporto di potere a vantaggio di chi è autorizzato a compierla. Potenzialmente la valutazione istituzionale può nuocere allo sviluppo professionale, contrariamente a quel che si va predicando. Una logica di controllo può nuocere all’impegno, deviandolo dai suoi più genuini obiettivi; può nuocere al sentimento di autonomia, di competenza, di autodeterminazione, al diritto all’errore e ad altri elementi necessari per il coinvolgimento morale e intellettuale nell’esercizio della propria professione.
E allora niente e nessuna valutazione? No di certo, ma solo se ci sono solide garanzie ed un ampio consenso su come la valutazione si deve esercitare, su che cosa si deve esercitare, su chi la deve esercitare, sui fini per cui si deve esercitare. Si dovrebbe essere consapevoli che fare diventare la valutazione un’opportunità non è per niente facile. L’autonomia, occorre ricordarlo, è condizione necessaria del dispiegamento della professionalità, perché la professionalità non può darsi se l’insegnante non ha e non si prende uno spazio di iniziativa e di decisione o se si dovesse limitare a seguire le prescrizioni altrui o, peggio ancora, se dovesse farsi condizionare dalle intimidazioni più o meno esplicite dei propri superiori.
“Gli studi di pedagogia comparata dimostrano che le nazioni in cui si valuta non per classificare, ma per prevenire le difficoltà sono quelle in cui gli insegnanti lavorano sereni, gli impedimenti sono piuttosto rari, le innovazioni accettate, poiché le esperienze precedenti non sono demonizzate.”(O.Maulini). Appartiene a questo genere di valutazione quella che si vuole mettere in atto in Italia?
Nel sapere di un buon insegnante si fondano, come si è visto, saperi teorici, saperi procedurali, saperi esperenziali, saperi sociali e sul suo lavoro, cioè sulla trasformazione del suo sapere in azione formativa non è facile come si vuol fare credere esprimere un giudizio e tanto meno un giudizio al riparo di risentimenti personali. Sia il giudizio di efficacia, sia il giudizio di conformità alle buone regole professionali (G.Le Boterf) su qualsiasi categoria di professionisti, come anche sul lavoro degli insegnanti, possono essere formulati solo da esperti della materia, e se i giudizi non sono di questo genere con la valutazione si rischia di giudicare la persona, non le prestazioni di un insegnante. A norma dei commi 127 e 129 dell’art.1 della legge 107, invece, genitori e alunni del Comitato di valutazione, senza tante cognizioni docimologiche e in condizione di evidente inferiorità in un organo collegiale tecnico, che dovrebbe godere dell’assoluta parità dei suoi componenti, possono intervenire in un’operazione finalizzata addirittura a premiare gli insegnanti.
LA CHIAMATA DIRETTA
Come non bastasse e forse ritenendo la valutazione insufficiente per arrivare alla normalizzazione della scuola italiana, agli insegnanti assunti a partire da quest’anno e a quelli che lo saranno in seguito è riservata la chiamata diretta da parte del dirigente scolastico e la triennalità dell’incarico, rinnovabile “purché in coerenza con il piano dell’offerta formativa”(??) (comma 80 dell’art.1 della legge 107/205)
Un attacco concentrico e sistematico per stravolgere la funzione docente cosi com’è ancora stabilita e per sterilizzare la professionalità ad essa congruente della sua costitutiva autonomia, per asservirle alle ingiunzioni temporanee di qualsiasi grado dell’amministrazione scolastica.
Viene di fatto cancellato il diritto di scelta da parte del docente e il principio della sua organicità all’istituto di appartenenza, che storicamente ha dato solo buoni frutti. E’ d’obbligo chiedersi a cosa serva un serio curriculum di studi, vincere un concorso, se poi si deve aspettare di essere scelti da altri sulla base di opinabili criteri. La chiamata diretta è funzionale all’accrescimento smisurato del potere del dirigente, non alla professionalizzazione dell’insegnante.
E che dire della triennalità del Ptof, fondamento della triennalità dell’incarico del docente, come se la scuola dovesse cambiare pelle ad ogni stormire di foglie? La scuola, fino al recente passato, è stata giustamente accusata di non sapere tesaurizzare le esperienze fatte e di dilapidare il capitale culturale collettivo di saperi professionali, che col tempo si viene a produrre in ogni singolo istituto, a causa di un’incontrollata mobilità e per l’instabilità del personale; oggi invece si teorizza e si pratica la precarietà di tutto il personale, come un validissimo toccasana alle malattie della scuola. Purtroppo basta avere avuto un semplice sentore di scuola per sapere che si tratta di una pericolosa e inaudita sciocchezza.
La libertà di insegnamento è il tratto indiscutibile di una scuola e di una società democratica; ed essa trova sostegno nella scelta della sede da parte del docente e nella continuità didattica. Cancellando la libera appartenenza ad un istituto si cancella la consistenza giuridica del ruolo dell’insegnante e tutto ciò non si può gabellare come condizione per valorizzarne il merito e la professionalità. Si pretende una scuola buona, anzi migliore rispetto a quella del passato, umiliando gli insegnanti.
Con le nuove disposizioni si accrescerà negli insegnanti seri, liberi e preparati la percezione della propria marginalità sociale e la convinzione di avere avuto un’esorbitante assegnazione di responsabilità, ma senza garanzie e senza sostegno. Le nuove norme hanno fatto a pezzi la dignità e l’autorevolezza dell’insegnante, del cui ripristino avevano bisogno la scuola e la società. Produrranno l’insicurezza che porta alla remissività e alla condiscendenza o all’aggressività nei confronti di ogni controparte e forse in alcuni casi all’abdicazione alle proprie responsabilità.
IL NUOVO INSEGNANTE
L’insegnante, disegnato nel coacervo di norme della cosiddetta BUONA SCUOLA, non è più un operatore della democrazia, impegnato nella trasmissione dei saperi, dei valori e delle tradizioni della società, sensibile allo sviluppo culturale umano degli alunni, attento ai problemi della classe, preoccupato dei risultati di apprendimento di ogni alunno, così come lo vorrebbero le finalità ricavabili dalle norme costituzionali. L’insegnante che verrà con le nuove norme sarà il provvisorio esecutore di attività professionali alla ricerca della propria riconferma. Ma non sarà la competenza a garantirgli il posto, bensì soddisfazione del cliente e del padrone…
Le nuove regole hanno travolto l’identità della scuola italiana e la funzione docente. Per questo in ogni scuola assume rilievo politico-culturale di estrema importa la RSU, perché ad essa, ora, è affidata la custodia e la difesa dello Status e della dignità del docente Compito che richiede la capacità di oltrepassare i limiti angusti della contrattazione dei premi, degli incarichi speciali, dei turni di servizio e delle ore eccedenti.
Funzione docente e personalità ultima modifica: 2016-02-22T06:01:57+01:00 da
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