di Pasquale Almirante, La Sicilia 3.5.2015
Tutti i sindacati della scuola ritornano uniti, dopo 7 anni di reciproco sospetto, per lo sciopero del 5 maggio contro un governo in maggioranza di sinistra che non si è reso nemmeno conto che le riforme devono essere condivise o motivate o avere una loro logica. Il premier furbescamente dice: mi aspetto un 90% di adesioni allo sciopero, ben sapendo che la scuola è sempre stata refrattaria a perdere un giorno di lezione, puntando per lo più sulla maggiore disponibilità dei ragazzi che, non entrando, lasciano le classi vuote e pure gli orari dei loro prof.
Tuttavia, se il pronostico sfottente di Renzi non si verificasse e all’atto della conta si andasse sotto il 50%, sarebbe un grave colpo per le organizzazioni sindacali, mentre il governo avrebbe dalla sua parte un consenso indiretto, sia per continuare sul suo disegno di legge e sia per bloccarsi ancora il rinnovo del contratto di lavoro scaduto nel 2009. Fra l’altro, a rendere più accesa l’indignazione dei prof ci ha pensato la ministra Giannini che a Bologna ha definito un manipolo di contestatori «squadristi». Che è segnale anche questo di una deriva a destra del partito del segretario Renzi, almeno per quanto riguarda la scuola, considerato pure che il disegno di legge sullo stato giuridico degli insegnanti presentato all’epoca dalla forzista Valentina Aprea era senza dubbio più democratico dell’odierno, dal momento che per avanzare nella carriera si doveva studiare, presidi compresi. Ora invece il dirigente scolastico decide alla bisogna, compresa la perdita di titolarità della cattedra per i nuovi assunti e pure per i vecchi che cambieranno sede: di fatto si prevede una mobilità ogni tre anni nell’ambito dell’albo territoriale che, se per un verso è stato più circoscritto, dall’altro non dà nessuna garanzia di stabilità. «Il nostro disegno di legge può essere migliorato, ma un punto deve essere chiaro: la scelta dell’autonomia è decisiva. La scuola non deve essere nelle mani delle circolari ministeriali e dei sindacati, ma dei professori, delle famiglie, degli studenti»: lo dice Renzi, ma con fraseggio pubblicitario. E come si va avanti senza circolari ministeriali? E chi ha mai imposto l’adesione al sindacato? E non sono stati forse gli organismi collegiali, democraticamente eletti, a consegnare la scuola, finora, nelle mani dei loro fruitori? Spaventoso, si direbbe, se non si conoscesse già il nostro premier aduso alla «maraviglia» delle parole, gettate lì, come i dadi del giocatore o i come versi del più barocco dei rimatori del rococò.