I costi dell’abbandono scolastico: buttati 27 miliardi in dieci anni

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Il Corriere della Sera 30.1.2018

– Hanno lasciato più di 1,7 milioni di studenti. Il record degli istituti professionali.

Si può misurare, quel prezioso investimento. Si tratta, come spiega un’inchiesta di Tuttoscuola in uscita oggi, di quasi settemila euro (per l’esattezza 6.914,31) che lo Stato impegna ogni anno (la fonte: Education at a glance OECD) per ogni studente delle «secondarie superiori». C’è chi lascia subito, un anno dopo essersi iscritto, chi dopo due o tre o quattro… Per non dire dello spreco di chi butta via tanti soldi e tanta fatica alla vigilia della maturità. Come lo sciagurato Gigio Donnarumma che mesi fa, dando un pessimo esempio a tutti i ragazzi della sua età, scelse di rinunciare al diploma di ragioniere per volare alle spiagge di Ibiza con un aereo privato messo a disposizione dal suo cattivo maestro, Mino «Lucignolo» Raiola.

Fatto sta che, tirate le somme, i ragazzi che hanno mollato gli studi nell’ultimo decennio nel sistema scolastico statale, stando ai calcoli di Tuttoscuola su dati del Miur sono stati 1.744.142. Un 28,5% «disperso, non pervenuto, “fumato” dal sistema di istruzione statale». Quelli che hanno abbandonato, dice il dossier, hanno lasciato in media dopo poco più di due anni: per l’esattezza 2,3. Risultato: hanno gettato tutti insieme l’equivalente di 27.438.139.345 euro. Una somma immensa. Ma niente, accusa la rivista di Giovanni Vinciguerra, «rispetto al costo sociale per le vite “segnate” di questi ragazzi senza istruzione e quindi in larga parte senza futuro». Per capirci, «se è difficile trovare lavoro per chi ha raggiunto solo il diploma secondario superiore (il 28% rimane disoccupato), figurarsi quali sono le prospettive di coloro che neanche ci arrivano. Non a caso ben il 45% di coloro che sono in possesso della sola licenza media sono disoccupati». Ed è difficile purtroppo, insiste il dossier, «che non tocchi lo stesso destino ai “fuoriusciti” dalla scuola statale degli ultimi dieci anni».

«Non c’era stato appena spiegato che la dispersione è in calo?», chiederanno i lettori più attenti. Sì, e il nuovo studio lo conferma. Lo stesso Tuttoscuola pubblicava due settimane fa la notizia che, pur restando «forti squilibri territoriali», la Cabina di regia ministeriale istituita da Valeria Fedeli e guidata da Marco Rossi Doria scriveva che «cala la dispersione scolastica, con un tasso del 13,8% di coloro che abbandonano precocemente gli studi (dato 2016) contro il 20,8% di dieci anni fa. L’Italia si avvicina dunque all’obiettivo Europa 2020, al raggiungimento del livello del 10%». Dati ufficiali. Quei dati però, per esser paragonabili agli altri numeri Eurostat (ogni Paese ha sistemi scolastici diversi) si riferiscono «a tutto l’insieme» del settore, compresi i corsi professionali o i corsi di recupero di istituti privati, in base a un indice «early school leavers, che fa riferimento alla quota dei giovani dai 18 ai 24 anni d’età». Ma è «uno» degli indicatori. «Il nostro», spiega la rivista, è «un indicatore empirico, di immediata comprensione, che misura la differenza tra il numero di iscritti all’ultimo anno delle superiori e quelli al primo anno di 5 anni prima. Non a campione, ma su numeri reali del Miur».

E i numeri reali per il sistema scolastico «statale», insiste, sono questi: «In Sardegna nell’ultimo quinquennio (dall’anno scolastico 2013-14, ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, all’anno in corso 2017-18, quindi non un’era fa) si sono dispersi nella scuola statale il 47,1% degli studenti degli istituti professionali e il 31,7% degli istituti tecnici, in Sicilia rispettivamente il 42,7% e il 29,7%. In Toscana il 32,7% degli studenti degli istituti professionali ha abbandonato: uno su tre». A farla corta: «Sono, ancora una volta, gli studenti dei professionali a far registrare, con il 32,1%, il più elevato tasso di abbandono». C’è un miglioramento, «ma la situazione resta drammatica». Lì è il problema forse oggi più vistoso, scriveva due settimane fa il nostro Dario Di Vico: «Sembra incredibile che nel Paese dei Neet e con un tasso di disoccupazione giovanile al 32,7% gli imprenditori non trovino giovani da assumere». Penuria soprattutto di figure professionali. «Le aziende del Friuli Venezia Giulia si lamentano di avere pochi giovani che escono dalle scuole tecniche e “troppi liceali” e stiamo parlando comunque di una fase precedente al 4.0, che renderà ancora più grave la carenza di figure specializzate». E questo perfino in una regione dove la dispersione negli istituti professionali risulta «solo» dell’11,4%.

La realtà è così pesante che gran parte della campagna elettoraledovrebbe essere centrata lì. È vero, sono problemi complessi, «ma almeno parlarne, vivaddio, spiegare come si intenderebbe affrontarli…». Macché. Dice tutto una ricerca nell’archivio dell’Ansa, che non sarà la Bibbia ma aiuta a capire. Nell’ultimo anno, speso in gran parte da tutti per preparare l’Armageddon della campagna elettorale, sapete quante volte Matteo Renzi ha parlato della dispersione scolastica? Risposta dall’archivio: zero. E Silvio Berlusconi? Zero. Matteo Salvini? Zero. Giorgia Meloni? Zero. Luigi Di Maio? Zero. Pietro Grasso? Una volta: «Il problema delle baby gang nelle città e nelle periferie viene dalla disattenzione al fenomeno della dispersione scolastica». Evviva. Sarà stata una coincidenza, ma era proprio la mattina in cui il Corriere aveva sollevato il tema…

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