di Daniela Hamaui, la Repubblica, 2.12.2022.
Alcune domande al ministro Valditara su chi giudica gli studenti.
Se fossi un ragazzo o una ragazza oggi direi al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: “Lei parla di merito, di premiare i più bravi e di umiliare gli incapaci ma, prima di regalarci stellette o punizioni, hai mai fatto lo sforzo di capirci? Di guardarci negli occhi? Di ascoltare i nostri desideri, le nostre paure? Ha mai provato ad assistere ad una lezione in una classe sovraffollata dove dimostrare le proprie capacità spesso è difficile, a volte impossibile? Hai mai provato ad accettarci prima di giudicarci?”.
Se fossi un ragazzo o una ragazza mi sentirei ancora una volta tradito dalla politica, da chi vuole decidere senza aver mai abbassato lo sguardo all’altezza di un adolescente. Assisterei con fastidio all’ennesima discussione sulla scuola che non funziona, sul merito che riguarda sempre e solo gli studenti ma poco i professori che spesso sono demotivati, stanchi, incapaci di instaurare una vera relazione con i propri alunni, di trasmettere loro attenzione e passione. E guarderei con insofferenza genitori distratti, troppo concentrati sull’essere amici invece che genitori, sul difendere i propri figli invece che educarli.
E chiederei soprattutto al ministro: “Che cos’è davvero per lei il merito? Come lo definisce? Che obiettivi prevede? Si tratta di andare bene a scuola, di prendere voti alti, o di essere in grado di riconoscere le proprie passioni e inseguirle?”.
Steve Jobs e Mark Zuckerberg, due “eroi” dei nostri tempi, non si sono laureati. Hanno abbandonato gli studi, il primo per fondare Apple, la società tech più di successo al mondo, l’altro per sviluppare Facebook, il social media che oggi connette 5 miliardi di persone.
Se fossi un ragazzo o una ragazza chiederei al ministro se li considera meritevoli, se inseguire la propria intuizione è un valore o un demerito. E vorrei anche sapere perché la scuola non spinge i giovani a individuare i propri talenti, non crea un clima favorevole dove ognuno possa liberamente esprimere e coltivare le proprie capacità senza essere prima giudicato e catalogato.
Se non affrontiamo il disagio adolescenziale che arriva a produrre forme estreme di bullismo, se non smantelliamo le baby gang, se non riusciamo ad entrare nella testa di tante, troppe, bambine disposte a vendere i loro corpo pur di ottenere una borsetta firmata, avremo fallito il nostro obiettivo prima ancora di averlo intrapreso.
L’Italia è spesso il fanalino di coda di molte statistiche. Una di queste riguarda il numero di bambini e di adolescenti che nel nostro Paese sono circa 9,8 milioni, una minoranza destinata ad assottigliarsi ulteriormente. Gli under 18 sono il 16,2% della popolazione. In crescita sono solo i Neet, ragazzi che non studiano e non lavorano, e che sono circa 3 milioni, il 25,1% (contro il 10% della Germania e il 7% dei Paesi Bassi). Questo dato non nasce per caso, è la stratificazione di delusioni, di senso di inadeguatezza, di anni seduti ai banchi di scuola senza trovare una motivazione per continuare. È la conseguenza di politiche sbagliate che hanno radici lontane e che sono lo specchio di un’incapacità di affrontare un disagio profondo che non andrebbe più ignorato.
Alle recenti elezioni la parola giovani compariva pochissimo nei programmi elettorali, i progetti per contrastare il loro malessere non sono tra le priorità di chi governa. Più facile fare proclami e dimostrarsi inflessibili, come se i problemi dei ragazzi e della scuola fossero solo l’indisciplina, l’abuso del cellulare, la pigrizia, la poca voglia di studiare e di essere sottoposti ad esami e verifiche. Dimenticandoci che questi sono gli effetti, non le cause. E che il problema sono i nostri errori, non i loro.
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I demeriti della scuola ultima modifica: 2022-12-02T06:02:41+01:00 da