di Rosalba Sblendorio, Reti di Giustizia, 19.1.2021.
Si torna a discutere sulla questione del mancato riconoscimento del titolo di dottore di ricerca come abilitante all’insegnamento e se tale mancanza sia legittima tanto da escludere i possessori del solo predetto titolo dall’inserimento nelle seconde fasce delle Graduatorie di Istituto. In punto, i Giudici amministrativi hanno ribadito che:
- nessuna disposizione di rango primario o secondario prevede l’equiparazione o l’equipollenza del titolo di dottorato di ricerca all’esito favorevole dei percorsi abilitanti;
- le disposizioni regolanti i percorsi abilitanti e il dottorato di ricerca sono distinte e perseguono finalità diverse.
Con l’ovvia conseguenza che ove sia impugnato un provvedimento che non abbia disposto l’equiparazione di titoli, il Giudice amministrativo può sindacare la determinazione amministrativa solo per i profili di manifesta irragionevolezza e di ingiustizia manifesta.
Questo è quanto ha ribadito il Consiglio di Stato con sentenza n. 356 dell’11 gennaio 2021.
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all’esame dei Giudici amministrativi.
I fatti di causa
I ricorrenti hanno impugnato il D.M. n. 374 del 2017, avente ad oggetto “Aggiornamento della II e della III fascia delle Graduatorie di circolo e di istituto del personale docente ed educativo, per il triennio scolastico 2017/18, 2018/19 e 2019/20”, pubblicato in data 01 giugno 2017, nella parte in cui non ha previsto l’inserimento a pieno titolo nelle seconde fasce delle Graduatorie di Istituto, dei ricorrenti in quanto docenti in possesso del titolo di dottore di ricerca. In buona sostanza, è accaduto che tale decreto non ha riconosciuto il solo titolo di dottore di ricerca come abilitante all’insegnamento e valido ai fini dell’inserimento nelle seconde fasce delle Graduatorie di Istituto. In primo grado, il Tar ha respinto il ricorso e per questo il caso è giunto dinanzi al Consiglio di Stato.
Ripercorriamo l’iter logico-giuridico seguito da quest’ultima autorità giudiziaria.
La decisione del CdS
Innanzitutto i Giudici d’appello richiamano l’orientamento giurisprudenziale in punto, il quale distingue il titolo di abilitazione all’insegnamento dal titolo di dottore di ricerca, risultando il primo rivolto alla formazione per la docenza e il secondo a quella per la ricerca. Questa distinzione non consente l’attribuzione di un valore abilitante al dottorato di ricerca e quindi non consente di equipararlo all’abilitazione all’insegnamento (CdS sentenze n. 2264 del 2018, n. 8288 del 2019, n. 1983 del 2020). Conferma di tale distinzione deriva dalla normativa vigente in materia di abilitazione all’insegnamento che in ordine cronologico si può riassumere nel modo seguente.
L’abilitazione all’insegnamento si consegue al termine di percorsi formativi che sono definiti abilitanti e vanno ad aggiungersi al titolo di studio. Una volta conseguita, essa consente l’accesso alla professione di insegnante, attraverso l’iscrizione al relativo concorso. L’abilitazione è stata prevista dall’art. 4 comma 2 della L. 19 novembre 1990, n. 341; norma, questa, che per l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole secondarie superiori, prevedeva un diploma post universitario, che si conseguiva con la frequenza ad una scuola di specializzazione biennale, denominata appunto Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS), e con il superamento del relativo esame finale. Tale sistema è stato innovato dall’art. 64, comma 4-ter del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 6 agosto 2008), che ha sostituito le SSIS con l’analogo istituto del tirocinio formativo attivo – TFA, anch’esso in aggiunta al diploma di laurea e avente valore abilitante, attivato – sulla base dell’art. 2, comma 416 della L. 24 dicembre 2007, n. 244 – con D.M. 10 settembre 2010, n. 249. Questa normativa è stata riformata, da ultimo, dal D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59, che ha stabilito che occorre un concorso pubblico nazionale per accedere alla formazione iniziale e ai ruoli dei docenti. Superato il concorso, per gli aspiranti docenti è previsto un successivo percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente.
Il sistema, inoltre, ha previsto, accanto ai suddetti percorsi abilitanti “ordinari”, anche i cd. percorsi abilitanti speciali – PAS, che hanno la caratteristica comune di essere non aperti alla generalità degli aspiranti, ma di essere riservati a chi abbia già prestato servizio per un periodo minimo come docente non di ruolo presso le scuole statali o paritarie (O.M. 15 giugno 1999, n. 153 e il D.M. 10 ottobre 2010, n. 249).
Chiarito il quadro normativo relativo all’abilitazione all’insegnamento, il Consiglio di Stato si sofferma sul titolo di dottore di ricerca e sulle finalità dei corsi per il conseguimento di tale titolo. In buona sostanza, secondo l’art. 4 della L. n. 210 del 1998 conseguire detto titolo consente l’acquisizione delle competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di alta qualificazione (sul dottorato di ricerca v. anche il D.M. n. 270 del 2004, articoli 3, comma 8, e 6, commi 5 e 6). Ad avviso dei Giudici amministrativi, appare evidente che, avendo il dottorato di ricerca finalità differenti rispetto all’abilitazione, non è possibile equiparare detto titolo all’abilitazione all’insegnamento.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono queste finalità.
Il titolo di dottore di ricerca persegue lo scopo di consentire a chi ne è in possesso l’esercizio “di attività di ricerca di alta qualificazione” e l’esercizio di una “limitata attività didattica, sussidiaria o integrativa, che non deve in ogni caso compromettere l’attività di formazione alla ricerca” (cfr. art. 4, comma 8, della L. n. 210 del 1998). I percorsi abilitanti hanno lo scopo di qualificare e valorizzare la funzione docente attraverso l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dalla legge (art. 2 del D.M. n. 249 del 10 settembre 2010). Viene dunque chiaramente in risalto una attività di formazione orientata alla ‘funzione docente’, che di per sé si caratterizza per il continuo contatto con gli allievi, ai quali vanno trasmesse conoscenze anche sulla base di competenze psico – pedagogiche. Ritenere l’equipollenza dei due titoli condurrebbe ad assimilare situazioni tra loro disomogenee.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui ha escluso l’inserimento a pieno titolo nelle seconde fasce delle Graduatorie di Istituto i ricorrenti in quanto docenti in possesso del solo titolo di dottore di ricerca. Una legittimità, questa, che viene tra l’altro confermata dalla mancanza di vizi di manifesta irragionevolezza e di ingiustizia manifesta; vizi che avrebbero costituito valido motivo di impugnazione del provvedimento in questione. Per tale verso, quindi, i Giudici amministrativi hanno confermato la sentenza di primo grado, respingendo l’appello dei ricorrenti.
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